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La Chiesa e i potenti che sbagliano
L'insegnamento del vescovo Sant'Ambrogio di Milano  
 
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Anthonis Van Dyck - L'imperatore Teodosio e sant'Ambrogio. Particolare.

 

La Chiesa e i potenti che sbagliano

 
Se guardiamo alle vite dei santi, troviamo più facilmente la soluzione alle questioni che agitano il nostro presente, perché - pur nella differenza dei contesti storici - essi ci forniscono uno strumento di discernimento di valore impareggiabile: giudicare ogni cosa alla luce della Fede.  
 
L'episodio di cui parleremo qui è illuminante, ad esempio, sulla necessità di negare o meno la Comunione al presidente USA Biden e a quelli che, come lui, pur professandosi cattolici, sostengono progetti contrari alla Fede e alla vita.  
 
Torniamo indietro al IV secolo, quando gli imperatori romani, a partire da Costantino, riconobbero il Cristianesimo come religione dell'Impero.  
 
L'imperatore romano Flavio Teodosio Augusto (347–395), non passò alla storia solamente per l'editto di Tessalonica (380) con il quale si dichiarava il Cristianesimo religione di Stato, o per i suoi successivi editti che proibivano i sacrifici e il culto pagano (392), ma anche per un episodio di raccapricciante ferocia.  
 
La causa scatenante era stata la decisione, da parte del governatore di Tessalonica, Buterico, di arrestare un auriga molto amato e di non aver permesso i giochi che annualmente si tenevano nella città. Questo, a noi oggi sembrerebbe un peccato di dimensioni modeste, ma per i tessalonicesi dell'epoca le cose non stavano così: il governatore venne addirittura catturato e impiccato dalla popolazione inferocita.  
 
La rappresaglia dell'imperatore Teodosio non si fece attendere: ordinò che si tenesse una grande gara di bighe nello stadio della città. Durante l'evento sportivo furono chiuse le porte e uccisi i partecipanti: circa 7000 persone. Eravamo a giugno del 390.  
 
Il vescovo di Milano Ambrogio non si fece trovare nella sua sede quando l'imperatore tornò, ma gli scrisse una lettera personale in cui gli notificava la scomunica, intimandogli il pentimento e una necessaria penitenza. La richiesta di perdono doveva essere pubblica, come pubblica era stata la sua colpa.  
 
Solo nel Natale dello stesso anno l'imperatore Teodosio venne perdonato e potè riaccostarsi ai sacramenti.  
 
In questa vicenda sono molti gli elementi degni di nota. A noi moderni sembrano smodatamente eccessive le passioni che muovevano i nostri antenati, ma altresì dovremmo ammirare la genuina carità e lo zelo pastorale del vescovo Ambrogio, nonché l'umile riconoscimento del proprio male da parte di Teodosio.  
 
La fermezza di sant'Ambrogio risalta ancora di più se consideriamo il debito di riconoscenza che ogni fedele cattolico aveva nei confronti di quest'uomo: a lui dobbiamo l'appoggio al credo autentico della Chiesa in contrapposizione all'eresia ariana.  
 
Teodosio aveva messo a capo della sede vescovile Gregorio di Nazianzo dopo aver cacciato il vescovo eretico Demofilo. Aveva quindi convocato il primo Concilio di Costantinopoli da cui scaturì il credo niceno-costantinopolitano, estensione di quello niceno e nato per contrastare l'eresia.  
 
I meriti di Teodosio però non gli valsero un atteggiamento remissivo da parte di Sant'Ambrogio che aveva innanzitutto a cuore la salvezza dell'anima dell'imperatore.  
 
In questo episodio splende grandemente la mirabile sintesi di giustizia e misericordia. Leggiamo alcune delle parole che Sant'Ambrogio rivolse all'imperatore:  
«Ti scrivo non per umiliarti, ma perché gli esempi dei re ti spingano a cancellare dal tuo regno questo peccato. Lo cancellerai umiliando la tua anima davanti a Dio».  
 
«Non ho verso di te alcun motivo di ostilità, ho timore: non oso offrire il Sacrificio se tu pretendessi assistervi».  
 
«Non da un uomo né attraverso un uomo, ma direttamente mi è stata rivolta questa proibizione. Mentre, infatti, ero preoccupato, la stessa notte in cui mi preparavo a partire mi è sembrato che tu (Teodosio) venissi in chiesa, ma a me non fu possibile offrire il Sacrificio».  
 
«Anche la semplice preghiera è un sacrificio: genera il perdono poiché contiene l’umiltà (…). Infatti, Dio dice che preferisce che si osservino i suoi comandamenti più che l’offerta del sacrificio. Questo proclama Dio, questo Mosè annuncia al popolo, Paolo predica alle genti. Fa’ ciò che al momento capisci essere più gradito. “Preferisco”, dice Dio, “la misericordia al sacrificio”. Non sono forse più cristiani quelli che condannano il loro peccato di quelli che credono di doverlo giustificare?».
 
 
Ci sono giunte anche le parole che il vescovo pronunciò durante l'elogio funebre in onore dell'imperatore:
«Sì, ho amato quest'uomo che preferì ai suoi adulatori colui che lo riprendeva. Gettò a terra tutte le insegne delle dignità imperiali, pianse pubblicamente nella Chiesa il peccato nel quale lo si era perfidamente trascinato, e ne implorò il perdono con lacrime e gemiti. Semplici cortigiani si lasciano distogliere dalla vergogna, e un imperatore non ha arrossito di compiere la penitenza pubblica, e da allora in poi non un sol giorno passò per lui senza che avesse deplorato la sua mancanza».  
 
 
 
2021-07-28
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