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San Massimiliano Maria Kolbe, con l'Immacolata contro massoni e "nemici" della Chiesa di Dio
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San Massimiliano Maria Kolbe, con l'Immacolata contro massoni e "nemici" della Chiesa di Dio

 
 

PREFAZIONE

 
S. Massimiliano M. Kolbe ha lottato strenuamente, per tutta la vita, contro la massoneria e gli altri «nemici» della Chiesa di Dio. E, cioè, dopo averne individuato la natura, le strutture organizzative e le losche finalità, egli ha studiato e messo in atto il suo piano di attacco. È quanto vogliono dire le pagine che seguono. Esse ci riportano alla storia affascinante di una delle più presti­giose figure della storia contemporanea della Chiesa, e provano, una volta di più, come in tutti i santi, i pro­getti, anche i più arditi, si traducano in realtà, con sor­prendente facilità e coerenza, perché scaturiti da premesse di grazia e di soprannaturale, assieme a singolari doti di natura. «Non dobbiamo credere - diceva appunto Padre Kolbe a tutti gli esitanti e scettici, a proposito delle necessarie innovazioni o sviluppi da aversi nello spi­rito francescano - che tutte queste cose siano solo pure teorie astratte, irrealizzabili nella pratica. L'Immacolata, infatti, ha voluto suscitare già una Casa religiosa (Niepo­kalanów, in Polonia), la quale praticamente ha dato prova della possibilità di una tale vita e di un tale lavoro, durante i cinque anni della sua esistenza. (...) Sono stato in molte nazioni, ho visto tante cose, ho parlato con diverse persone, ma credetemi: non vi è niente di più adatto per curare i mali del nostro tempo che il nostro serafico Ordine, se con coraggio, prontezza, rapidità e costanza evolve lo spirito del serafico Padre S. Francesco».  
 
Le pagine che seguono provano pure che la santità autentica è sempre intraprendente, combattiva per l'onore di Dio e la salvezza delle anime: i santi che pensano a se stessi solamente, o che, «alienati» in un mondo di sogno, si disinteressano dei reali bisogni e drammi dei fratelli; o che tacciono e cedono all'onda montante del male..., esistono solo nella fantasia di chi non ha capito nulla del cristianesimo, o ha la mente ottenebrata dai fumi di ideologie pazze. Padre Kolbe ritiene la lotta per Dio e la verità un dovere, un ideale sacrosanto e irrinunciabile di tutti coloro che amano veramente. Ciò che non può non suonare rimprovero a certi modi di vivere la propria vita cristiana, contrassegnati da una sonnolenza o pigrizia cronica, che fa dubitare molto della genuinità dell'amore, che dovrebbe alimentare detta vita cristiana.  
 
Padre Kolbe orienta o dirige la sua lotta soprattutto contro la massoneria, non certamente per faziosità aprio­ristica. Egli è convinto che chi guida e determina l'orien­tamento mondiale, in quasi tutti i settori della vita sociale, è la massoneria. Una persuasione, come si vedrà, tutt'al­tro che infondata.  
 
Nello scenario, disegnato dalla vita e dall'opera di Padre Kolbe - uno scenario, spesso, quasi irreale e di leggenda, anche se sempre di pura e semplice realtà -, non ci intrometteremo molto con la nostra logica umana, ammucchiando annotazioni e riflessioni. Lasceremo par­lare soprattutto lui con le sue lettere, i suoi articoli, i suoi appunti di cronaca, ecc. Contravvenendo, anzi, volutamente, ad un sano principio di metodologia, che vuole citazioni piuttosto brevi o riassunte, noi abbonderemo in queste, presentandone, spesso, pagine intere. Riassumerle o ridurle al minimo o, ancora, accompagnarle con nostre riflessioni, ci è sembrato togliere non poco al calore e alla pregnanza di testi, eloquentissimi per sé.  
 
Certo, un santo «combattivo», oggi, in pieno clima di irenismo a tutto spiano, che definisce, tout court, le polemiche e le battaglie di ieri, come «crociate», potrà apparire per lo meno anacronistico. E, invece, ci è sem­brato che oggi, proprio perché si ha l'impressione che una diffusa sonnolenza si è abbattuta su tanta parte della Chiesa, e i nemici di Dio si son fatti, per questo, più arditi e spavaldi, attaccando e profanando tutto, è più che mai attuale un santo del genere. Un santo che, nella lotta al male e al peccato, non si è concesso sosta. Anche da questo punto di vista, allora, potremmo dire « provvidenziale» la qualifica data al P. Kolbe da Papa Giovanni Paolo II: «Patrono dei nostri difficili tempi». In effetti, Padre Kolbe è un ... «pazzo», ma di una «pazzia» che, sempre, ha salvato e salva il mondo: quella pazzia di cui, tra gli altri, ne tesse l'elogio il celebre Erasmo di Rotterdam col famoso «Elogio della pazzia»!  
 

INTRODUZIONE

 
Chi rimira, per la prima volta, un'immagine di Padre Kolbe, ne ritrarrà, molto probabilmente, l'impressione di un tipo o temperamento bonaccione e calmo, anche se i suoi occhi vi penetrano fino in fondo all'anima. Il volto mite e rassicurante, il portamento umile e dimesso, tutto fa pensare ad uno di quei Frati «sereni» e distaccati, presi più dall'ansia di tuffarsi nell'aria balsamica della contem­plazione di Dio che nel clima rovente di una battaglia. Una impressione che gli stessi scritti di P. Kolbe parreb­bero, qua e là, confermare. Vi si rivela, infatti, che egli non era né un superiore ideale, troppo buono con tutti, né in possesso di doti indispensabili alla lotta e alla pole­mica. Non gli avevano appioppato il nomignolo di «marmellata»?  
 
Eppure, nonostante tutte le apparenze, e pur nella mitezza della sua anima francescana, P. Kolbe è stato un lottatore di eccezione. Ne è rivelatore, già, un episo­dio della sua infanzia. Aveva acquistato una statuina della Madonna Immacolata per cinque copechi. Entrato nel seminario minore - racconta egli - un giorno «mentre assistevamo in coro alla santa Messa, con la faccia a terra promisi alla santissima Vergine Maria, la cui immagine dominava sopra l'altare, che avrei combattuto per lei. Come? Non lo sapevo, tuttavia immaginavo una lotta con le armi materiali; e per questo motivo, allorché giunse il momento di iniziare il noviziato (o di emettere la pro­fessione?), confidai al P. Maestro, P. Dioniso Sowiak (...), questa mia difficoltà ad entrare nello stato religioso. Egli trasformò quella mia decisione nell'impegno di recitare ogni giorno il «Sub tuum praesidium». Continuo ancor oggi a recitare questa preghiera, pur sapendo ormai quale fosse la battaglia che stava a cuore all'Imma­colata».  
 
Questa tendenza alla lotta, alla battaglia, possiamo dire, era «di casa» nella famiglia Kolbe. Figlio di una nazione che, martoriata nei secoli soprattutto per la sua fede cattolica e divenuta, perciò, naturalmente, eroica guerriera, P. Massimiliano aveva sotto gli occhi l'esempio del padre, seguito più tardi dal fratello Francesco: l'uno e l'altro diedero indubbie prove di patriottismo e di eroismo.  
 
Spinto da un amore folle, ossessivo, per l'Immaco­lata, egli inizierà la grande battaglia, agli ordini del­l'Immacolata, la sera del 16 ottobre 1917, concludendola in un tramonto, dai riflessi di sangue, nel campo di ster­minio di Auschwitz il 14 agosto 1941.  
 
Una vita intensissimamente impegnata e donata, senza risparmio, e trascorsa sempre, per così dire, in prima linea, sulla linea del fuoco, tra inauditi sacrifici e rischi di morte, e un fiorire incessante di iniziative e progetti dai frutti prodigiosi!  
 
Perché, per chi, contro chi combatterà?... Pur dovendo avere in mente, fin dagli inizi, idee abbastanza chiare, queste gli si chiariranno e si svilupperanno, sem­pre più, man mano che coraggiosamente si impegnerà sui vari «fronti».  
 
E intuizioni, iniziative, suggerimenti, ecc, si rivele­ranno, spesso, ardite aperture o autentiche anticipazioni profetiche, aprendo così orizzonti vastissimi all'azione apostolica.  
 
E, tuttavia, la sua intraprendenza, la sua audacia, il suo incredibile dinamismo affondano in una preparazione meticolosa, naturale e soprannaturale soprattutto. È nell­'humus della preghiera, della penitenza, del sacrificio, che attinge la forza per le sue imprese, pur rivelando, allo stesso tempo, geniali doti di organizzatore e di intelli­genza di prim'ordine.  
 
Egli diceva: «La vita dell'uomo ha tre tappe: la pre­parazione al lavoro, il lavoro, il dolore. Più velocemente un'anima raggiunge la santità e più presto arriva alla terza tappa: il dolore voluto dall'amore». Parole validissime per l'itinerario spirituale ma, non meno, anche per l'azione apostolica. Questa, infatti è veramente feconda, come comprova l'esperienza di innumerevoli grandi apo­stoli, solo quando, accuratamente preparata, è stata attuata e fecondata dal lavoro e dal sacrificio, voluto dall'amore. P. Kolbe ha concepito ad attuato così il suo grandioso piano di battaglia contro i «nemici», della Chiesa di Dio.  
 
Maturato nella preghiera e nella riflessione, venuta l'ora si dà ad attuarlo con coraggio e determinatezza sorpren­denti, reclutando, per l'azione, uomini e mezzi dalla Polo­nia e dal mondo. Sorge così, ben presto, Niepo­kalanów, la prima «Città dell'Immacolata», dove il ritmo del lavoro raggiunge livelli da capogiro; e dove gli «operai» cre­scono prodigiosamente, da renderla, presto, la più grande Comunità religiosa del mondo con circa 800 Frati, tra Sacerdoti e Fratelli religiosi; e dove si installano macchine modernissime da miliardi, pur nella persistente grandis­sima povertà degli «abitanti».  
 
Tutto è guidato e sostenuto, oltre tutto, dal suo genio organizzativo: genio organizzativo, spiegato da P. Kolbe, non solo nella Niepo­kalanów polacca.  
 
Tempra di autentico conquistatore, non si accontenta mai delle mete raggiunte. Come Alessandro Magno, Giu­lio Cesare, Napoleone e tutti i più famosi capitani della storia, egli sogna la conquista del mondo intero all'Imma­colata. Come Alessandro, avrebbe pianto il giorno in cui si fosse accorto che non esistevano altri mondi da conqui­stare alla sua celeste Madre e Regina! «... quando ogni anima - scrive quasi fremendo - che esiste nel mondo intero, sino alla fine dei tempi, apparterrà a Lei (= l'Im­macolata) in questo modo (= e cioè illimitatamente e incondizionatamente)?... M.I., M.I., M.I.» (8). «Quando Ella si impadronirà del mondo intero?... Quando in ogni nazione sorgerà la Sua Niepo­kalanów e il suo «Cava­liere», scritto in tutte le lingue, entrerà in ogni casa, in ogni palazzo, in ogni tugurio?... Quando la sua meda­glietta sarà portata su ogni petto ed ogni cuore che batte sulla faccia della terra palpiterà per Lei?...». Come freme e soffre, e quasi scalpita impaziente, per le attese, sempre lunghe, della realizzazione completa del suo sogno, davanti agli interessi di Dio e dell'Immacolata non conosciuti o apertamente osteggiati e rinnegati: «Mi debbo limitare - chiedeva, nel maggio 1932 al suo Superiore Provinciale - all'opera della M.I. in Giappone e rispondere solo ai quesiti attinenti alla M.I. che giun­gono da diverse parti, oppure mi debbo occupare della totalità dei problemi della M.I. mondiale? In passato - confessa - avevo la sensazione di non essere in grado di occuparmene, ma ora, forse di fronte al progressivo avanzamento dell'ateismo mi «prudono le mani».  
 
Ha la stoffa dei grandi apostoli e, perciò, alle parole, spesso solo scoppiettìi di fuochi artificiali, fatti più per illudere che per costruire, preferisce i fatti, le conquiste autentiche. E, infatti, con audacia insieme e prudenza, egli allarga continuamente i fronti di lotta e di azione: dalla Polonia all'Europa, al Giappone, all'Annam, ai Paesi Arabi, alla Cina ... Egli pensa e provvede, come meglio può, a tutto il mondo. E con la tenacia e l'intelligenza dei grandi pionieri sperimenta nuove formule di azione, adopera nuovi mezzi di conquista, e le iniziative si susse­guono, così, quasi a getto continuo. E i frutti si vedono, in concretizzazioni da «miracolo»!  
 
Quale il segreto di questo battagliare e vincere, ponendo in scacco le temibili forze del male? La sua stra­tegia, semplice e geniale sotto tanti aspetti, è soprattutto soprannaturale, ancorata com'è strettissimamente alla gra­zia, all'Immacolata. Naturale e soprannaturale, in P. Kolbe, mai si separano, eccetto il caso in cui è volere stesso del cielo che operi quasi solo la grazia. Nel sugge­rire, per es., l'apertura di circoli M.I. nei Seminari del suo Ordine, che avrebbero dovuto preparare, in parte, gli uomini all'azione e alla lotta per l'Immacolata, così egli tracciava le linee dell'azione puramente oraganizzativa o naturale: «Questo Circolo nelle sue sessioni, prepari i propri membri a vivere e a lavorare secondo lo spirito della MA.:  
 
a) studiando la causa dell'Immacolata sotto l'aspetto storico, dogmatico, morale, giuridico, ascetico, ecc.;  
b) studiando contemporaneamente i movimenti anti­religiosi del nostro tempo, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, ecc., distinguendo in tali movimenti quanto v'è di bene e quanto v'è di male in essi: non vi è altro modo più efficace per estirpare un movimento cattivo che conoscere quanto contiene di bene e applicarlo subito alla nostra causa. L'aver trascurato un tale metodo, ha provocato i deplorevoli avvenimenti del Messico e della Spagna;  
c) esercitandosi fin d'ora, secondo le proprie pos­sibilità (preghiere, mortificazioni, ecc.) per questa causa;  
d) preparando un piano d'azione per il futuro».  
 
Ma tutto questo è inutile o scarsamente fruttuoso se non ci si aggrappa, con tutte le forze, al soprannatu­rale, il vero segreto di ogni successo. Egli è profon­damente convinto che il mondo lo si conquista soprattuttto con la forza di Dio: «Sono dell'avviso che non c'è mezzo migliore per affrettare quell'istante benedetto (= della conquista di tutto il mondo all'Immacolata), del fatto che ognuno di noi si impegni ogni giorno di più ad approfondire in se stesso la propria consacrazione all'Immacolata. Infatti, quanto più perfettamente apparter­remo a Lei, tanto più liberamente Ella stessa ci potrà guidare; non si può immaginare un'azione più efficace di questa».  
 
Lottatore indomito, non si concede sosta e nulla ritiene veramente impossibile. Ma solo si sottopone volentieri ad un lavoro massacrante e ai più ardui sacrifici e disagi di ogni sorta; ma fa ricorso, di buon grado, a tutti i mezzi e armi, che possono suggerirgli le tecniche e il suo grande potere di intuizione.  
 
È più che ovvio che un lottatore di tale levatura e di tale ardore trovi inconcepibile, che si possa rimanere indifferenti e inerti davanti al male trionfante: «Di fronte agli attacchi tanto duri dei nemici della Chiesa di Dio ci è lecito rimanere inattivi? Ci è lecito forse lamentarci e versare lacrime soltanto? No affatto. (...) Su ciascuno di noi pesa il sacrosanto dovere di metterci in trincea e di respingere gli attacchi del nemico con il nostro petto».  
 
Alla grande battaglia, da lui accettata e organizzata e combattuta con l'ardore di un amore «folle», pratica­mente egli invita tutte le anime. È a loro che debbono riferirsi le parole scritte sul Rycerz Niepokalanej il 1923: «Per amore verso i malvagi perseguitiamo, con tutta l'energia di cui siamo capaci, tutte le loro scellerate iniziative, indirizziamo questi cuori verso l'Immacolata con la preghiera e il sacrificio, assoggettiamo le loro anime a Lei impegnandoci personalmente, e ci saranno infinita­mente riconoscenti fin da questa terra. Io stesso l'ho sperimentato più d'una volta: chiunque renderà felice una di queste anime avrà la sua viva riconoscenza». È un programma di vita, un ideale di luce e di grazia, che ha donato a sé e agli altri. Val la pena vederlo e studiarlo un po' più da vicino!  
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Massimiliano Maria Kolbe morì nel campo di concentramento di Auschwitz il 14 agosto 1941

Cap. 1 - L'AMORE DI PADRE KOLBE

 
Un padre Kolbe lottatore ad oltranza potrebbe inge­nerare, sia pure a primo impatto solamente, equivoci o, per lo meno, sorpresa e perplessità. Il cristiano non è, forse, figlio della pace in tutti i sensi, colui, cioé, che dopo aver fatta la pace nel suo cuore, cerca di farla, anche, con i fratelli e l'universo intero?  
 
Non si fraintenda. Lo spirito di battaglia del P. Kolbe è da vedersi ed intendersi unicamente nella pro­spettiva totale dell'amore soprannaturale. Per tutta la vita, egli non ha fatto che amare ed amare con l'ardore dei santi più eroici. Dal suo abbraccio tenerissimo e sincero nessuno venne escluso. Un'affermazione, questa, facile a provarsi, soprattutto se la si vede alla luce, oltre che delle varie singolarissime tappe della vita, del supremo olocausto di sé, compiuto a favore di uno sconosciuto, nel campo di Auschwitz.  
 
1. P. Kolbe ha amato il suo «prossimo».  
 
Affermare che P. Kolbe ha amato il suo prossimo equivale a dire che egli si è legato, con vincolo d'amore autentico, prima di tutto, con tutti coloro che, comunque, avevano con lui legami di sangue o di nazionalità o di religione e di ideali, e quindi parenti, amici, connazionali, confratelli di fede e di apostolato, ecc. E, in effetti, egli amò sua mamma, i suoi parenti tutti con amore tutt'altro che sentimentale o viscerale.  
 
Alla mamma scrive spesso ma poco, perché problemi grossi l'assillano di continuo. Le poche righe, però, dicono bene il suo cuore, la sua gratitudine, il suo attac­camento umano e soprannaturale insieme. A lei comunica notizie liete e tristi, indugiando volentieri in dettagli di cronaca, che possono farle piacere. Le narra con gioia contenuta le vittorie e i successi che, in nome dell'Imma­colata, va raccogliendo in patria e fuori. Le chiede preghiere e sacrifici perché lui non defletta dalla via intra­presa, e possa rispondere, in pieno, ai disegni divini, e risolvere le difficoltà che lo incalzano da tutte le parti. Tenta pure di rassicurarla ed incoraggiarla quando incombe, terribile, la minaccia della deportazione e della morte, ben conoscendo l'angoscia di un cuore di mamma.  
 
Si preoccupa della salute temporale ed eterna di suo papà e dei suoi fratelli, non nascondendo sentimenti di sofferenza e di preoccupazione, davanti a situazioni spesso, materialmente o moralmente, difficili.  
 
Molto più numerose, invece, le lettere inviate a suo fratello P. Alfonso. Egli vive il suo stesso ideale; essen­dosi consacrato con tutto l'ardore della sua giovinezza, per esso va impegnando le migliori energie della sua anima. Gli scrive, oltre che per il vincolo di sangue e di religione a lui congiunto, anche per il bisogno di dar­gli direttive, di comunicargli notizie o per particolari esi­genze, e aiutarlo nelle gravissime difficoltà insorgenti dalla vita e dall'attività di Niepo­kalanów specialmente. Gli scrive soprattutto dell'ideale che, insieme, hanno abbracciato; dell'obbedienza che deve dirigere e santificare ogni più piccolo gesto della vita e della giornata; del mistero dell'Immacolata, ecc. lettere, spesso, bellissime e profonde.  
 
Grande sarà il dolore di P. Kolbe quando P. Alfonso, colpito dalla TBC, si spegnerà ancora giovanissimo. Il suo dolore, per tanta perdita, sarà addolcito dal pensiero che lui è un «caduto» per la grande causa e che, in cielo, continuerà a lottare, accanto all'Immacolata.  
 
P. Kolbe amò i suoi fratelli di religione. P. Kolbe conserva rapporti con molti religiosi, parec­chi dei quali o suoi compagni di studio a Roma o, comunque, conosciuti un po' dovunque. Sempre cortese e gentile, non lascia alcuna lettera senza risposta, anche se breve e sommaria. Risponde a tutti, anche se si lagna sempre di avere troppo poco tempo a disposizione, di fronte all'immane lavoro da fare. È vero, P. Kolbe raramente ha effusioni di affetto come quelle, tipiche, di uomini meridionali, ma il suo affetto è indubbio. Esso balza, evidente, da tanti indizi, non ultimo quello di venire incontro, premuroso, a tutto quanto gli si chiede. È sempre preoccupato soprattutto di aiutare, di illuminare, di spingere al meglio, di confor­tare. A tutti augura sanità e grazia e benedizioni dal­l'Immacolata; e a tutti chiede preghiere, perché lui non intralci i piani dell'Immacolata.  
 
Naturalmente si fa più espansivo, più affettuoso per tutti coloro che condividono il suo ideale, o che sono cresciuti al calore del suo cuore, e cioé quelli di Niepo­kalanów o di Mugenzai no Sono. Ad essi apre volentieri l'animo suo; con loro discute i progetti che gli frullano in capo incessantemente; comunica successi e difficoltà nella lotta comune; risponde a quesiti e obiezioni, che candidamente gli presentano. Pagine, a volte, bellissi­me, ripiene di princìpi ed insegnamenti dell'ascetica cri­stiana.  
 
Il tema preferito, però, è quasi sempre l'Immacolata, tema affrontato in innumerevoli risvolti e angolazioni, attingendo, non infrequentemente, profondità o altezze da capogiro, pur se, sempre, in un linguaggio piano e con un candore disarmante. Qualche esempio?... Ecco dopo i saluti «cordiali» per alcuni, aggiunge: «Dì inoltre ai cari Fratelli che mando loro di tutto cuore la mia benedizione sacerdotale e l'augurio che non mi imitino nella malattia, purché tale sia la volontà dell'Immaco­lata». «L'Immacolata vi ricompensi, cari figliuoli, il più generosamente possibile per gli auguri e le preghiere fatte per me». Si scusa e spiega perché li chiama «figliuoli»: «... non suonano male le parole: "Figliuolo", "figliuoli", invece di "fratello", "fratelli"? Miei cari, anche San Paolo (...) dice più o meno queste parole: «Anche se voi aveste avuto 10.000 maestri in Cristo, non avreste molti padri, perché sono stato io a generarvi nel Vangelo» (...). Io pure, perciò, applico a me stesso queste parole, rallegrandomi del fatto che l'Immacolata si sia degnata, nonostante le mie miserie, debolezze e indegnità, di infondere in voi attraverso di me la Sua vita, di rendermi vostra madre. È così che la vita divina, la vita della SS. Trinità scorre dal Sacratissimo Cuore di Gesù, attraverso il Cuore Immacolato di Maria, nei poveri cuori, ma sovente anche attraverso altri cuori creati...». E aggiunge teneri e toccanti epiteti: «Miei carissimi, amatissimi figliuoli». Si preoccupa della loro salute fisica, e soprattutto di quella dell'a­nima. Si ricorda di loro nella Santa Messa quotidiana. Incoraggiante, per es., premurosa la lettera ai neovestiti Fratelli, incitandoli alla fiducia e sostenendone il coraggio.  
 
Padre Kolbe ha amato non meno quei religiosi o confratelli che non lo compresero o ne osteggiarono, con mezzi più o meno onesti, i progetti e le idee... Così egli, se si oppone decisamente a che la rivista del Ter­z'Ordine Francescano sia stampata con i soldi del «Cava­liere», difendendone gelosamente l'autonomia sia ideale che economica, parla però con rispetto di quelli che sono di diverso avviso, e motiva la sua posizione con il fatto che le entrate di Niepo­kalanów non devono, non possono servire come «rendita» dei Frati. Occasione buona, per P. Kolbe, per bollare a fuoco una tale conce­zione di vita, tutt'altro che consona all'ideale fran­cescano.  
 
Sopporta quasi eroicamente P. Costanzo, che non lo comprende né comprende il suo ideale e tante cose sulla Madonna. Ma spera che, alla fine, egli capirà. Ne ascolta, infatti, pareri e punti di vista, ma non vuole comunicarli al P. Provinciale «perché forse col tempo li abbandonerà». A proposito, anzi, di alcune sue obie­zioni e proposte comunicate al P. Provinciale, Padre Kolbe conclude: «Non voglio dire con questo che P. Costanzo non sia un buon Padre. Anzi, è devoto, zelante e - cosa molto bella - è aperto e sincero, mentre tutto questo allarmarsi proviene dal suo sistema nervoso indebolito; d'altra parte, si può notare in lui una certa man­canza di preparazione ad una vita secondo lo spirito di Niepo­kalanów». E aggiunge, pure, qual'è, in merito, il suo proposito e programma spirituale: «Per quanto mi sarà possibile cercherò l'amore vicendevole... In certi casi, però, questo è semplicemente impossibile, sino a che P. Costanzo non amerà l'Immacolata e la sua Milizia, il suo Kishi, le sue Niepo­kalanów, perché quello che rende con­tenti e lieti tutti noi, lo turba, lo rattrista, lo annoia e lo spinge a reagire. Tuttavia, come ho già accennato sopra, talvolta si nota una ripresa e allora egli riconosce che deve comportarsi in modo diverso, però in seguito ricade nuovamente nello stato d'animo precedente. A me sembra che sia soprattutto questa la causa della sua nevra­stenia. Mi sforzo di sorvolare su quei temi in sua pre­senza». Nel suo impegno di amore, arriva addirittura ad affidargli incarichi di fiducia e a lavorare assieme a lui: «Il giorno 11 c. m. P. Costanzo mi ha chiesto scusa per tutto quel che c'è stato finora e mi ha promesso che per l'avvenire sarà diverso (...). Gli ho affidato subito l'incarico di economo e d'ora in poi lavoreremo insieme in redazione».  
 
In conclusione, P. Kolbe non solo ha amato tutti di amore soprannaturale, ma dirà, rifacendosi alle più pure fonti evangeliche, che non bisogna amare il pros­simo perché è simpatico, utile, ricco, influente o solo perché riconoscente. Sono, questi, motivi troppo meschini, indegni di un milite o di una milite dell'Immacolata. «L'amore autentico si eleva al di sopra della crea­tura e si immerge in Dio: in Lui, per Lui e per mezzo di Lui, ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici». A qualcuno arriva a dire: «I fratelli che crocifiggono sono un tesoro: amali».  
 
2. Padre Kolbe ha amato i «lontani» e quelli che gli si sono dimostrati nemici.  
 
Per «lontani», vogliamo intendere, più che quelli distanti da lui per lo spazio, quelli che da lui erano «distanti» per fede e amore. «Lontani», perciò, sono gli uomini di tutti i popoli e nazioni diverse; e «lontani» sono i «nemici» che combattono la sua nazione, la sua fede e i suoi ideali. Tra i propositi, fatti dal P. Kolbe, negli esercizi spirituali per il Suddiaconato, c'è pure quello di amare i suoi «nemici»: «Ama i tuoi nemici, soprattutto quando più numerosi sono i dispiaceri che essi ti hanno arrecato». «Sopportiamo - diceva pure - le piccole croci, amiamo assai le anime di tutti i nostri prossimi, senza alcuna eccezione, amici e nemici».  
 
Mai ha odiato i tedeschi che, pure, per tanti versi, lo avevano fatto soffrire. Sollecitato e «ferito» da una accusa dell'Ufficio Distrettuale Tedesco, aveva scritto: «... Vorrei sottolineare che non provo odio per nessuno su questa terra. La sostanza del mio ideale si trova nelle stampe accluse. Ciò che emerge da esse è mio: per questo ideale io desidero sempre lavorare, soffrire e magari offrire in sacrificio anche la vita; mentre ciò che è contra­rio a esso, non è mio».  
 
Ha amato i pagani e tutti coloro che sono nelle tene­bre dell'errore e dell'ignoranza: ne fa fede tutta la vita, spesa per illuminare ed evangelizzare. Per i poveri pagani ha donato il meglio di sé: la sua giovinezza, la sua intelli­genza, la sua salute, il suo tempo, sobbarcandosi a disagi e sacrifici spesso veramente eroici. Perché, animato dello spirito di Cristo, non può non soffrire nel costatare la situazione religiosa del mondo. Ecco, per es., come si esprime, a proposito dell'Oriente: «In Giappone su 65 milioni di pagani ci sono soltanto duecento sacerdoti e qualche altra diecina: si tratta davvero di un numero irri­levante, non vi pare? I cattolici sono poco più di 100 mila, ma che significa questo per masse così grandi di poveri - sì, di veramente poveri - pagani? ...». Quasi gli stessi rilievi a proposito della Corea, finendo con le parole: «Questo gran popolo invoca gli apostoli di Cristo».  
 
Ha amato i peccatori e gli eretici. I peccatori sono quelli che offendono Dio e danno dispiaceri anche ai fra­telli. P. Kolbe esorta, prima di tutto, al perdono vicende­vole e all'esercizio delle virtù, perché proprio le piccole croci, sofferte a causa dei fratelli, ci aiutano a crescere spiritualmente: «Per facilitare a noi l'attività volta al bene delle anime, Dio permette piccole croci di vario genere, dipendenti o indipendenti dalla volontà altrui, provenienti o meno da una volontà retta. (...). Perciò è sufficiente il perdono completo delle colpe altrui, commesse nei nostri confronti, per ottenere il diritto al perdono per le colpe che noi commettiamo nei confronti di Dio. (...) Inoltre, l'amore scambievole non consiste nel fatto che nessuno mai ci procuri dei dispiaceri, ma che ci sforziamo di non recar dispiaceri agli altri e ci abituiamo a perdo­nare subito e completamente tutto ciò che ci reca offesa».  
 
Bisogna poi volere sinceramente la salvezza di tutti: «Impégnati a fondo - scrive ad un altro - per ottenere la salvezza di tutti con ogni mezzo possibile». Chi più di lui - lo abbiamo già notato - ne darà la prova convincente?...  
 
Ha amato i protestanti, pur denunciando con fer­mezza i limiti e carenze della loro dottrina, o le intempe­ranze delle loro sette. Conosciuto il pastore protestante Kranz, non solo non lo fugge, ma ama discorrere con lui, cerca di illuminarlo in tutti i modi, lo raccomanda alla preghiera, invitando a porlo tra i «raccomandati» all'Immacolata.  
 
In Giappone avrà, tra i suoi primi collaboratori, il prof. protestante metodista Yamaki e il professor, pari­menti protestante, Tagita Koya, che gli traducono, senza compenso, in giapponese. Yamaki, anzi, è il suo più valido traduttore. Prega e fa pregare per loro.  
 
Egli vuole sinceramente la conversione degli eretici.  
 
Ha amato ebrei, massoni e altri «nemici» della Chiesa. Tra i nuovi abbonamenti al «Cavaliere», da lui inviati quando era ancora ricoverato a Zakopane, c'è anche il nominativo del giovane socialista Lopata Ladi­slao. Egli invita il confratello, a cui scrive, ad inviare a tale giovane anche qualche libretto sul socialismo.  
 
Conversa volentieri con gli Ebrei; ammette volentieri che molti di essi cercano la verità, e li invita alla conversazione.  
 
A conclusione del primo anno di pubblicazione del «Cavaliere» polacco, Padre Kolbe, dopo aver calorosa­mente ringraziato tutti coloro che lo hanno aiutato, aggiunge: «Con la medesima carità noi ci rivolgiamo a coloro che sono stati nemici del Rycerz ed anche a coloro che hanno rivolto i loro sforzi in questa direzione allo scopo di non permettergli di uscire. A tutti costoro noi perdoniamo di cuore, augurando loro ... di tornare all'o­vile, se fossero lontani. Sempre ad Ebrei offre la Medaglia miracolosa; battezza uno studente ebreo, in punto di morte; e ai parenti stessi che, per questo, insceneranno, dopo, un pandemonio, offre la Medaglia miracolosa.  
 
P. Kolbe annota pure, con santa soddisfazione, come, avendo offerto la Medaglia miracolosa a dei prigionieri bolscevichi, l'hanno accettata anche due giudei, che erano tra i soldati polacchi. Ad un ebreo che, stando al buio in treno, gli aveva offerto una candelina, permettendogli così di poter recitare il breviario, P. Kolbe promette di celebrare per lui una santa Messa. Ogni qualvolta, in treno, si incontra con Ebrei e protestanti, discute fran­camente e amabilmente con loro, e li pone, poi, tra i «raccomandati» nella preghiera all'Immacolata. Né è da dimenticare come egli divulghi, con grande ammira­zione, le figure di ebrei convertiti, come quella del Rati­sbonne, del Norsa, divenuto francescano conven­tuale. E, particolare degno di rilievo, mai ha voluto accogliere e pubblicare nel «Cavaliere» stampe e scritti contro gli ebrei. Certo, P. Kolbe non ha taciuto le colpe e i limiti di questo grande popolo, come meglio vedremo più avanti, parlando della massoneria. Egli deplora soprattutto che essi non abbiano accettato il Cri­sto e continuano ad accanirsi contro di Lui, così come si accaniscono non meno contro i cristiani: lo testimonia tra l'altro, quanto scritto nel Talmud.  
 
Sì, P. Kolbe non nasconde la verità, ma non odia, non disprezza gli ebrei. Dopo di aver sottolineato il livore contro Cristo e i cristiani, che permea tutti i dodici volumi del Talmud, Padre Kolbe, semplicemente, si rammarica sinceramente di una situazione morale religiosa non certo confortante, annotando: «Nulla di strano, quindi, che né un comune ebreo né un rabbino abbia di solito, un'idea esatta della religione di Cristo: nutrito unicamente di odio verso il proprio Redentore, sepolto nelle faccende di ordine tem­porale, bramoso di oro e di potere, non immagina nep­pure quanta pace e quanta felicità offra fin da questa terra il fedele, ardente e generoso amore verso il Croci­fisso! Come esso supera tutte le "felicità" dei sensi o dell'intelligenza, offerte da questo misero mondo!».  
 
Per i massoni l'amore del Padre Kolbe non è meno intenso: lo vedremo quando si parlerà, appunto, della lotta da lui ingaggiata specialmente contro di loro.  
 
Padre Kolbe amò tutti gli uomini, ma specialmente i più diseredati nel corpo e nell'anima, come è precetto nel Cristianesimo. A poveri e derelitti egli darà, spesso, nel campo di concentramento, la sua già misera razione di cibo. Mentre nella sua Niepo­kalanów, divenuta durante la seconda grande guerra mondiale, centro di accoglienza anche di ebrei, si ripetevano eroismi grandi, e si scrivevano pagine di amore per tutti i bisognosi, senza discriminazione di razza o di nazionalità.  
 
3. P. Kolbe, avendo amato solamente, mai è stato un «anti...».  
 
Se P. Kolbe ha amato tutti, compresi i nemici, è evidente che mai ha lottato e odiato i tedeschi, gli ebrei, i massoni, i protestanti, i marxisti, ecc., in quanto tali.  
 
Purtroppo P. Kolbe è stato accusato, soprattutto, di essere stato un antiebreo. Una vera e propria calun­nia, di cui meglio ci occuperemo più avanti. Egli, certo, non condivideva, lo abbiamo visto, tanti comportamenti e metodi di vita e di azione degli ebrei, ma le divergenze, e quindi i suggerimenti dati, a parte che mai sono faziosi e acri, sono sempre di carattere tecnico. D'altra parte, mai avrebbe potuto nutrire sentimenti d'odio colui che, anche quando consumava il suo tremendo calvario, aveva detto a chi gli parlava di odio e di vendetta: «L'odio divide, separa e distrugge, mentre al contrario l'amore unisce, dà pace ed edifica. Nulla di strano, quindi, che solo l'amore riesca a rendere sempre gli uomini per­fetti».  
 
Il Dr. Stemler, che provvidenzialmente lo incontrò nel campo della morte, ha così testimoniato al processo per la di lui canonizzazione: «I miei sentimenti erano di dolore e di disperazione. Io volevo vivere!... Le sue parole invece erano profonde e semplici. Esortava ad avere forte fede nella vittoria del bene. L'odio non è forza creativa. Solo l'amore è forza creativa - sussur­rava stringendo forte la mia mano nella sua infuocata -. Questi dolori non ci piegheranno, ma devono sempre più aiutarci ad essere forti. Sono necessari insieme con gli altri sacrifici perché coloro che rimarranno dopo di noi siano felici...».  
 
Contro insinuazioni e sospetti, frutto di elucubrazioni né serene né obiettive, valgono i fatti, le testimonianze non sospette, le luci sempre intense e immacolate di una intera esistenza. Sì, P. Kolbe, in tutta la sua vita, non ha fatto che amare ed amare nella maniera più eroica. La sua ultima immolazione doveva costituire,semplice­mente, il coronamento adeguato di tutto un cammino e di una crescita prodigiosa. Egli è un miracolo di amore: è questa la sua aureola, è questo il suo monumento perenne!  
OK

Cap. II - I «NEMICI» DELL'IMMACOLATA

 
Padre Kolbe parla spesso di «nemici» di Dio, dell'Im­macolata, della Chiesa, ecc. C'è da chiedersi: possono esi­stere «nemici» di tal genere? E cioé: è possibile che esi­stano «nemici» di un Dio che è amore per definizione, o nemici di Colei che è, per antonomasia, la Madre della bontà e della misericordia? Soprattutto, possono esi­stere «nemici» per un cristiano, che professa una religione tutta basata sull'amore, e il cui più grande precetto è quello dell'amore di Dio e dei fratelli?... Può un cri­stiano, il cui distintivo è l'amore fraterno e al quale si fa obbligo di perdonare una infinità di volte le offese ricevute, e di rispondere col bene al male, ritenere alcuni come «nemici»? Può, soprattutto, parlare di «nemici» chi, come Padre Kolbe, è figlio e seguace di Francesco di Assisi, che salutava «frati e sore» gli esseri e le creature della creazione, e perfino le malattie e la morte?... Sì, nonostante tutto, si può e si deve parlare di «nemici», pur senza intaccare in nulla la realtà e le esigenze autentiche dell'amore.  
 
I - Chi deve ritenersi «nemico».  
 
Nemico è tutto ciò che, di fronte, contraria e contra­sta. Perciò, quanto e quanti contrariano e lottano Dio, sono suoi nemici. Generalmente, poi, chi lotta e avversa Dio, combatte pure tutto ciò e tutti quelli che sono dalla parte di Dio e a Lui si rifanno, e quindi l'Immacolata, i Santi, ecc. Ancora, chi lotta Dio, lotta soprattutto la Chiesa cattolica, che di Dio è speciale e universale stru­mento di salvezza e di misericordia, rivelazione, deposita­ria e trasmettitrice della sua parola e della sua verità.  
 
La Chiesa, a sua volta, si immedesima e si riflette, al massimo, nei Santi e soprattutto nell'Immacolata e in Cristo Gesù. Nessuna meraviglia, allora, che P. Kolbe parli, indifferentemente, dei «nemici» di Dio e del bene, denominandoli, spesso, semplicemente «nemici di Dio» o «nemici della Chiesa» o «nemici dell'Immacolata».  
 
Ma, in pratica, chi lotta e avversa Dio?...  
 
a) Tutto ciò che, oggettivamente, è, per natura o per posizione presa, contro la verità e il bene. La verità, il bene, l'ordine, l'amore ed ogni altro valore eterno, in definitiva, si identificano con Dio.  
 
Il contrario della verità e della bontà è l'errore, la menzogna, la cattiveria e il peccato sotto tutte le forme. E cioé tutte le deformazioni e deviazioni che, consapevol­mente o no, maliziosamente o no, si ritrovano o possono trovarsi nell'uomo e nella creatura intelligente. In questo senso anche tutte le religioni, ad eccezione di quella cri­stiana cattolica, non per il vero e il buono che c'è in esse e unisce a Dio, ma per gli errori che vi si frammi­schiano, quindi nelle loro oggettive deformazioni, soprat­tutto se comprese e sostenute come tali, sono «nemiche» di Dio, in lotta con Lui! Ogni oggettiva deformazione o deviazione è sempre assolutamente incompatibile con Dio, così come lo è la luce con la tenebra.  
 
La deformazione o deviazione, tuttavia, costituisce vera e propria inimicizia e contrasto e opposizione a Dio solo quando è volontario e consapevole rifiuto di Dio e dei valori che Egli implica.  
 
Affermando che l'opposizione tra Dio e il peccato, tra Dio e l'errore colpevole è totale, irriducibile, si vuol dire che non può mai esistere, oggettivamente, alcun cedimento al peccato e all'errore, né accomodamento e compromesso alcuno da parte di Dio. Il solo ipotizzarlo, anzi, costituirebbe offesa gravissima.  
Ma chi sono, tra le creature intelligenti, ad opporsi volutamente a Dio?...  
 
b) Il diavolo, prima di tutto. Egli è come 1'incar­nazione del male e della menzogna; essendo il suo agire orientato sempre, essenzialmente, a contestare, negare, diffamare, lottare la verità e il bene. Egli è, perciò, l'av­versario per eccellenza di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, e anche il vero capo di tutto il male. Diciamo così, perché non ci sfiora neanche il dubbio sull'esistenza personale del diavolo, per noi assolutamente certa, come lo è per tutta la Tradizione della Chiesa.  
 
P. Kolbe parla spesso di questo «nemico», attribuen­dogli molte malefatte. Tra l'altro, egli cerca di porre osta­coli al bene, accaparrando strumenti per la sua azione nefasta. Moltiplica le insidie al calcagno dell'Immaco­lata, cercando di insozzare col peccato specialmente le anime consacrate a Lei, anche se i suoi tentativi sono destinati, in gran parte, al fallimento.  
 
Prende di mira, tutto particolarmente, Niepo­kalanów e la sua azione.  
 
Il diavolo è l'autore principale di tutto il male morale esistente nel mondo: da lui la spinta a tutti i peccati, a tutti gli errori, a tutte le eresie. Da lui la forza e l'inco­raggiamento a tutti gli operatori di iniquità. Il male nel mondo, come vedremo, costituisce il corpo stesso del serpe infernale, proprio in quanto esso, oltre che apparte­nergli, è da lui vivificato e alimentato in permanenza.  
«Nemici» di Dio e dell'Immacolata devono dirsi pure:  
 
c) I peccatori di qualsiasi genere, con le riserve sopra espresse, coloro, cioé, che, scientemente o no, aderiscono liberamente all'errore; violando la legge santa di Dio, ed opponendosi al suo amore. Si tratta, più particolarmente, di quei peccatori che vivono o giacciono nei loro peccati, nulla facendo o non facendo abbastanza per uscirne; o che, addirittura, si ostinano a permanervi, avendo pratica­mente estromesso Dio dalla loro vita: atei pratici che «a Dio preferirebbero - dice P. Kolbe - non pensare, non parlare di Lui; meglio ripetere come quegli automi: "Dio non esiste", poiché se esiste, beh, allora ...bisogne­rebbe vivere in modo tutto diverso»;  
 
d) Gli eretici, quelli, cioé, che ostinatamente, secondo la definizione del Codice di Diritto Canonico, perman­gono in idee e posizioni dottrinali, dichiarate difformi dalla verità e condannate dalla legittima autorità della Chiesa. P. Kolbe, come vedremo, parla spesso delle eresie.  
 
e) «Nemici» dell'Immacolata sono soprattutto coloro che, oltre a scegliere e perseverare nel peccato o nell'er­rore, combattono anche, come possono, la verità e il bene, Dio e tutto ciò che a Lui fa capo e a Lui si riferisce; e difendono e propagano il male. Qui, ovvia­mente, il carattere di «nemico» è più netto e più evidente, delineato com'è nelle sue linee più specifiche. E vero che, per lo più, chi vive perversamente, è già portato, come d'istinto, a difendere il proprio tenore di vita. Ma, anche in questo caso, c'è chi lotta per solo interesse, per giusti­ficare cioé il proprio comportamento, e c'è chi lotta per una carica anche di odio e di ostinazione, che si porta nel cuore. Con ciò, però, non si vuol dire che non esi­stono anche «nemici» in buona fede, uomini cioé che difendono ed esaltano, come «buone e vere», dottrine e costumi oggettivamente perversi o aberranti.  
 
Purtroppo, la buona fede e le buone intenzioni non modificano né sopprimono, come è ovvio, peccati ed errori con tutte le loro tristi conseguenze. Di qui il motivo principale per ritenere anche costoro come «nemici» della verità e del bene. E, in effetti, P. Kolbe non esita a chiamare «nemico» chiunque si oppone alla verità, incoraggiato in ciò, anche, dall'atteggiamento preso dal Beato Duns Scoto, nella difesa del domma dell'Immacolata Conce­zione di Maria: «Mi fecero impressione - egli afferma - le parole della preghiera di Duns Scoto: ‘Dignare me laudare Te, Virgo, sacrata; da mihi virtutem contra hostes tuos’. Non pensava, qui, ai pagani o eretici, ma a quelli che avevano duecento argomenti per provare la loro tesi. E perciò, quando si tratta dell'Immacolata, non domanda lui né prudenza né amore, ma `virtutem' e questo 'con­tra', e li chiama duramente, prima di vedere i loro argo­menti, `hostes tuos'».  
 
A questo punto, possiamo capire quella che potrebbe ritenersi una vera e propria definizione del «nemico» del­l'Immacolata. Nemico dell'Immacolata «È tutto ciò che è macchiato di peccato, che non conduce a Dio, che non è amore; è tutto ciò che è prodotto dal serpente infernale, il quale è la menzogna personificata: tutti i nostri difetti, quindi, tutte le nostre colpe». Un bel testo, senza dubbio, che a volerlo analizzare un po', più da vicino, illumina non poco il problema che ci occupa. Da esso si deduce che è nemico di Dio:  
 
Tutto ciò che è macchiato di peccato, e quindi anche il peccatore che ha peccato o pecca per fragilità e debo­lezza. In pratica, chiunque non è arrivato ad una totale purezza o completa liberazione dal peccato. Naturalmente poiché la grazia rende «amici di Dio», la qualifica di «nemici» di Dio, riferita a essi, deve applicarsi, più che mai, ai peccati o scorie di peccati, che ancora sussistono in essi. È quanto lo stesso P. Kolbe dirà più oltre. Nemico di Dio è:  
 
Tutto ciò che non conduce a Dio. E cioé, oltre al peccato, propriamente detto, tutto ciò che, anche se buono o indifferente in se stesso, si rivela, nell'uso o in pratica, come impedimento ad andare a Dio. Così, per es., un'amicizia, buona in se stessa, potrebbe divenire ostacolo ad essere tutto di Dio; un talento di qualsiasi natura, buono in se stesso, potrebbe rivelarsi, nella pratica della vita, vera e propria disgrazia per l'anima; ecc. È solo e sempre in questo senso che tali realtà debbono ritenersi «nemiche di Dio».  
 
Nemico di Dio è ancora:  
 
Tutto ciò che non è amore. L'amore è la forma di ogni virtù, e perciò ogni atto buono, se non è informato dall'amore soprannaturale, non costituisce mai virtù autentica. Qualunque gesto, anzi, non compiuto per amore, almeno implicito e non formalmente escluso, diviene peccato e perciò «nemico» di Dio;  
 
E tutto ciò - ancora - che è prodotto del serpente infernale. È logico, infatti, che quanto prodotto e voluto da chi è fissato nel male, non ha mai un fine ultimo retto e buono, e perciò tutto è male, anche quello che, in sé e per sé, potrebbe essere buono.  
 
E, infine, tutti i nostri difetti, tutte le nostre colpe. La colpa, infatti, anche nei suoi più tenui e - si direbbe - insignificanti risvolti, è sempre qualcosa che è contro la perfezione e l'amore di Dio, oltre che contro la perfe­zione dell'uomo.  
 
II - I «nemici» esterni della Chiesa.  
 
È evidente che tutto ciò che viene classificato come nemico di Dio, non può essere solo pura astrazione, né può essere solo prodotto del demonio. Accanto a pecca­tori e anime, gravati più o meno da colpe ed imperfezioni - «nemici», in parte, anche questi, come vedremo, da convertire e santificare -, esistono veri e propri nemici esterni, non solo portatori, ma esaltatori e propagatori di errori e di peccati o, comunque, del male sotto qual­siasi forma ed espressione. Sono i nemici che possono individuarsi, con sufficiente esattezza, in tutti coloro che, più o meno apertamente, combattono la Chiesa di Dio. L'odio contro Dio si riversa infatti, ordinariamente, contro la Chiesa che è il «Corpo» di Cristo (cfr. Ef 4, 12) e l'«universale sacramento di salvezza», e perciò espres­sione la più completa del mistero di Dio nel tempo.  
 
Questa lotta, sempre in atto fino alla fine dei secoli, assume, nelle varie epoche della storia, toni drammatici e colore di sangue. Una di queste epoche è certamente la nostra che, a detta di qualche autorevole anima santa, è stata come abbandonata al potere di satana. Padre Kolbe, già nel 1923, scriveva: «Su tutta la faccia della terra, da una parte in modo più debole, da un'altra con maggiore accanimento, ferve una lotta contro la Chiesa e la felicità delle anime. Il nemico si manifesta sotto abiti diversi e denominazioni diverse.  
 
Tutti conoscono il modo con cui il socialismo, approf­fittando delle misere condizioni dell'operaio, gli ha inculcato il veleno della miscredenza. Vediamo come i bolscevichi perseguitano la religione. Ascoltiamo l'insegnamento dei materialisti, i quali desiderano restringere l'universo soltanto a ciò che noi conosciamo immediatamente con i sensi, allo scopo di convincere, in tal modo, se stessi e gli altri che non esiste né Dio né l'anima. La teosofia inculca 1'indifferentismo religioso, mentre gli «studiosi della sacra Scrittura» ed altri protestanti si acquistano la simpatia dei credenti con grosse somme di dollari. Tutti questi blocchi formano un fronte di battaglia compatto contro la Chiesa».  
 
Per il P. Kolbe, dunque, - e dal 1923 ad oggi, la situazione, sostanzialmente, non è mutata gran che, anche tenendo conto del fenomeno dell'ecumenismo, esploso prepotentemente, soprattutto, col Vaticano II - nemici esterni della Chiesa di Dio sono socialisti, bol­scevichi, materialisti, teosofi, sette protestanti, ecc., sotto la guida di ebrei e massoni. Infatti, egli dice: «È ben noto a tutti che sono gli ebrei a dirigere il socialismo e a governare attualmente nella Russia bolscevica. Essi non mancano neanche tra le schiere dei materialisti. Gli «studiosi della sacra Scrittura», poi (...) non sono altro che un bolscevismo mascherato con tutte le premesse dei talmudisti. Anche nella teosofia gli ebrei fanno la loro abbondante comparsa (...). Inoltre, anche la sola denomi­nazione: «loggia», analoga alle organizzazioni massoniche, fa molto pensare. (...) Che i massoni esercitino qui da noi una grande influenza anche sul governo è dimostrato in modo eloquente (...). Di fronte a questi dati di fatto, si può ancora essere dubbiosi nell'individuare la guida sotto la quale combattono, consapevolmente o meno, i nostri nemici? Ecco chi è la mano misteriosa che spinge il nostro paese alla rovina». Per P. Kolbe, dunque, nemici della Chiesa di Dio sono, soprattutto, i prote­stanti, i socialisti, i comunisti e la massoneria. Ha ragione P. Kolbe di parlare così?... Non c'è che da analizzare, con assoluta imparzialità e sincerità, i vari movimenti ideologici, ai quali i suddetti «nemici» si rifanno.  
OK

1. Il Protestantesimo.  
 
Il Protestantesimo, come è noto, fa capo a Martin Lutero, l'ex frate agostiniano, ribellatosi a Roma, ufficial­mente, il 1519.  
 
Il suo atteggiamento di contestazione, fattosi sempre più crudo e violento, finì per coinvolgere, ben presto, nella scissione, principi e autorità, teologi e letterati, vescovi e masse di popoli di varie nazioni. La frat­tura, verificatasi nella Chiesa, non solo da allora non si è più rimarginata, ma è divenuta sempre più profonda e molteplice. Mancando, infatti, di un efficace centro o polo di unificazione, il Protestantesimo si è andato fran­tumando, ben presto, in sette innumerevoli, spesso, in lotta feroce le une contro le altre. P. Kolbe, rifacen­dosi, nella Polonia del 1922, ad elenchi del Ministero delle Confessioni Religiose e dell'Istruzione Pubblica, enumera ben quindici gruppi protestanti che svolgono «una febbrile attività contro la Chiesa di Dio».  
 
E, tuttavia, attenendoci qui a quanto più ci interessa, rileviamo che le sette si ritrovano, sostanzialmente, tutte, o quasi tutte, su i punti fondamentali della Riforma, e cioé:  
 
La giustificazione, ritenuta «imputata» o forense, non è inerente all'uomo stesso rigenerato. Questi, perciò, pur giustificato, resta peccatore: giusto e peccatore, quindi, al tempo stesso. Giusto perché gli viene imputata la giu­stizia di Dio; peccatore, perché, nel suo essere, è total­mente corrotto;  
 
Autore di ogni giustificazione e mediatore unico tra cielo e terra è Cristo, morto per noi. Non c'è posto, perciò, - senza fare offesa a Cristo - per altre media­zioni, di qualsiasi genere e natura. Di qui il rifiuto della Chiesa visibile, del sacerdozio ministeriale e dei sacra­menti in genere, eccetto il battesimo e la cena, del culto dei santi e della Vergine Santissima;  
 
La fede fiduciale in Cristo, riguardata come l'unico mezzo di giustificazione che, perciò, è assolutamente gra­tuita e indipendente dalle opere dell'uomo;  
 
Ciò che regola e nutre la fede è la S. Scrittura, e quindi la Parola di Dio. Una parola, ispirata dallo Spirito Santo, senza altri «magisteri», meno che mai quello, infal­libile, del Papa.  
 
Ma, detto ciò, possono i protestanti qualificarsi, vera­mente, come «nemici» della Chiesa? P. Kolbe, lo abbiamo visto, lo afferma, ciò che, in clima ecumenico come quello odierno e dopo le ripetute affermazioni del Conciho Vaticano II, appare, per lo meno, fortemente ana­cronistico. E, tuttavia, l'affermazione del P. Kolbe, anche a non tener conto del tempo in cui è stata scritta, se bene intesa, non è né inesatta né offensiva. P. Kolbe, in effetti, non fa processi alle intenzioni, ma si attiene strettamente ai fatti. Ora, come già abbiamo fatto notare, la dottrina protestante, oggettivamente, in molti punti, non è quella cattolica.  
 
E un fatto, per es., che, al di là delle polemiche, soprattutto, sulla discussa figura del Riformatore, i protestanti negano le verità cattoliche della Chiesa visibile, della mediazione del sacerdozio ministeriale, del primato e infallibilità del Romano Ponte­fice, della legittimità del culto della Madonna e dei Santi, ecc. Almeno per questo, il protestantesimo resta, oggetti­vamente, tra i «nemici» della Chiesa cattolica. D'altra parte, ancora oggi, nonostante il clima ecumenico, non sono rari gli attacchi violenti sferrati dai Protestanti con­tro la Chiesa cattolica: senza dubbio, prove anche queste di una «inimicizia» non del tutto svanita. Ma, ripetiamo, al di là della polemica, come non vedere, in questo e in tanti altri segni, l'atteggiamento e lo spirito del «nemico», che non solo non accetta, ma attacca acremente la dottrina cattolica?  
 
P. Kolbe non fa questione di persone, ma di dottrina, e questa va misurata e vagliata sul metro della verità oggettiva e rivelata. Chiunque non è in consonanza con questa, ovviamente vi è in contrasto. Si può, certo, e si deve parlare di un certo pluralismo di metodi e di prospettive. Ma i tentativi, pur generosi e portati avanti con ottima intenzione, di far combaciare protestan­tesimo col cattolicesimo, sono evidenti inaccettabili for­zature.  
 
Quali poi siano i punti dottrinali del protestantesimo toccati dal P. Kolbe è tutt'altro discorso. Abituato a scri­vere occasionalmente, più che sistematicamente e, forse, rivolgendosi a lettori ai quali poteva interessare solo fino ad un certo punto la questione della giustificazione o della fede fiduciale, ecc. P. Kolbe accenna solo a qualche punto dottrinale, di più immediata comprensione. Così, per es., accenna all'origine equivoca dei Movimenti della Riforma; alla allergia protestante per scapolari, meda­glie, quadri e immagini della Madonna e dei Santi, anche se, da qualche parte, sembra affiorare una certa nostalgia per la «Madre». Rileva pure il loro atteggiamento accomodante, in fatto di penitenza e di mortificazione. A proposito, per es., di un certo pastore protestante, egli scriveva: «Anch'egli, come in generale i protestanti, inor­ridiva di fronte alla penitenza». E quando gli ha fatto leggere, in merito, alcune parole di san Paolo, egli aveva risposto: «che queste cose le ha attuate soltanto san Paolo, mentre gli altri non sono obbligati ad imitarlo». Accenna alla loro richiesta di una chiesa nazionale e all'opposizione, almeno da parte di alcuni protestanti polacchi, alla proposta di dichiarare Maria SS. Regina della Polonia; alla loro opera di propaganda spicciola e alle loro innumerevoli pubblicazioni a bassissimo costo o addirittura gratuite, distribuite a larghe mani, e soste­nute dai dollari di ricchi protestanti americani, e alle loro spese annue, ammontanti a 5280 miliardi di dollari.  
 
In conclusione, il giudizio del P. Kolbe, che ritiene il protestantesimo «nemico dell'Immacolata» e della Chiesa, non ci sembra da buttar via solo perché si vive, oggi, in un clima ecumenico.  
OK

2. Il Socialismo.  
 
Altro «nemico» di Dio con cui bisogna fare i conti è costituito dall'odierno socialismo, dal socialismo cioé fiorito in questi ultimi secoli, perché il socialismo è fenomeno storico mondiale, sempre presente presso i popoli e nel mondo classico.  
 
Il socialismo, in tutte o nella maggior parte delle sue forme od espressioni, vuole l'abolizione della proprietà privata, della famiglia e della religione; si batte per il comunitarismo e l'uguaglianza di tutti in tutte le cose e quindi aspira a distruggere la gerarchia della società ed ogni forma di autorità. Ma vediamo come lo presenta lo stesso P. Kolbe. Il socialismo, sotto tutte le sue forme:  
 
Sogna di realizzare un paradiso in terra, con abbon­danza cioé di tutti i beni materiali, con libertà, ugua­glianza e fraternità per tutti.  
 
Per questo vuole socializzare tutto, mettendo tutto in comune, e abolendo la proprietà privata. «Il socialismo sopprime la proprietà privata o, almeno la proprietà dei mezzi di produzione. E il governo, quindi, che stabilisce il tipo di lavoro, il governo lo valuta, il governo che lo retribuisce». Bisogna liberarsi da ogni credenza in Dio, nell'anima immortale, ecc. ecc. P. Kolbe cita, per es., tra gli altri «maestri» in merito, Dietzgen: «Se la reli­gione si fonda sulla fede in esseri ultraterreni, al di là del nostro mondo, e in forze superiori, in esseri spirituali e nella divinità, allora la democrazia deve essere senza religione». Mentre Bebel aveva chiaramente affer­mato: «In campo politico noi miriamo alla repubblica, in campo economico al socialismo, mentre in quello che si chiama campo religioso miriamo all'ateismo». P. Kolbe, pur riconoscendo «che la classe operaia è stata in gran parte trascurata, e che il socialismo si è interessato di lei...», afferma tuttavia, con grande chiarezza, che il socialismo va rigettato in pieno, ed è giustamente con­dannato dalla Chiesa. Infatti:  
 
Il socialismo è una concezione di vita che si basa su asserzioni mai veramente provate. «Ogni sistema, sia politico che economico, sia in definitiva sociale, deve basarsi su di un effettivo e reale stato di cose e non rendere omaggio ad asserzioni senza fondamento e ad illusioni di fantasia troppo effervescente. E purtroppo il socialismo è malato proprio di questo. Asserzioni senza fondamento sono le frasi ripetute all'infinito e mai dimo­strate, le quali affermano che non esiste né Dio, né un'a­nima immortale, né una vita oltre la tomba, né il paradiso né l'inferno e così via». Praticamente un materialismo completo: «Lo sguardo del socialismo (...) non va al di là della bara mortuaria, non si libra al di sopra di un mondo puramente materiale».  
 
Il socialismo è incapace di offrire la felicità all'uomo. Un uomo, dice in sostanza P. Kolbe, che spazia nell'infi­nito, che perciò è sempre insoddisfatto, potrà mai conten­tarsi di limiti e di un mondo così ristretto? L'uomo non vuole limiti: «E queste persone che hanno una mente tanto ristretta, invischiata in un materialismo grossolano, osano annunciare all'umanità la felicità?». E supposto anche che l'uomo si contentasse della felicità materiale, i socialisti «saranno poi capaci di rendere felice l'umanità con dei mezzi materiali? Riusciranno a coprire ogni uomo di oro, a circondarlo di gloria e a dargli la possibilità di godere qualsiasi piacere? Illusione di una fantasia malata! (...) Tutto quello che il mondo può dare, non basta ancora per l'uomo. Tutti questi beni hanno i loro limiti, deludono e suscitano i desideri di una felicità più grande e più duratura, e quando essa viene meno, l'anima si sente invadere dal tedio, dalla noia e da una specie di tenebra». Parole sacrosante di cui sono tragica conferma molti aspetti e situazioni della società di oggi!  
 
Il socialismo va rigettato ed è giustamente condan­nato, ancora, perché:  
Non è capace di offrire neppure una felicità mate­riale: «Ma forse il socialismo sarà in grado di procurare fino alla sazietà almeno questo bene terreno? No, neppure questo. Libertà, uguaglianza, fraternità: sono bei principi, ma il socialismo, dopo aver violato la natura umana, la quale brama orizzonti più vasti e tende all'infinito, non è capace di procurarle queste realtà; sono troppo nobili e troppo sublimi». Il socialismo, dunque, poiché non tiene conto della natura umana, si fonda solo su una grande illusione. Da una parte, infatti, abolendo la pro­prietà privata, priva l'uomo della sua innata libertà che intende operare quando, cosa e come gli piace: «Ecco l'impulso naturale di libertà innata che i socialisti, in nome della libertà (?!) vogliono schiacciare».  
 
La stessa cosa deve dirsi a proposito dell'uguaglianza: è impossibile realizzarla per tutti. «Ciò sarebbe possibile, - annota giudiziosamente P. Kolbe - solamente se potessimo esistere tutti insieme nel medesimo tempo, nel medesimo luogo e nelle medesime condizioni, sia di natura che di ambiente. Ma questo è fisicamente impossi­bile. Noi ci diversifichiamo per età, per luogo di nascita, per capacità, per tendenza, per condizioni di salute, per laboriosità, per avvedutezza, per i diversi avvenimenti che capitano durante la vita e per le varie attività. Tutto ciò dipende dalla natura stessa delle cose; di conseguenza non lo si può cambiare. Devono esserci quindi sia i genitori che i figli, sia i superiori che i sudditi». Non meno impossibile una spartizione assolutamente uguale di beni.  
 
Il socialismo è capace di realizzare, almeno, la frater­nità autentica? I fatti, purtroppo, smentiscono le promesse.  
 
Incapace di risolvere i grandi problemi dell'uomo, il socialismo si presenta, purtroppo, anche come nemico della religione e della Chiesa: una nota di più di deplora­zione e chi difetto: «Bisogna deplorare - scrive P. Kolbe - il fatto che esso abbia colpito la Chiesa, che stia facendo di tutto per strappare all'operaio, perfino al bam­bino, il preziosissimo tesoro della fede e gli ideali più sublimi ed innati. Avviatosi in tal modo lungo una strada sbagliata, esso genera unicamente la schiavitù e la tirannia del governo sui cittadini e misconosce le aspirazioni della nobile e libera natura umana. Parole che, scritte nel 1923, non hanno perduto nulla della loro drammatica verità. Molti gli eventi, anzi, che hanno confermato e confermano tale diagnosi.  
 
C'è da meravigliarsi, si chiede P. Kolbe, che la Chiesa l'abbia condannato? E che lui, P. Kolbe, lo consi­deri uno dei terribili nemici dell'Immacolata?  
 
3. II Socialismo di Marx o Comunismo.  
 
Marx, pur accettando alcuni aspetti dei vari sociali­smi allora in voga, ne criticherà tutte le forme, perché «utopiche» e fuori della realtà e della storia. I socialisti «utopici», infatti, «invece di vedere le condizioni mate­riali come causa dell'organizzazione sociale, immagina­vano il contrario, e pretendevano di cambiare le condizioni materiali per mezzo di `riforme sociali', frutto dell'ingegno umano (utopie)».  
 
Marx pretende, invece, di presentare un socialismo scientifico, in quanto «è previsto come conseguenza necessaria del cammino dialettico della storia, come ter­mine del processo evolutivo dell'umanità che fa se stessa mediante la produzione dei beni materiali. Marx dichiara espressamente come, ad es., in occasione della fondazione della Prima Internazionale nel 1864, ha dovuto usare i termini di libertà e giustizia perché non poteva farne a meno, data la stupidità (dice lui) dei suoi collaboratori» (DEL NOCE, Pensiero politico, 178). Però giustizia, libertà e qualsiasi altro 'valore previo', in nome del quale si postuli una determinata organizzazione sociale, per il marxismo non hanno significato». In breve, il sociali­smo marxista si presenta come analisi scientifica della realtà e come concezione filosofica: è, cioé, materialismo storico e materialismo dialettico. Materialismo storico perché insegna che la realtà non è l'essere ma la storia e, cioé, il divenire incessante di tutto. Un divenire deter­minato completamente dalle leggi e dalle situazioni eco­nomiche, divenire che è processo ascendente nel quale il motore dei salti qualitativi da un'epoca all'altra sareb­bero le contraddizioni interne delle forme sociali. Materialismo dialettico perché insegna che i vari momenti storici si susseguono in una dialettica di tesi, antitesi e sintesi, che però non è più quella di Hegel, anche se così sembra all'apparenza.  
 
Il socialismo marxista, come e più delle altre forme di socialismo, si fonda tutto sui valori materiali, econo­mici; che costituiscono la struttura portante di ogni società terrena. Se cambia la struttura economica, cam­biano anche i valori morali, religiosi, artistici e filosofici, che sono sovrastrutture da essa determinate.  
 
In definitiva, il socialismo comunista è il marxismo più puro, quello che sarà portato alle estreme conse­guenze, in rigorosa logica, da Lenin e da Stalin.  
 
Il marxismo o comunismo si caratterizza, abbastanza chiaramente, come «nemico di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, soprattutto per alcune sue impostazioni fonda­mentali, e cioé:  
 
nega Dio e ogni religione. Gramsci, uno dei più lucidi e coerenti teorici del marxismo, scriverà: «Il nostro evangelo è la filosofia moderna (...), quella che fa a meno dell'ipotesi di Dio nella visione dell'universo, quella che solo nella storia pone le sue fondamenta, nella storia di cui noi siamo le creature per il passato e i creatori per l'avvenire». E ancora: «Siamo storicisti per la conce­zione filosofica che nutre il nostro movimento; neghiamo la necessità di ogni apriorismo, sia esso trascendente, come vuole la fede religiosa, sia anche storico come il privilegio borghese». Marx, d'altra parte, aveva già affermato che la religione addormenta, e perciò è assolu­tamente incompatibile con il socialismo, oltre tutto per la lotta che questo porta avanti: «La religione è l'oppio del popolo», per questo «la lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo del quale la religione è l'aroma spirituale».  
 
Il comunismo poi, tutto fondato com'è nell'odio e nella rivoluzione, rigetta ogni valore etico e, spe­cialmente l'amore del prossimo. Abbiamo già detto che, per il marxismo, i valori etici non sono che sovrastrutture della struttura economica; cambiando questa anche i valori cambiano fino a quando non si arriva alla totale sparizione di tutto, con l'inaugurazione del «paradiso sulla terra». Laforgue, genero di Karl Marx, dichiarerà nel suo giornale «Socialiste»: «I principi eterni libertà, patria, diritti dell'uomo, ecc. sono tossici intellettuali, energici come Dio, paradiso, inferno, come tutte le altre mistifica­zioni della religione».  
 
Non l'amore, perciò, ma l'odio: «Quest'amore, dice Marx, si esprime in frasi sentimentali che non possono sopprimere i rapporti ideali, di fatto; addormenta l'uomo con una tiepida pappa sentimentale che lo nutre. Invece è necessario ridare all'uomo la forza». E Lunatcharski: «Abbasso l'amore del prossimo. Ciò che occorre è l'odio. Dobbiamo imparare a odiare: è così che arriveremo a conquistare il mondo». E già la Pravda aveva scritto il 30 gennaio 1934: «L'amore cristiano che si rivolge a tutti, perfino al nemico, è il peggiore avversario del comunismo».  
 
Il comunismo, dunque, è essenzialmente odio e rivo­luzione, esso anzi segna il massimo della rivoluzione: «Tutte le tendenze livellatrici e rivoluzionarie dei secoli passati sono giunte oggi al vertice della loro esaspe­razione.  
 
Non si può essere più radicali sulla via dell'orgoglio e della rivoluzione, proclamando qualcosa di più dell'u­guaglianza degli uomini in campo politico, economico e sociale. Non si può portare più oltre la lussuria, isti­tuendo qualcosa di più del libero amore».  
 
Per il comunismo esiste una sola etica, quella che serve al trionfo della lotta di classe: «Esiste una morale comunista?» - si chiede Lenin -. «Esiste un'etica comu­nista? Naturalmente esiste (...). Noi neghiamo la morale nel senso in cui la predicava la borghesia, che aveva dedotto questa morale dai comandamenti divini. A questo proposito diciamo, naturalmente, che non crediamo in Dio e sappiamo molto bene che era il clero, erano i grandi proprietari fondiari, era la borghesia a parlare in nome di Dio, per far trionfare i propri interessi di sfrut­tatori (...). La nostra etica è interamente subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato. La nostra etica scaturisce dagli interessi della lotta di classe del pro­letariato (...). Per noi non esiste un'etica considerata ad di fuori della società. Questa sarebbe un inganno. L'etica è per noi subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato (...). E diciamo: la morale è ciò che serve a distruggere la vecchia società sfruttatrice e ad unire tutti i lavoratori attorno al proletariato, che sta costruendo la nuova società comunista (...). Per un comu­nista la morale è tutta in questa disciplina compatta e solidale e nella lotta cosciente delle masse contro gli sfruttatori. Non crediamo alla morale eterna e smasche­riamo ogni sorta di favole ingannatrici sulla morale».  
 
Fondata sull'odio e la violenza, espressione la più acuta della rivoluzione, tale ideologia non poteva e non può non grondare sangue, ovunque riesce ad affermarsi, giacché qui non è l'ideologia che si adegua alla realtà o verità, ma è l'uomo che viene costretto, con tutti i mezzi, ad adeguarsi ad una ideologia, ritenuta verità! Di qui le innumerevoli vittime e gli stermini di masse che, ovunque, seguono l'instaurarsi del comunismo. Dai soli resoconti ufficiali, dati da quegli stessi che propagano e diffondono e costruiscono questa ideologia, ci sono stati già oltre 250 milioni di vittime.  
 
Ciò che ha fatto dire ai «nuovi filosofi»: «La metafisica marxista pone l'in­nocenza originaria dell'uomo all'inizio, e necessariamente l'innocenza recuperata alla fine. Dopo di che in un regime socialista realizzato, il più piccolo colpevole è un mostro incredibile, e vi sono dieci pareri differenti sulla condotta da tenere - cosa che già in sé sembra inconcepibile - nove sono satanici in attesa che il decimo lo divenga (...). Perché non si è mai detto, perché ci si rifiuta di comprendere che questo inferno terrestre deriva implaca­bilmente dal dogma dell'innocenza? Che non c'è perdono perché non c'è peccato?».  
 
Il comunismo è l'ennesimo e finora più deciso tenta­tivo a favore dell'ateismo e della torre di Babele. Lo aveva intuito già Dostoevskj, parlando del socialismo in genere: «ll socialismo non è soltanto la questione ope­raia o quella del quarto stato, è anzitutto la questione dell'ateismo, della sua incarnazione contemporanea; è la questione della torre di Babele, che si costruisce senza Dio, non per raggiungere i cieli dalla terra, ma per abbassare i cieli fino alla terra».  
 
P. Kolbe è perciò decisamente avverso al comunismo né mai si sognerà di tentare impossibili avvicinamenti tra esso e il cristianesimo, perché non è affatto vero che essi sono «molto simili tra loro». Un atteggiamento di coerenza, basato su dati di assoluta obiettività. Esempio e monito, anche in questo, a tanti, caduti oggi miseramente nella trappola del compromesso storico. Kolbe avrebbe, certamente, condiviso in pieno ed accettato la consegna di Papa Pio XI che, qualificando il comuni­smo di «intrinsecamente perverso», aggiungeva logica­mente che «non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana».  
OK

4. La frammassoneria.  
 
P. Kolbe parla, spesso, nei suoi scritti, della massone­ria. Di essa ne tratteggia la storia, la natura, le finalità e le malefatte. La massoneria è un'associazione segreta, formata in gran parte, da ebrei, organizzata e fondata dai liberi pensatori inglesi a Londra, nell'anno 1717, con scopi ben definiti, che si possono ampliare ma mai modificare da alcuno o cambiare. Uno di questi scopi è la liquidazione totale del mondo soprannatu­rale, e la distruzione di qualsiasi religione, soprattutto quella cattolica.  
 
Si caratterizza, perciò, nella sua azione e comporta­mento, per un odio mortale per la Chiesa cattolica e il suo Papa o Vicario di Cristo sulla terra. Un odio che struttura, per così dire, «un'azione sistematica, (...) conse­guenza del principio della massoneria»: «Distruggere qual­siasi religione, soprattutto quella cattolica». Alimen­tata dall'odio, la lotta alla religione e al soprannaturale si acuisce soprattutto là dove è più presente la religione, come per es., a Lourdes: «In questo luogo miracoloso» - scrive P. Kolbe - «fin dagli inizi a tutt'oggi, la mas­soneria si affatica con ogni sforzo per lottare contro 1'Immacolata, ricorrendo anche a ridicoli puerili ripieghi pur di negare od occultare la realtà di una guarigione miracolosa».  
 
Nemici dichiarati del soprannaturale e di ogni reli­gione, i massoni si presentano, conseguenzialmente, anche come «nemici della moralità, nemici dell'Immacolata», diffondendo, a piene mani, il malcostume, l'indifferenza religiosa, ecc.: «Disseminate nei modi più diversi e in maniera più o meno evidente in tutto il mondo, le cellule di questa mafia mirano proprio a questo.  
 
Si servono inoltre di tutta una congerie di associa­zioni, dai nomi e dagli scopi più svariati, che però, sotto il loro influsso, diffondono l'indifferenza religiosa e inde­boliscono la moralità». E, in effetti, chiarisce P. Kolbe, «con il paganesimo reazionario (la massoneria) sta infettando la scuola, l'arte, il teatro, il cinema e la lette­ratura».  
 
Nemica della religione e della moralità, la massoneria - cosa ancora più nefanda - coltiva il satanismo auten­tico, esercita cioé il culto di satana, anche se ciò lo si vorrebbe relegare tra le «favole», inventate dai mistifica­tori antimassonici, per calunniare una innocente e onesta associazione.  
 
Inoltre, decisi ad avere il dominio del mondo intero, i massoni sono gli autori di tutti i moti politici, agitazioni e rivoluzioni più importanti della storia: «Dalla loro officina - dice P. Kolbe - è uscita la rivoluzione francese, tutta la serie di rivoluzioni dal 1789 al 1815, ed anche la ... guerra mondiale. Secondo le loro indicazioni lavora­rono Voltaire, D'Alembert, Rousseau, Diderot, Choiseul, Pomba, Aralda, Tanucci, Hangwitz, Byron, Mazzini, Pal­merston, Garibaldi e altri. (...) La massoneria mette sul piedistallo le persone che vuole e butta giù, quando esse hanno voglia di agire di testa propria. Lo sperimentò di persona in modo assai evidente lo stesso Napoleone».  
 
Fin qui il pensiero di P. Kolbe. Che dire di tali affermazioni? Sono esse frutto di una di quelle opposi­zioni viscerali, senza ragione e senza logica?... Tutt'altro. Esse potrebbero essere, invece, abbondantemente suffra­gate, una per una. Limitiamoci a farlo solo per qualcuna di esse.  
 
La massoneria è un'associazione formata, in massima parte, di Ebrei.  
 
Lo spirito della massoneria è certamente giudaico: «Le connessioni (tra massoneria ed ebraismo) sono molto più intime di quanto non si potrebbe pensare. Il giudai­smo dovrebbe conservare un atteggiamento più benevolo e di profonda simpatia verso la massoneria in genere. Perché lo spirito della massoneria è quello del giudaismo nelle sue credenze più fondamentali; le sue idee sono giu­daiche, il suo linguaggio è giudaico, la sua organizzazione è quasi giudaica. Tutte le volte che mi avvicino al santua­rio dove la massoneria assolve il suo lavoro, vi sento il nome di Salomone, del tempio di Hiram... del Dio di Abramo». Poi, è certo che, tra quelli che fondarono o si legarono alla massoneria e al socialismo, gli ebrei sono moltissimi.  
 
La massoneria è un'associazione segreta. Papa Leone XIII asserisce categoricamente che la massoneria si man­tiene, tutta, sul segreto, legando a sé gli uomini come schiavi. Il segreto è fatto osservare dai «fratelli» con la minaccia di terribili sanzioni, non esclusa la pena di morte. Ora questo atteggiamento è grandemente sospetto. Ricorrere al sofisma che il segreto è necessario per la sopravvivenza stessa della massoneria è come giuocare a rimpiattino. Ci sono ben altri mezzi, più puliti e meno sospetti, per assicurare la sopravvivenza e la funzionalità di un ente associativo. Adoperarsi a nascondere con tutti i mezzi equivale a confessare che, nell'associazione, c'è qualcosa di losco, di equivoco da dover necessariamente sottrarre all'occhio indiscreto degli uomini, della giustizia, ecc.  
 
La massoneria si propone la liquidazione del sopran­naturale e di ogni religione. La massoneria, infatti, non solo è fondata sul naturalismo più totale e radicale, ma ripudia, di per sé, ogni soprannaturale. L'essenza stessa della massoneria - almeno, per es., di quella italiana - è il naturalismo. Di qui il culto esasperato, idola­trico della ragione umana; il culto della libertà illi­mitata, svincolata da ogni legge; il suo materialismo completo, nonostante le più vaghe affermazioni su Dio, l'anima, ecc. Di qui anche la lotta ad ogni religione e specialmente alla Chiesa cattolica, fondata in così larga misura sul soprannaturale. «La nuova massoneria (quella sorta dopo il 1717) diventa militante al servizio e alla difesa della religione naturale, nuova religione dell'uma­nità che distrugge e soffoca ogni forma di soprannaturale. Dichiara guerra alla Chiesa e alle nazioni dichiaratamente cattoliche...».  
 
Tutta fondata sul naturalismo e sul materialismo, e tutta protesa alla distruzione del soprannaturale e di ogni religione, la massoneria è nemica, logicamente, di ogni moralità. E perciò fomenta l'egoismo a tutto spiano, anche se il tutto è abilmente camuffato sotto l'apparenza della filantropia e del galantomismo. Così suona, per es., il giuramento del 3° grado della massoneria: «Io, nulla più di me, tutto per me e ciò con qualunque mezzo».  
 
Esalta spudoratamente i piaceri del sesso, idolatrando la forza generativa, senza alcun freno e discrezione. E così, riducendo tutto al materialismo e al sesso, arriva ad infettare tutto. In effetti, il modello di società odierno, fondato sull'edonismo incondizionato ecc. ecc., è voluto, in gran parte dalla massoneria imperante. Pratica il satanismo e la profanazione dell'Euca­restia.  
 
La massoneria ha compiuto i più grandi misfatti, provocando guerre, rivoluzioni e rivolgimenti di ogni genere: «La massoneria finanziò e sostenne la rivoluzione comunista russa del 1905 e del 1917; nel 1918 finanziò il comunista Bela Kun in Ungheria e il «fratello» Edoard Benes in Cecoslovacchia; nel 1936 la rivoluzione spagnuola; nel 1945 le truppe americane e alleate pote­vano occupare facilmente, anzi l'avevano già fatto, i terri­tori dell'Austria, della Cecoslovacchia e dell'Ungheria, ma in ossequio agli accordi di Yalta il massone Churchill e il massone Roosevelt lasciarono campo libero a Stalin».  
 
Attualmente la massoneria esercita il suo influsso soprattutto nell'ambito religioso e filosofico. Si può dire, senza esagerare, che il progressismo che oggi dilania pro­fondamente la Chiesa, dopo il Vaticano II, è un prodotto dell'influsso filosofico esercitato dalla massoneria sulla Chiesa: tra progressismo e massoneria vi sono strette affi­nità di concezione e di pensiero.  
 
E, per finire con una nota tutta italiana, il Risorgi­mento italiano è opera della massoneria.  
 
Che se si fosse tentati di trovare tutto ciò come esagerato e non credibile, gioverà ripetere le parole di S. Pio X, dette quando era ancora Patriarca di Venezia: «Anch'io, per qualche tempo, ho creduto esagerato quanto veniva affermato a suo (=della massoneria) riguardo. Poi, per l'esperienza del mio ministero, ho avuto occasione di toccare direttamente le piaghe da essa (massoneria) aperte. Da allora, sono convinto che tutto quello che è stato pubblicato su questa associazione infer­nale, non ancora ha svelato tutta la verità».  
 
Ma, oggi, ci si chiederà, dopo tante accuse e smen­tite, dopo tanti tentativi, più o meno abili, di redimere la massoneria dalle pesantissime accuse rivoltele, si può affermare che è cambiata, in qualche cosa?.... Purtroppo no. Nulla è cambiato in fatto di materialismo e di natura­lismo; nulla è cambiato quanto alla lotta al soprannatu­rale, ecc. ecc. Ce lo dicono i massoni stessi. Il massone Renzo Brunetti così scrive sulla «Rivista massonica», maggio 1979, pp. 193 ss.: «Se il segreto della Massoneria è 'singolo vero', che l'uomo discopre in sé e non riusce­rebbe a comunicare neppure se lo volesse (come osserva il Lessing), la scintilla del divino che il Grande Architetto ha immesso in ciascuno di noi, non sarà mai alcuna rive­lazione ed alcun dogma a soffocarla, né alcun rito o sacramento a violarne l'impareggiabile esclusività». Nella stessa «Rivista Massonica», il massone Giuseppe Capruzzi affermava, tra l'altro, che la massoneria è pro­tesa «per la sua stessa identità, per la sua stessa natura, per la sua stessa nascita, per le sue stesse finalità, alla relizzazione del Tempio individuale e del Tempio sociale, non nell'alveo delle religioni particolari, ma nella supe­riore visione di quella religione cosmica che è stata profe­tizzata da Einstein». Siamo in pieno naturalismo e fideismo, che fa piazza pulita di tutto. Sarà mai possibile che ci sia pace tra Cristo e Belial?...  
 
Da notare, poi, che gli asseriti vari punti di contatto tra Cristianesimo e Massoneria, sono stati approfonditi in un clima di assoluta libertà, per sei anni, dalla Chiesa Cattolica e la Massoneria tedesca. Alla fine, la Conferenza Episcopale Tedesca rendeva pubblica una Dichiarazione, nella quale si sottolineavano i motivi di inconciliabilità tra fede cattolica e massoneria: motivi riassunti in 12 punti, comprensivi di tutta la visuale massonica del mondo, della verità, della religione, ecc., conclu­dendo infine: «Dopo attento esame di questi primi stadi, la Chiesa Cattolica ha constatato che esistono contrasti fondamentali ed insormontabili. La Massoneria, nella sua essenza, non è cambiata. Appartenere alla massoneria mette in dubbio le basi dell'esistenza di Cristo: l'esame approfondito dei rituali massonici e delle considerazioni fondamentali, come pure l'oggettivo riscontro che oggi la Massoneria non è cambiata, portano all'ovvia conclusione: non è conciliabile l'appartenenza alla Chiesa Cattolica e contemporaneamente alla Massoneria».  
 
Non senza ragione, dunque, anzi con mille ragioni molto ben conosciute e vagliate, P. Kolbe considera la massoneria come «nemica di Dio, dell'Immacolata e della Chiesa». Un giudizio che, ad oltre 50 anni di distanza, collima perfettamente con quello ribadito dalla Chiesa dell'assoluta incompatibilità della massoneria con la fede cristiana. Nelle «Riflessioni» si afferma, tra l'altro: «il clima di segretezza comporta, per gli iscritti, il rischio di divenire strumento di strategie ad essì ignote. Inoltre, il clima di relativismo, voluto e tollerato dalla massoneria, porta in sé, per la sua stessa logica intrinseca, la capacità di trasformare la struttura dell'atto di fede in modo così radicale da non essere accettabile da parte di un cristiano, 'al quale cara è la sua fede' (Leone XIII)».  
 
III - Il corpo e l'armata del serpe infernale.  
 
Non solo esistono molti «nemici», ma essi, pur divisi e spesso in lotta fra loro, formano corpo nel lottare la Chiesa e la verità. Come, anzi, esiste un Corpo Mistico che è la Chiesa, pienezza di Cristo, Corpo misterioso di tutti i credenti in Lui; così esiste un «corpo mistico», misterioso, che raccoglie tutto il male, tutti i per­versi, e che costituisce, possiamo ben dirlo, l'enne­sima scimmiottatura di satana, che è stato chiamato, a giusto titolo, la scimmia di Dio. Padre Kolbe lo afferma esplicitamente: «Tutte le eresie ed ogni peccami­nosa tendenza: ecco il corpo dell'antico serpente».  
 
Un corpo enorme «composto dalle più svariate eresie dei vari tempi e luoghi».  
 
Anche qui il linguaggio del P. Kolbe è perfettamente ortodosso e rispondente alla tradizione della Chiesa. S. Ambrogio afferma: «Impii sunt membra diaboli sicut sancti sunt membra Christi». E S. Ilario: «Ut enim omni­bus sanctis caput Christus est, ita omnibus iniquis caput diabolus est».  
 
Corpo e anche «armata» del serpente. Corpo dice identità di vita tra le membra, che si alimentano dello stesso sangue, e vivono della stessa vita e, quindi, corpo dice anche più stretta unità. «Armata» richiama più all'idea della lotta, nella quale sono uniti i «nemici» della Chiesa. Anche nell'armata, pur avendo ogni «corpo» il suo ruolo e il suo posto, tutti cooperano allo stesso fine, che è la vittoria e la distruzione dell'avversario. Nel corpo e nell'armata si distinguono delle membra, il grosso del corpo e il capo.  
 
Le «membra» del corpo o i vari «corpi» dell'armata sono le eresie. Di queste alcune sono le avanguardie, costituite dai Protestanti; mentre il «grosso» dell'armata è costi­tuito dalla massoneria e da tutte quelle forze o movimenti che, sotto i nomi e le denominazioni più diverse, sono comunque contro la Chiesa di Dio e la religione di Cri­sto. Esse si rifanno, in un modo o in un altro, a chi tutto coagula, manovra e spinge all'azione. P. Kolbe è convinto che, a coagulare tutto, è la massoneria; e che tutte le forze avverse alla Chiesa sono sempre e solo massoneria. P. Kolbe non è un pazzo che si autosugge­stiona; ha invece visto giusto, già dai suoi tempi.  
 
Ecco come si esprime un Autore di oggi: «Trivel­lando qua e là negli scritti riguardanti la storia di questi ultimi secoli, mi ero reso conto che i focolai di agitazione nel mondo sono collegati da cavi occulti, e che la lava eruttata dai vari vulcani di sovversione sale da un unico serbatoio di antica data». Quest'unico serbatoio è la massoneria, ciò che si prova abbondantemente in tutto il volumetto.  
 
Ma la massoneria è anche «capo» dell'armata. P. Kolbe lo afferma a più riprese: «Questi sventurati (=i massoni), anche se nascostamente, costituiscono il cervello delle più eterogenee manifestazioni contro Dio, la Chiesa, la salvezza e la santificazione delle anime». «... Nei nostri tempi il capo degli acattolici, la testa del serpente infernale, si può ben dire, è la massoneria»; «il capo delle svariatissime membra del drago infernale è, senza dubbio, nei nostri tempi, la massoneria». Di quale massoneria intende parlare P. Kolbe? E, cioé, quale mas­soneria è «capo»?... P. Kolbe sa bene, e non manca di annotarlo, che esiste una massoneria nella massoneria. Gli stessi massoni che si illudono di dirigere tutto e di comandare a tutti, in realtà sono comandati da altri. I massoni, in genere, egli dice, «appartengono davvero alla massoneria e nuocciono molto, ma non ne sono i veri capi. I capi sono i cosiddetti "massoni azzurri", mentre la massoneria cosiddetta "rossa" si restringe ad uno scarso numero di persone, in maggioranza ebrea, i quali, pienamente conscii dei loro scopi, dirigono l'intera nume­rosa massa di coloro che sono più o meno 'illuminati' nell'organizzazione massonica. Questi capi sono sconosciuti e agiscono sempre nel nascondimento, per rendere impossibile l'opposizione. Sono essi che predispongono i piani di lavoro». Di qui l'identificazione tra masso­neria ed ebraismo, almeno nei termini suggeriti da quanto abbiamo detto. Ciò che trova riscontro eloquente nel famoso «I protocolli dei savi di Sion».  
 
Questo testo famoso fu pubblicato, in prima edizione, nel 1903, e lo si ritiene opera o di un solo ebreo o di un gruppo poli­tico ebreo. Non ci interessa molto l'identificazione tra massoneria ed ebrei, resta però il fatto fondamentale - di cui si parla appunto nei «Protocolli», che non pos­sono non colpire per il sorprendente numero di loro idee attuate - che «la cospirazione internazionale nella quale Ebrei, frammassoni, comunisti ed altri avrebbero "com­plottato per minare l'ordine stabilito del mondo", e cioé l'ordine nel quale la cristianità si trova tuttora, e la pro­mozione "di una rivoluzione mondiale, che in ultima ana­lisi sfocerebbe in un mondo dominato dagli Ebrei", non è un mito». Dunque possiamo tranquillamente par­lare di una massoneria ebraica. O, se si vuole, ebrea o no, esiste una massoneria che tende al dominio mondiale ed è a capo di tutti i movimenti sovversivi contro Dio e la Chiesa cattolica. Padre Kolbe scrive ancora: «all'ori­gine dell'ateismo comunista possiamo tranquillamente collocare quella mafia criminale che si chiama "massone­ria". La mano che manovra tutto questo verso uno scopo chiaro e determinato, il proprio scopo egoistico, è il "sionismo internazionale", come diverse ricerche dimostrano con sempre maggiore evidenza».  
 
Naturalmente, parlando di Ebrei e della loro nefasta influenza in qualsiasi altro settore, oltre che quello masso­nico, non si vuole affatto sminuire la grandezza e la nobiltà di un Popolo che, sempre e ovunque, ha prodotto uomini di eccezione, in gran numero.  
 
La massoneria, considerata soprattutto nei suoi capi, apparenti o nascosti, rappresenta, per il P. Kolbe, il più grande nemico della Chiesa. «Di primo acchito - dice egli - potrebbe sembrare esagerata l'affermazione che il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa è la massoneria». Ma è questa semplicemente la verità: la massoneria è il più grande nemico. Infatti, essendo ramificata ovunque, riesce ad influenzare tutto e tutti: «Disse­minate nei modi più diversi e in maniera più o meno evidente in tutto il mondo, le cellule di questa mafia mirano proprio a questo scopo (= a distruggere la reli­gione). Si serve, inoltre, di tutta una congerie di associa­zioni, dai nomi e dagli scopi più svariati, che però, sotto il loro influsso, diffondono l'indifferentismo religioso e indeboliscono la moralità».  
 
È il nemico più potente. Tra le sue fila, infatti, ci sono governanti, ministri, uomini di affari, personalità di altissimo rango; e quindi è così che essa può spadroneggiare ovunque e sempre. Dispone, poi, di mezzi abbondantissimi, sicché può avere nelle sue mani quasi tutti i mezzi di comunicazione: «il cinema, il teatro, la letteratura, l'arte (sono) diretti in gran parte dalla mano invisibile della massoneria».  
A ragione, dunque, P. Kolbe può parlare della masso­neria come del «capo» del serpe infernale!  
OK

Cap. III - LA BATTAGLIA DELLA MASSONERIA

 
In un'unica grande battaglia, un'armata vi combatte impegnando, generalmente, tutte le sue «specialità» o «corpi», ciascuno al proprio posto e nel suo ruolo. E, tuttavia, la battaglia, pur se combattuta da tutti, lo è soprattutto da chi dirige e comanda l'armata. Non per nulla la gloria della vittoria o la vergogna di una disfatta è attribuita, tutto particolarmente, al comandante in capo. I vari reparti dell'esercito, infatti, possono anche, tra l'al­tro, non capire la strategia che presiede al loro impiego, appartenendo ad essi soprattutto l'eseguire le direttive date, in perfetta obbedienza.  
 
La massoneria, da «capo» dell'armata di satana, deve avere un piano da realizzare, giustificativo e comprensivo dell'azione dei singoli «corpi» o nemici della Chiesa. Esi­ste questo piano?... Quali le tattiche e le strategie adot­tate, nella battaglia?... Conoscere tutto questo è di capitale importanza per chi intende passare alla controffensiva, combattendo le grandi battaglie di Dio. P. Kolbe sembra aver capito molto bene tutto ciò. Infatti, egli parla di avanguardie, di grosso dell'esercito, di piani di battaglia, messi in atto dal «capo», la massoneria. Di che si tratta, in particolare?  
 
1. Le truppe d'avanguardia e la loro azione.  
 
In un esercito destinato, volere o no, a doversi misu­rare, presto o tardi, col nemico, ci sono o c'erano, tra l'altro, truppe leggere di avanguardia il cui compito è o era quello, principalmente, di sondare la consistenza o la vulnerabilità del nemico; di aprire brecce nello schie­ramento avversario, di attuare sortite di disturbo, prima che venga sferrato l'attacco dal grosso dell'esercito; ecc. ecc.  
 
Nell'esercito di satana, il ruolo o i compiti delle truppe d'avanguardia, appartengono, a detta del P. Kolbe, ai Protestanti. Infatti, dopo aver elencato quindici gruppi di Confessioni religiose protestanti e la loro attività, egli afferma: «Tutto questo lavoro, però, è soltanto una pre­messa. Solo dopo queste avanguardie viene il grosso del­l'armata del nemico». Le sette protestanti compiono, effettivamente, un lavoro di primo approccio, analogo a quello delle truppe di avanguardia. Infatti, scrive sempre P. Kolbe: «Essi non si limitano soltanto a predicare la menzogna con la parola, ma anche, e molto abbondante­mente, ingombrano le nostre città e villaggi con gli stam­pati più diversi: riviste, opuscoli, volantini e perfino dei libri. Le varie riviste (...) passano di mano in mano e avvelenano i cuori dei fedeli».  
 
Che dire di una affermazione del genere?... Affermare che i Protestanti sono le avanguardie dell'armata di satana può sembrare, ancora una volta, enorme, specie nel clima ecumenico di oggi. E, tuttavia, al di là delle buone inten­zioni dei singoli, sono i fatti che contano: i fatti che, nel caso, costituiscono offesa alla verità. Infatti, le sette protestanti svolgono, spesso, un lavoro di approccio, molto apprezzato dai nemici della Chiesa. «Che l'inonda­zione delle sette protestanti sia realmente l'avanguardia della massoneria» - scrive P. Kolbe - «è riconosciuto espressamente dalla rivista massonica Wolna Mysl. In essa si afferma: "Riservandoci una piena indipendenza di giu­dizio sulla validità interna della dottrina della Chiesa nazionale, possiamo tuttavia appoggiare la sua lotta, come pure quella di qualsiasi altra setta protestante, contro la supremazia della Chiesa Romana"». Ma questo è ancora poco. Prescindendo anche da quello che si è avuto o si potrebbe avere nelle varie contingenze storiche dalle varie sette protestanti, è il protestantesimo, in quanto tale, che ha preparato il terreno alla massoneria, avendo esso iniziato quella rivolta e rivoluzione, di cui il comunismo massonico, oggi, è solo il frutto maturo. In proposito così si è espresso lo stesso Carlo Marx: «Lutero ha spez­zato la fede nell'autorità, (...) ha liberato l'uomo dalla religiosità esteriore, (...) ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore. (...) Non fu la vera soluzione, fu tuttavia la vera impostazione del pro­blema». Infatti, annota l'Ocariz: Lutero operò prima di tutto «una soggettivazione religiosa». E cioè: «La verità oggettiva della rivelazione è ridotta al suo significato per l'uomo. Si tratta di una profonda inversione, che conduce direttamente a considerare Dio in funzione dell'uomo».  
 
Se, dopo, si passerà di negazione in negazione, di rivoluzione in rivoluzione, è precisamente in conseguenza dell'atteggiamento inaugurato dalla dottrina protestante. «Tutto il soprannaturale verrà (...) poi implacabilmente negato: spariscono le realtà ontologiche della grazia, la grazia causata realmente dai sacramenti (...), la verità della Rivelazione (ridotta al suo significato di redenzione del­l'uomo) e, passando per l'arbitrarietà del libero esame della S. Scrittura, viene negata ogni autorità esteriore, ecc.».  
 
Maritain considera Lutero, Cartesio e Rousseau gli iniziatori del mondo moderno, che hanno sconvolto tutto. Tra l'altro, il soggettivismo, iniziato da Lutero in campo religioso, e da Cartesio nell'ambito del pensiero, ci ha dato come conseguenza l'idealismo e tutti gli orrori derivati da una morale astratta e sganciata dalla realtà. Di questa non ultimi frutti sono il marxismo e il nichilismo. Battista Mondin, in un profilo su Lutero, piuttosto benevolo, è costretto, alla fine, ad ammettere che «dalla sua (= di Lutero) concezione della salvezza come fatto assolutamente personale discendono il sogget­tivismo, l'immanentismo, l'individualismo, il radicalismo, il capitalismo dell'epoca moderna».  
 
Lo stesso progressivo sganciamento degli Stati e Re terreni dalla Chiesa, sganciamento spinto a rivendicare una sovranità e autonomia assoluta, è dovuta anche, e per molta parte, ai principi della riforma protestante. Al principio di autorità, scosso fino alle radici, dal prote­stantesimo, subentrerà, in breve, un razionalismo arido, puntiglioso, superbo, rovinoso, che ha portato - ultimo epilogo, il Bultmann - alla negazione stessa o quasi del Cristo storico. E qui possiamo aggiungere con Ocariz: «Non è inutile - per provare l'influenza decisiva di Lutero su molti filosofi posteriori - segnalare che in grande maggioranza i "filosofi moderni" sono protestanti (Kant, Fichte, Hegel, Feuerbach, lo stesso Engels prima di cadere nell'ateismo, ecc., studiarono teologia prote­stante, e alcuni dei più rappresentativi furono perfino educati per essere pastori)».  
 
Ha ragione, dunque, P. Kolbe, di vedere nel Prote­stantesimo e nelle sue sette, le truppe di avanguardia che - storicamente e culturalmente - prepararono i tempi nuovi della rivoluzione e della contestazione totale alla Chiesa e a Dio. Un giudizio che può apparire duro, ma che è sostanzialmente condiviso da molti protestanti stessi. Ecco, per es., cosa scrive il Novalis: «La storia del protestantesimo non ci presenta più alcuna sincera manifestazione del soprannaturale; il suo inizio segnò un passeggero fuoco fatuo al quale fece immediatamente seguito un disseccamento del sentimento sacro; l'elemento mondano l'ha avuto vinto ed ha la precedenza; per natu­rale correlazione ne ha sofferto anche lo sviluppo artistico».  
 
Augusto Nicolas scriveva, a sua volta, a proposito di elementi puri e cristiani che pur si trovano nel prote­stantesimo: «Sono nel protestantesimo due elementi per­fettamente distinti: l'uno per il quale esso si è separato dal cattolicesimo; l'altro per il quale è rimasto a lui unito. Il primo, l'elemento protestante consiste in tutto quello che è stato l'oggetto della separazione e della pretesa riforma, cioè: il libero esame, la dottrina della giustifica­zione, il ripudio dei sacramenti della penitenza e dell'Eu­carestia, la soppressione dei digiuni e delle astinenze, il matrimonio dei preti, il divorzio e via dicendo: ecco la riforma, ecco il protestantesimo. Il secondo elemento, per il quale il protestantesimo è rimasto, ecc. ecc.».  
 
Ancora più drastico e feroce il Kierkegaard: «Più osservo Lutero e più mi persuado ch'era una testa con­fusa. È sempre un riformatore comodo quello che tende a sbarazzare dei pesi e a rendere facile la vita (...)». «Lutero tu hai una responsabilità enorme! Perché (...) vedo sempre più chiaramente che tu hai abbattuto il Papa... ma per mettere sul trono il "Pubblico"! Tu hai alterato il concetto di "martirio" del N. Testamento, insegnando agli uomini a vincere con la forza del numero». E ancora: «Lutero è esattamente il contrario di un "Apostolo". L'apostolo esprime il Cristianesimo nell'interesse di Dio, viene con l'autorità di Dio e nel suo interesse. Lutero esprime il Cristianesimo nell'inte­resse degli uomini: è in fondo una reazione dell'umanità contro il Cristianesimo inteso nell'interesse di Dio».  
 
Il protestantesimo contiene implicitamente la negazione di qualsiasi fede, non ammettendo una verità unica, necessaria che si impone allo spirito dall'esterno, ma tutto riducendo alla fede, resa certa solo da un sentimento per­cepito.  
 
A piena conferma delle parole di P. Kolbe valgono qui le parole di D. Giuliotti: «La Riforma, la Rivoluzione francese, il Liberalismo, il Socialismo e l'Anarchia deri­vano l'uno dall'altro e formano gli anelli dell'attuale catena che, in nome dell'idolatra libertà, ci fa tutti schiavi».  
 
Protestantesimo, avanguardia della massoneria e del­l'insieme degli errori e nemici moderni della Chiesa. Forse, non senza una ragione, P. Kolbe, nel narrare la storia della Milizia dell'Immacolata, mette insieme prote­stanti e massoni: «A quattrocento anni - egli dice - dalla ribellione di Lutero e a 200 dagli inizi della mas­soneria...».  
 
Protestantesimo e massoneria, d'altronde, hanno cer­tamente coabitato e coabitano insieme meglio di altre componenti: «Per ragioni facilmente comprensibili, sono stati paesi protestanti che hanno con più facilità potuto coabitare con essa (= la massoneria). Al contrario, la religione cattolica, assai poco incline ai compromessi del liberalismo dottrinale, è stata quasi subito oggetto della sua ostilità partigiana».  
 
2. Il grosso dell'esercito.  
 
Il grosso dell'armata nemica è costituito, secondo P. Kolbe, dalla massoneria: «Solo dopo queste avanguardie viene il grosso dell'armata del nemico. E chi è costui? Di primo acchito potrà sembrare esagerata l'affermazione che il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa è la massoneria».  
 
Cosa s'intende per il «grosso dell'armata»?... Non solo la massoneria in se stessa che, essendo «il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa» è come il grosso di un esercito. Ma si vuole dire pure che, manovrate e guidate da un unico abilissimo «capo», innumerevoli forze del male si ritrovano a formare come il «grosso» di un'armata, lanciata contro la Chiesa. Abbiamo già visto come, in effetti, gli stessi fenomeni del laicismo, del socialismo, del marxismo, del capitali­smo sono originati e manovrati dalla massoneria. Le innumerevoli forze nemiche sono come amalgamate e scagliate, tutte, contro lo stesso fondamentale bersaglio. Non solo. Ma P. Kolbe vuol dire pure che se i vari «corpi» o «specialità» possono anche attardarsi, singolar­mente, in azioni di disturbo o di poco conto contro la Chiesa e il bene; nel loro insieme, invece, come nel loro capo che le manovra, esse combattono, tutte, la stessa battaglia decisiva e fondamentale. Qual'è questa battaglia decisiva e fondamentale? È quella che mette fuori gioco, definitivamente, l'avversario, colpendolo alle radici o al cuore. Ma vediamolo più in dettaglio.  
 
A) L'offensiva nemica.  
 
Nella Chiesa cattolica quello che conta massimamente è il soprannaturale: essa vive di soprannaturale, è tutta tesa al soprannaturale e tutti gli uomini chiama al sopran­naturale. La sua esistenza, il suo operare sarebbero assolu­tamente incomprensibili fuori che alla luce del sopranna­turale. E, perciò, la massoneria, nel suo insieme come nei suoi adepti di natura o di occasione combatte soprattutto il soprannaturale.  
 
P. Kolbe ha già detto che la battaglia o scopo di tutta la battaglia della massoneria è la liquidazione totale del soprannatu­rale: non la diminuzione - si badi! -, non una modifi­cazione qualsiasi di dottrina o di morale o di atteggia­mento, ma la distruzione totale, la liquidazione completa. Il soprannaturale, cioé, per la massoneria, non deve esi­stere affatto, non esiste. Il che significa che, per la masso­neria, non esistono, non devono esistere né la rivelazione, né la fede, né la grazia, né i sacramenti, né, in una parola, la redenzione: «Il principio fondamentale di quanti professano (e perciò principalmente dei massoni) il naturalismo è, come il termine stesso indica a sufficienza, che la natura umana e la ragione umana debbano essere in tutte le cose maestre e sovrane. Una volta stabilito questo principio, dei doveri verso Dio o poco si curano oppure ne alterano la essenza per mezzo di opinioni erronee e vaghe. Negano completamente la rivelazione divina; non ammettono alcun dogma religioso; non accettano alcuna verità che non possa essere compresa dalla intelligenza umana; nessun maestro a cui si debba obbligatoriamente credere per l'autorità della funzione».  
 
La liquidazione del soprannaturale è veramente la battaglia decisiva. Liquidato, infatti, il soprannaturale, annota P. Kolbe, «non si parla più né di religione né di moralità», giacché è rimosso il fondamento stesso o l'«ubi consistam» di ogni essere e di ogni moralità e religione.  
 
Combatte ferocemente e odia con odio inestinguibile la Chiesa cattolica e il Papa, che del soprannaturale sono assertori invitti e gli amministratori fedeli: «...poiché è compito singolare ed eslusivo della Chiesa cattolica pos­sedere nella sua pienezza e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l'autorità del magistero e i mezzi soprannaturali per la salvezza, perciò stesso somma è contro di essa la rabbia e l'accani­mento degli avversari».  
 
Ma lo sforzo più energico degli avversari si esercita principalmente contro la Sede Apostolica e il Romano Pontefice. Per i fautori di queste sette massoniche: «si deve eliminare la sacra autorità dei Pontefici e (...) si deve distruggere dalle fondamenta lo stesso Pontificato, istituito per diritto divino. (...) Il vero obiettivo dei mas­soni è quello di perseguitare con odio implacabile il cat­tolicesimo e (...) non si daranno pace prima di avere visto stroncate tutte le istituzioni religiose fondate dai sommi Pontefici». La Chiesa cattolica, il Papa non sono i pilastri che reggono tutto, il cemento di unione di tutte le forze del bene?... Si spiega perché la battaglia è rivolta soprattutto contro di loro. E si spiega pure perché la massoneria è disposta a concedere tutte le libertà ad ogni cittadino o nazione, meno che alla Chiesa Cat­tolica.  
 
Naturalmente, se si combatte così accanitamente il soprannaturale, è per affermare e far trionfare il più radi­cale e totale naturalismo. Il naturalismo, di cui già abbiamo fatto cenno, qui, non è quel sano laicismo che dice autonomia nel proprio ambito, ma subordinazione a ciò che è più grande e dal quale si deve dipendere, per logica di cose. Il naturalismo e radicalismo mas­sonico è, invece, in contrapposizione e in alternativa al soprannaturale. Si esalta, cioè, e si afferma solo la natura, solo l'uomo, oltre di che non esiste assolutamente nulla che possa effettivamente imporsi a lui. Ultimo e principale intento della massoneria, ribadisce Papa Leone XIII è «distruggere dalle fondamenta tutto l'ordine religioso e sociale nati dalle istituzioni cristiane e creare un nuovo ordine a suo arbitrio, che tragga fondamenti e norme dal naturalismo».  
 
Ci si deve chinare solo davanti alla natura, all'uomo, alla ragione. Bisogna lavorare e donarsi solo all'uomo, anche se, poi, tutto questo si risolve nell'immolazione totale dell'uomo individuo e persona. Di qui l'afferma­zione fondamentale, fanatica dei massoni, del libero pen­siero e della più totale libertà. «Il criterio più alto, unico - per un massone - è la Ragione... che è al centro della realtà massonica». E, perciò, per il massone, il «principio superiore ad ogni altro ...è quello di restare fedele alla sola fede nel progresso dell'umana ragione». Senza più "tutele", guidati solo dalla ragione, il «dogma del libero pensiero si impone come norma sovrana al massone: "il libero esame e l'indefinita ricerca del vero con tutti i mezzi acquisiti dalla ragione, dall'esperienza e dalla scienza"».  
 
Autonomia del pensiero e, logicamente, autonomia della volontà con libertà assoluta. Agire liberamente significa obbedire solo alla propria ragione: «libertà dello spirito, del giudizio, della critica: indagine razionale senza limiti, che autogiustifica i propri principi; libertà da tutti i culti e da tutte le fedi, che si risolve in quella di pensare e di credere secondo la propria ragione e la propria coscienza».  
 
L'esaltazione e la rivendicazione di un'assoluta libertà, in fatto di costumi; lo sganciamento da ogni legame soprannaturale e l'affermazione incondizionata dell'uomo e dei suoi diritti, porta la massoneria ad una lotta, non meno feroce e totale, ad ogni espressione o rappresenta­zione di Dio e dell'autorità, e cioè della legge e del diritto naturale, della monarchia e di qualsiasi altra autorità tra­smessa «in nome» di Dio. Il massone lotta ogni autorità, chinandosi solo agli imperativi della massoneria, che sola gli comanda effettivamente. Davanti agli imperativi della loggia, tutto deve cedere il passo, si trattasse della propria vita.  
 
La lotta a Dio e alla Chiesa, presentata, con immensa ridicola presunzione, come «lotta della luce contro la tenebra, della libertà contro l'asservimento» è ritenuta dalla massoneria, addirittura, come sua nobile irrinuncia­bile missione. Una battaglia, comunque, di eccezionale importanza, dal momento che dall'esito di essa dipendono la salvezza dell'uomo e l'avvenire stesso della Chiesa e dell'umanità.  
 
B) Tattiche e strategie della massoneria.  
 
Tattica, nel gergo militare è la «branca dell'arte mili­tare che tratta i principi generali, i criteri e le modalità per l'impiego delle unità e dei mezzi di combat­timento».  
 
La strategia, invece, è la «branca dell'arte militare che tratta della condotta della guerra». Tattiche e strategie sono ordinate, ovviamente, a vincere la guerra: le tattiche servono alla strategia, in quanto sono le tatti­che che concretizzano e attuano la strategia e cioè la con­dotta della guerra, messa in atto per arrivare alla vittoria. Ebbene, come si comporta la massoneria nella lotta con­tro la Chiesa? La sua strategia la si potrebbe riassumere così: la Chiesa non la si vince se non con la corruzione. Ecco dunque la strategia della corruzione, attuata e por­tata avanti con le tattiche più svariate e subdole.  
 
La strategia della corruzione. Mentre la strategia del segreto serve ottimamente alla conservazione e all'azione indisturbata della massoneria stessa; la strategia della corruzione è rivolta contro la società che si vuole cam­biare, e contro la Chiesa. «Noi potremo vincere la reli­gione cattolica non col ragionamento, ma unicamente pervertendo i costumi».  
 
Corrompere tutto e tutti: giovani, donne e bambini; preti e semplici fedeli. Così, per esemplificare, si è venuti a conoscenza di un piano massonico di corruzione in grande della gioventù americana, progettato per il 1953. Vi si dice tra l'altro: «Abbiamo già cominciato a realiz­zarlo e lo perfezioneremo con i seguenti mezzi: il cinema, le pubblicazioni porno a buon prezzo; i libri comici con storie di sesso e di violenza; ultimo mezzo, ma non il più piccolo, la televisione... Non osiamo andare troppo lontano con la televisione, per il momento. Ma essa ci riserva un uditorio immenso, e sarà il mezzo migliore per accostare i bambini. Il nostro piano è di incoraggiare dapprima delle rappresentazioni amorose, se non subito immorali, così graduando progressivamente la malvagità, tutta calcolata, si avrà il possesso di tutta la gioventù. Sarà tenuta occupata tutto il giorno, senza lasciare spazio per la religione. Così i giovani al loro risveglio e al loro coricarsi a sera avranno la testa piena di cow boys, di omicidi, di terrori, di cartoni animati inoffensivi. Tutto questo per allontanare dal loro animo immagini religiose. Così i bambini saranno disorientati per anni. Poi, quasi occasionalmente si introdurranno costumi sfrontati e scene licenziose allo scopo di distruggere il senso della modestia...».  
 
Si cerca di corrompere soprattutto la donna. Vindice diceva: «Corrompiamola la donna. Corrompiamola assieme alla Chiesa: corruptio optimi pessima. Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande: la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, corruzione che deve condurci un giorno al seppel­limento della Chiesa Cattolica. Lo scopo è abbastanza bello per tentare uomini come noi. Il miglior pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla al cuore è la corru­zione. Dunque all'opera fino al termine».  
 
«Non istanchiamoci mai di corrompere», diceva a sua volta Nubius. «Tertulliano diceva con ragione che il san­gue dei martire era seme di cristiani. Ora è deciso nei nostri consigli che non vogliamo più cristiani; non fac­ciamo dunque dei martiri, ma rendiamo popolare il vizio nelle moltitudini. Fa d'uopo che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che ne siano sature. Fate dei cuori viziosi, e voi non avrete più cattolici».  
 
Una strategia che se vede all'opera innumerevoli forze, queste si muovono tutte sotto iniziativa e guida massonica. Così, per es., l'iniziativa massonica sulla legge del divorzio, altro mezzo principe di corruzione e di disordini morali, è espressamente affermata dalla Rivista Massonica, maggio 1974.  
 
Con quali tattiche viene attuata questa strategia?... Sono tante e tutte molto bene impiegate. Tra l'altro:  
 
a) Si favorisce, con tutti i mezzi, il nudismo, la por­nografia, il libero amore. Ecco, in merito, solo qualche dato: «In Italia la legge abortista, più che voluta dal popolo, è stata imposta dall'intero arco parlamentare laici­sta di origine massonica (radicali, socialisti, comunisti, repubblicani, liberali, ecc.)».  
 
Ma il programma si allarga a tutte le tecniche di demolizione della moralità, un programma così sintetiz­zato da un attento osservatore: «I cristiani si sciupino prima del matrimonio (immoralità inoculata con tutti i mezzi e liberalizzata); non giungano al matrimonio (non ce n'è bisogno, mancano i mezzi); se vi giungono, lo frantumino (divorzio facile, protetto); non facciano figli (contraccettivi propagandati dati gratis dalla mutua); se i figli sono in arrivo, siano uccisi (nessun favore alle famiglie numerose, intralci all'adozione, difficoltà per la casa); se sono allevati, non siano educati cristianamente (guerra agli istituti cristiani, alla religione nella scuola, controllo dell'editoria scolastica, della tv, dei giornali); se qualcuno scampa, sia emarginato dalla vita sociale (tiro al bersaglio ai cattolici migliori, e tutti zitti quando i cristiani sono falciati a diecine di migliaia in Biafra, Burundi, Vietnam, Uganda, Libano, Guinea, ecc.». E così, ancora, le connessioni tra la droga, la controcul­tura, la rivoluzione sessuale, la pornografia, gli affari ban­cari e la massoneria ci sono svelati dal volume DROGA S.P.A..  
 
Nel Synodus Mediolanensis del 22 dic. 1956, a p. 106, sono riportate le parole della Rivista internazionale delle società segrete del maggio 1928: «La religione non teme la punta del pugnale, ma può cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci quindi di corrompere, magari servendoci del pretesto dell'igiene, dello sport, della stagione, ecc. Per corrompere bisogna che i nostri figli realizzino l'idea del nudo... Per evitare ogni supposi­zione bisognerà progredire metodicamente».  
 
b) Si cerca di creare, accortamente, l'ambiente favore­vole alle proprie idee, con piccoli passi, prudenti sortite, fino a generalizzare un'opinione, rendendola mentalità. Si fa ciò favorendo soprattutto il piacere sessuale, una vita edonistica, ecc., tutto spiegando e giustificando con il pretesto della libertà di espressione, dell'arte per l'arte, ecc.  
 
c) Si favoriscono in tutti i modi le persone che posso o fare tutto questo; e soprattutto influendo, come una mafia e un cancro, sull'azione politica mondiale. Cosa facile alla massoneria che, infiltrata com'è, può arrivare praticamente dappertutto.  
 
d) Si dà, nello stesso tempo, a demolire l'avversario, in tutti i modi, con la calunnia, la violenza, il sopruso, la prepotenza. Papa Pio VIII arrivò a dire che la masso­neria è tutta menzogna: «La menzogna è la loro regola, satana il loro dio, la turpitudine il loro sacrificio»; mentre Leone XIII afferma che la Massoneria fa progressi enormi, perché si avvale «della spavalderia e dell'a­stuzia».  
 
e) Ci si avvale al massimo dei mass media, e soprat­tutto della stampa, dei quali la massoneria cerca di avere il monopolio assoluto. P. Kolbe ricorda come ad un raduno di massoni, Cremieux, ebreo francese, aveva affermato: «Considerate inutile ogni cosa, inutile il danaro, inutile la stima: la stampa è tutto. Con la stampa in mano avremo tutto». E nel Congresso Internazionale di Cracovia il rabbino inglese Mosè Montefiore aveva affermato: «Finché i giornali del mondo non saranno nelle nostre mani, tutte queste cose non serviranno a nulla. Mettiamoci bene in testa l'undicesimo comandamento: "Non sopporterai al di sopra di te nessuna stampa estra­nea, per poter dominare a lungo sui miscredenti". Impa­droniamoci della stampa e in breve tempo governeremo e dirigeremo le sorti dell'Europa intera». Già negli anni 1919-1921 P. Kolbe forniva le prove che, pur­troppo, non si trattava solo di parole: sono soprattutto i massoni che hanno compreso fino in fondo l'importanza di tale mezzo e ne hanno fatto un formidabile strumento di attacco: «Coloro che hanno compreso subito questa sono stati gli ebrei e, mi sia lecito dire con più chiarezza, i massoni, i quali con una logica di ferro» mirano alla distruzione di ogni religione e specialmente di quella cat­tolica. Seguendo le suddette "parole d'ordine", «essi si sono messi a lavorare con grande impegno e, pur­troppo, hanno già realizzato moltissime cose. Una parte notevole, se non adderittura la maggioranza dei quoti­diani più diffusi, si trova nelle loro mani. Basti dire che, già all'inizio di questo secolo, nella tanto "cattolica" Austria, ben 360 pubblicazioni nella sola lingua tedesca combattevano contro la Chiesa, 83 delle quali venivano pubblicate perfino ogni giorno. La tiratura della stampa cattolica raggiungeva i due milioni di copie, di cui 1.200.000 spettavano ai quotidiani. Quanto alla Germa­nia, il critico letterario Bartels scriveva che due terzi, se non tre quarti delle pubblicazioni periodiche apparten­gono agli Ebrei; in Ungheria 800 riviste su mille si tro­vano nelle mani degli ebrei. Inoltre essi si sono impadro­niti di quasi tutte le agenzie telegrafiche, per mezzo delle quali dirigono anche altre pubblicazioni. La sola agenzia Reuter di Londra rifornisce di notizie 5000 quotidiani; l'agenzia Stefani di Roma tutti i quotidiani italiani; l'agen­zia Havas di Parigi quelli francesi, spagnoli e belgi; l'agenzia Wolf di Berlino tutti quelli tedeschi, mentre l'agenzia Associated Press di New York rifornisce i quo­tidiani americani».  
 
I guasti, naturalmente, sono senza fine, e P. Kolbe non manca di documentarli con testimonianze anche di «nemici» stessi, come quella drammatica del socialista Lassalle che, impressionato appunto, da tante rovine pro­dotte, arriva a dire: «Questo è il più grande crimine che io conosca».  
 
f) E, non ultima, la corruzione dei costumi attraverso la corruzione di danaro, di cui i massoni dispongono, ordinariamente, in grande abbondanza.  
 
A questo punto, P. Kolbe non può non ammirare questa diabolica «sapienza», che sa così bene adattare i mezzi al fine voluto, scrivendo: «Noi potremmo vincere la religione cattolica non con il ragionamento, ma unica­mente pervertendo i costumi». Che saggia decisione!... Nella prima parte rende testimonianza alla veridicità della religione cattolica, perché soltanto la verità non può essere sconfitta con il ragionamento, anzi si fa ancora più luminosa. Nella seconda parte, invece, colgono vera­mente nel segno il punto debole, poiché per colui che si immerge nel fango dell'immoralità, la religione diviene qualcosa di incomodo, non vuol pensare ad essa e pro­clama a destra e a manca di non credere in Dio, come se qualcuno avesse già dimostrato che Dio esiste. Ma per lui Dio è troppo scomodo, perché per lui è inconce­pibile che ci possa essere una felicità superiore, l'unica che possa riempire e soddisfare la grande anima del­l'uomo. (...) Saggia, dunque, è stata quella decisione e conforme ad essa hanno cominciato ad insozzare voluta­mente e metodicamente la letteratura, l'arte, il teatro, il cinema, la moda, ecc. E se prima i costumi lasciavano molto a desiderare, in seguito l'immoralità si è riversata con prepotenza da tutte le fonti possibili, ha invaso le nostre città e persino i villaggi, trascinando dietro a sé l'indebolimento della fede, secondo le giuste previsioni di quella risoluzione».  
 
I frutti maledetti, infatti, di tale strategia sono più che evidenti: essi veramente «affogano le anime in una colluvie di letteratura e di arte volta a indebolire il senso morale. L'invasione di sudiciume morale scorre ovunque portato da un ampio fiume. Le personalità si afflosciano, i focolari domestici vanno a pezzi e la tristezza cresce assai nel fondo dei cuori insudiciati. Non sentendo in se stessi la forza di levarsi di dosso il giogo che le tiene avvinte, sfuggono la Chiesa, oppure insorgono addirittura contro di essa».  
 
Tutto questo, portato avanti con innumerevoli accor­gimenti e al riparo di un segreto inviolabile, fa sì che la massoneria abbia in pugno il mondo intero, salvando la faccia e la dignità dietro l'affermazione di un esterno galantomismo e di grandi ideali umani. Efficacissima l'im­magine di Crétineau Joly che paragona i massoni alle ter­miti: «Rodono internamente i travi d'una casa, e con un'arte ammirabile lasciano intatta la superfice del legno. Ma questa superfice è così sottile che il dito dell'uomo, premendola, spezza la trave».  
 
Così stando le cose, non si può non ammirare il coraggio di P. Kolbe di buttarsi nella mischia, per salva­guardare la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Non solo si giustifica la lotta contro la massoneria, ma si com­prendono pure i pesanti apprezzamenti del santo per que­sta associazione. Essa è «pestilenza e armata dell'anticri­sto»; è «malvagia e corrotta»; è una «mafia criminale». E si spiega pure la pioggia di condanne, abbattutasi sulla massoneria, da parte soprattutto dei Papi: dal 1738 al 1884 si contano ben 12 condanne!  
OK

Cap. IV - IL DOVERE E L'IDEALE DEL COMBATTERE

 
Di fronte all'imperversare dei nemici e alle rovine, da loro accumulate, non è lecito rimanere indifferenti o neutrali, afferma con decisione P. Kolbe: «Di fronte agli attacchi tanto duri di nemici della Chiesa di Dio è lecito rimanere inattivi? Ci è lecito forse lamentarci e versare lacrime soltanto? No affatto. Ricordiamoci che al giudizio di Dio renderemo stretto conto non solamente delle azioni compiute, ma Dio includerà nel bilancio anche tutte le buone azioni che avremmo potuto fare, ma che in realtà avremo trascurato. Su ciascuno di noi pesa il sacrosanto dovere di metterci in trincea e di respingere gli attacchi del nemico con il nostro petto».  
 
Che vuol dire P. Kolbe?... Vuol dire che di fronte all'onore oltraggiato di Dio, alla rovina delle anime per­petrata dai «nemici», che diffondono, a piene mani, il veleno e la morte, la lotta è dovere e necessità. Un dovere che, specialmente per un cristiano, scaturisce sia dalla natura stessa del suo essere, e sia dal precetto dell'amore. Il cristiano, infatti, inserito misteriosamente, ma realmente, nel «Corpo Mistico» di Cristo, non può tollerare con indifferenza e noncuranza, che Esso venga attac­cato e ferito e ucciso nelle sue membra. Chi mai reste­rebbe indifferente se venisse insidiata o attaccata la propria vita o la propria sanità? Senza dire nulla dell'o­nore di Dio, che ogni buon figlio non può assolutamente permettere che venga impunemente manomesso. Per que­sto, il cristiano, reso «adulto» e «soldato« dal sacramento della Cresima, ha ricevuto delle forze particolari ed armi convenienti e atte alla lotta e alla difesa della fede e della vita soprannaturali.  
 
Quando e come si assolverebbe la professione di sol­dati, se non si imbracciassero le armi neanche quando è in pericolo o insidiata la stessa fede e verità fondamen­tale di vita eterna?  
 
La difesa di Dio e della verità e della fede si impone anche per il precetto dell'amore. È questo il più grande precetto: «Amerai il Signore Dio tuo... Amerai il pros­simo tuo come te stesso». Come si può dire di amare Dio con tutte le forze se, rinnegato o insultato e bestem­miato, non si muove un dito per difenderne l'onore ed esigere che tutti Gli prestino il debito onore e rispetto?... Che se c'è obbligo di correre in aiuto del fratello che è nel pericolo o versa nel bisogno per il corpo, come non ci sarebbe obbligo di prestarsi soprattutto quando è in pericolo la sua anima e la sua eterna salvezza? Giu­stamente P. Kolbe scriveva: «Noi amiamo i nostri prossimi, i nostri vicini, ma abbiamo noi nel cuore un posto per le povere anime irretite nei lacci dell'eresia, della miscredenza e dello scisma? Apriamolo ad esse e diamoci da fare per introdurre l'Immacolata in questi poveri cuori, affinché Ella vi porti la vera felicità, Dio». E incal­zando dice ancora: «E come non porgere la mano a costoro? Come non aiutarli a rappacificare il loro cuore, a sollevare la loro mente al di sopra di tutto ciò che passa, verso l'unico scopo ultimo, Dio? L'amore al pros­simo spinge quelle anime che hanno già trovato il vero ideale di vita a non dimenticare i fratelli che li cir­condano».  
 
È precisamente in vista di questa lotta incessante con le potenze delle tenebre e i loro alleati, che l'Apostolo insiste, così spesso, a prendere le armi adatte e a rivestirsi dell'armatura della fede.  
Lotta di cui parla, non meno, il Vangelo, in termini anche paradossali. Così, per es., esso incita a reagire dra­sticamente al «nemico» o al male che insidia la propria anima. Si fa obbligo, infatti, di testimoniare la verità, anche a rischio della vita; di cavarsi l'occhio e di troncare la mano o il piede che scandalizzano o sono mezzi di peccato. Scandalo che, c'è da supporlo, va combattuto ed estirpato sia se è a danno proprio che a danno fisico o morale dei fratelli. E, così, è condannata l'indifferenza, il ripiegarsi su se stesso. E, così, ancora, l'obbligo di confessare Cristo davanti agli uomini non può, certo, limitarsi ai possibili casi di martirio, ma deve intendersi anche come «confessione» o testimonianza franca della verità e della fede, qual'è continuamente richiesta dagli incessanti attacchi e negazioni che, da ogni parte, se ne fanno: confessione e testimonianza che sono, anch'esse, forme di lotta e di combattimento. Gesù ripete pure: «Chi non è con me, è contro di me»: parole che affer­mano chiaramente un dovere preciso. Un dovere che incombe su tutti, anche se in maniera diversificata: sui superiori e sui sudditi, sui sacerdoti e sui laici; sui geni­tori e sui figli, sugli insegnanti e sugli alunni.  
Come comprendere, allora; come attuare un dovere del genere?  
 
1. Cosa comporta il dovere di opporsi al male e ai nemici.  
 
L'opporsi al male e ai «nemici» comporta una serie di atti e di comportamenti, che vanno dalla negazione e rifiuto di certe realtà, all'affermazione vigorosa e molte­plice di altri atteggiamenti e realtà di vita. In pratica, l'opporsi al male è:  
 
a) Far conoscere la verità in tutta la sua estensione e nobiltà.  
 
La verità è luce che ristora e consola, ed è anche luce che fuga la tenebra e la tristezza. Ciò significa che presentare la verità è già combattere le tenebre dell'orrore e del peccato. Le anime vengono travolte soprattutto per­ché non sanno, e perché «sanno male». Ignorare Dio, l'Immacolata e altre essenziali verità religiose non è, pur­troppo, senza gravi conseguenze per l'anima. Equivale, tra l'altro, a mancare di quella luce che dà sicurezza al cammino della vita; a brancolare così nella tenebra del­l'incertezza, dell'equivoco o dell'errore; è mancare di quei valori che danno senso all'esistere e risposta ai suoi più assillanti interrogativi; quei valori che, posseduti o, almeno, sinceramente ricercati, riempiono l'animo di gioia e di felicità.  
 
Giustamente P. Kolbe si rammarica per l’ignoranza nella quale versano tante anime: «Quante per­sone sulla terra - dice lui - non conoscono ancora il Signore Dio, non conoscono l'Immacolata e, di conse­guenza, talvolta si chiedono perfino il perché della loro esistenza. Essi non posseggono la felicità, soprattutto nelle difficoltà della vita e nelle sofferenze. Non sanno che il fine dell'uomo è Dio e che ogni realtà di questo mondo è solo un mezzo per raggiungere Dio nell'eternità, in paradiso. Non sanno che la Mediatrice di tutte le grazie, la Madre spirituale di tutti gli uomini è Maria Immaco­lata: che ricorrendo a Lei, amando Lei, si avvicinano a Dio nel modo più facile e più rapido».  
 
E se tanti incappano nei tranelli dei nemici non è, anche, perché questi sono opportunamente camuffati e resi affascinanti?... Adoperarsi, dunque, a far conoscere la verità è già combattere una vera e propria battaglia, tanto più che, spesso, tale compito è gravoso e pieno di rischi e di scarsa consolazione e utilità immediate. Tra l'altro, per far conoscere bisogna che prima si conosca e si superi, perciò, e si vinca la propria indolenza o resi­stenza interiore, e si dissolvano le sempre possibili obiezioni.  
 
b) Opporsi al male e ai nemici importa smascherarli e condannarli con coraggio, senza infingimenti e mezzi termini o compromessi, superando o eliminando motiva­zioni fallaci e giustificazioni fasulle, inventate dall'inte­resse e dall'amor proprio. Certo, se l'errore e il peccato o il male, in genere, si presentassero sempre nella loro genuina realtà, senza maschere e travestimenti, forse non sarebbe necessaria la lotta o l'opposizione.  
 
La realtà, in sé stessa spaventosa e orrida, persuade­rebbe da sola a non accostarsi, a non farla desiderare. E, invece, l'errore, come il peccato, si presenta quasi sem­pre sotto mentite spoglie, in veste soprattutto di «imme­diata verità» e di «immediato piacere», nascondendo il marciume e il veleno che porta in seno. È per questo che l'errore, come il peccato, ha quasi sempre qualcosa di fascinoso e di allettante. Più semplice apparentemente, meno complesso e più immediato della verità colpisce subito e attira. Lo zucchero, così dolce al palato, non può non piacere al bambino. Potrà mai questi pensare che quel «dolce» potrebbe essergli fatale, intaccando la sanità dell'intero suo organismo? Ingannato perciò dal­l'apparenza e incapace quasi di ragionare, si butta allo zucchero, rifiutando decisamente l'amaro!  
 
Situazione ancora più grave per il peccato. Infatti, esso si presenta sempre come un «bene sensibile», relativo e parziale, ma sempre bene! E di fronte a ciò che piace, che solletica e sazia i propri desideri, dando l'illusione della felicità, chi si arresta a riflettere?... E, in fondo, è questo il dramma di innumerevoli anime. Il peccato ha il fascino del frutto proibito, la dolcezza del frutto a portata di mano: tutto il resto è ... lontano e, per questo, quasi irreale e illusorio. Si lotta il male, il peccato per spogliarlo delle sue vesti non di oro, come sembra, ma di stagnola; per farlo apparire in tutta la cruda realtà: un assassino impietoso che uccide e deruba di tutto, con mani di velluto. Un'impresa dura, spesso quasi impossi­bile. Lotta tanto più dura in quanto il peccato ha nel­l'uomo stesso che si accinge a lottarlo, connivenze miste­riose, compiacenze aperte o striscianti. Per cui, condannarlo senza compromessi, senza cedimenti di sorta, diviene, spesso, un'impresa addirittura eroica.  
 
La lotta, comunque, nella sua realtà obiettiva - come dice P. Kolbe e, con lui, tutti i santi e apostoli - è per strappare le anime da spaventose e degradanti catene: non esiste schiavitù più orrenda di quella del peccato. Si lotta per liberare le anime «dalla schiavitù del demonio, del mondo e della carne e, rese felici, offrirle in proprietà all'Imma­colata». Se, infatti, è relativamente facile smascherare il male, è molto più difficile liberare dai lacci che esso finisce per creare. La caduta nel peccato, in effetti, diviene facilmente abito, e cioè disposizione e inclinazione, e, quindi, facilità a peccare, determinando, così,debolezza sempre più grave nella volontà, e perciò sempre più diffi­cile a guarirsi. Il peccatore, perciò, oltre che «morto» alla grazia, è anche schiavo e malato nelle sue facoltà e capa­cità per il bene.  
 
Chi si rende conto di tutto questo ed ha il senso di Dio e del soprannaturale non può non sentirsi spinto alla lotta. «Guardando attorno, dice P. Kolbe, e vedendo dappertutto tanto male, noi vorremmo sinceramente (...) porre un rimedio a questo male (...) e così rendere eterna­mente felici fin da questa vita i nostri fratelli che vivono in questo mondo. Guerra al male, dunque, una guerra implacabile, incessante, vittoriosa», per «strappare il maggior numero di anime immortali dai legami del peccato, a premunirle contro il male morale, a confermarle nel bene».  
 
c) Opporsi al male e ai nemici importa anche vigilare e provvedere affinché le posizioni conquistate non si per­dano di nuovo. Fino a che si è su questa terra, e perciò nella possibilità di cadere, bisogna vigilare a che non ven­gano contaminati gli ambienti; a che teorie e opinioni avvelenate non arrivino ad esercitare il loro fascino per­verso. Vigilare illuminando sempre più, correggendo, ammaestrando, ecc..  
 
Vigilare, cioè, significa prevenire, preservare, raffor­zare i deboli e gli incerti, ecc. Un'opera, anche questa, non meno complessa e ardua, a cui Cristo ha chiamato ogni anima, ma soprattutto e particolarmente gli opera­tori di apostolato. La mancata vigilanza permette e facilita l'irruzione di lupi rapaci nel gregge; il dormire dei «servi» dà agio all'«inimicus homo» di seminare nel campo accanto al grano buono, la zizzania di ogni errore e fal­sità; l'indolenza dei buoni dà vigore e coraggio ai perversi e fa trionfare il male.  
 
Tutto ciò fa capire pure che questa lotta al male non può essere messa in dubbio per le obiezioni, che possono affacciarsi proprio a nome della verità e della carità. E, infatti, in nome della verità si afferma, sovente, l'inutilità di detta lotta, non avendo bisogno, la verità, di essere difesa o protetta, avendo in sé vigore sufficiente a sgominare ogni opposizione.  
 
Ma, si risponde, la lotta si impone non tanto per la verità in sé stessa che, in quanto tale si identifica addi­rittura con Dio stesso e di Dio ha la forza e l'eternità. Si lotta, invece, perché essa sia recepita nei cuori o affin­ché vi sia recepita nella sua integrità e luminosità e purezza assoluta.  
 
In nome della carità, i cui diritti ed esigenze verreb­bero necessariamente e inevitabilmente sacrificati nella lotta. Certo, chi combatte per la verità con mezzi e modi non consoni o inadeguati alla carità, rischia veramente di sacrificare quest'ultima. Si può e si deve ammettere anche che oggi, come nei secoli scorsi, si lotta il peccato e l'errore, infliggendo innumerevoli ferite alla carità. E, tuttavia, detto questo, non si può rinunziare a prendere posizione netta a favore della verità. «La verità - ha detto Papa Giovanni Paolo II - è misura della moralità: scelte e motivazioni non possono dirsi eticamente buone e, quindi, meritevoli di approvazione se non sono con­formi al bene oggettivo. La comprensione e il rispetto per l'errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l'errore di cui è vittima.  
 
Il rispetto, infatti, per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie. Le obie­zioni, perciò, che si fanno alla lotta all'errore e al peccato non possono essere che sofismi. Come quella, per es., che si appella alla parabola del grano e del loglio nella quale - si afferma - Gesù Cristo avrebbe predicato la pacifica coesistenza del bene e del male; o quella che si rifà alle parole evangeliche che vietano di giudicare e condannare chicchessia. Si tratta di sofismi, abbiamo detto. La lotta per la verità resta un dovere grave, preciso.  
 
A Timoteo l'apostolo Paolo raccomanderà: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina...». S. Gregorio Magno, a sua volta, così si esprime in proposito: «Dovere della lotta che, va precisato, non è mai giudizio o condanna di qual­cuno, quanto all'intimo della sua coscienza o delle sue recondite intenzioni e responsabilità morali; ma solo per quello che appare e che, pure, è fondamento di rapporti umani e sociali, individuali e sociali». La lotta, cioè, va fatta all'errore, al male, al peccato, mai alla persona in quanto tale: «Si deve (...) stigmatizzare, - scrive concisa­mente P. Kolbe - ma soltanto il "male"».  
 
Proprio questa lotta, rifiutata oggi da tanti, in nome della carità, è senza dubbio, la più grande carità che si possa fare alle anime e ai fratelli e a quegli stessi che, con le loro dottrine errone o scandali, provocano l'insor­gere della lotta e dell'opposizione. «Non si dimentichi che, per la Chiesa, la fede - l'osservazione del Ratzinger vale bene per tutti i valori soprattutto più essenziali! - è un «bene comune», una ricchezza di tutti, a cominciare dai più poveri, i più indifesi davanti ai travisamenti: dun­que, difendere l'ortodossia è, per la Chiesa, opera sociale a favore di tutti i credenti». Lo stesso S. Francesco di Sales, il santo della dolcezza, ha scritto in qualcuna delle sue opere: «I nemici giurati di Dio ...e della Chiesa si debbono screditare a tutto potere; tali sono le sette degli eretici, degli scismatici e dei loro capi: è carità gri­dare al lupo, quando è in mezzo alle pecore, o dovunque si trovi».  
 
Maritain, a sua volta, scrive: «Un'altra legge ci ricorda che ogni debolezza di fronte all'errore si paga a prezzo di sangue, e che non si conducono le anime alla luce, mediante la compiacenza con la notte». Altra cosa, invece, è come bisogna lottare, affinché tutto sia a gloria di Dio e a profitto delle anime.  
 
2. Ideale e missione del lottatore.  
 
Lo stretto dovere per tutti diviene, per alcuni, ideale e missione di vita. Quale la differenza, prima di tutto, tra dovere e ideale o missione?...  
 
Il dovere dice, o sembra dire, sempre qualcosa di imposto, sia pure dalla realtà stessa delle cose. E dice il minimo indispensabile del da farsi, senza del quale la realtà stessa è messa in pericolo, nella sua consistenza e nel suo ordine e bellezza e sanità. Il dovere, perciò, è sempre qualcosa di penoso, oltre che di finito e limi­tato. Esso, cioè, anche nella molteplicità delle sue forme ed espressioni, ammette limiti e graduazioni. E, perciò, in quanto tale, non avrà mai gli slanci e i fulgori dell'i­deale che trascina. Così, per es., il dovere di lottare, per un Pastore della Chiesa, è certo immensamente più grande di quello del semplice fedele. Eppure, se è tanto grande in se stesso, per qualsiasi pastore anche se solo mediocre, quanto esso è lontano dal dovere reso ideale, per es., dal Curato d'Ars! Riferendosi alla legge, il dovere dice necessariamente misura; l'ideale, invece, si rifà all'a­more, il quale, avendo come misura quella di non averne alcuna, facilmente sconfina nell'eroismo.  
 
L'ideale si differenzia, poi, dal dovere perché è qual­cosa di profondamente amato, voluto perciò e perseguito con propria scelta, anche se non sempre dall'inizio. Impli­cando sempre un rapporto di amore, l'ideale è sempre al di sopra o al di fuori della legge, pur senza mai essere in contrasto con essa. Esso, perciò, è perseguito con tanto più ardore e generosità, quanto più grande è l'amore che lo ispira e lo alimenta.  
 
Affinché un dovere di trasformi in ideale di vita, e tutta la vita divenga come una missione, ci vogliono spesso, un carisma dal cielo e, in ogni caso, convinzioni e motivazioni immensamente più incarnate e vissute: idee cioè tali da poter trascinare, come idee forze. La fatica, allora, gli slanci, le sofferenze, che tale ideale o missione comporta, sono ritenuti quasi nulla. «In ciò che si ama o non si fatica o si ama la fatica stessa». Un ideale tanto più amato e perseguito con ardore in quanto si accompagna, pure, con la certezza e la speranza del pre­mio e della felicità eterna. È, infatti, proprio questo ideale, essendo o comportando totale immolazione di sé, realizza le parole del Vangelo: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». P. Kolbe non una volta sola si sofferma su questa realtà: «Immaginate quanto saremo felici sul letto di morte, allorché potremo affermare con tutta sincerità: O Imma­colata, per tua misericordia ho consacrato a Te la mia vita, per Te ho lavorato, per Te ho sofferto, ed ora muoio per Te. Io sono tuo!... Quale pace, quale gioia serena ci riempirà il cuore nella speranza di vederLa pre­sto». «Quale sentimento di riconoscenza colmerà il cuore di ognuno di noi, allorché, dopo la morte, vedremo Lei, l'Immacolata che, senza alcun merito da parte nostra, si è degnata di chiamarci a lavorare per Lei in un modo così sublime».  
 
Felicità che, d'altronde, inizia già in questa vita ed unisce tutti i «combattenti» in un vincolo santo: «... Anche se ci separassero paesi, mari, oceani, tuttavia i nostri cuori e le nostre anime saranno ugualmente congiunte dal comune fine di ogni uomo, dall'ideale e dallo scopo della Milizia dell'Immacolata».  
 
Che se si vuol dire una parola sulla validità e la preziosità di un ideale del genere, c'è subito da dire che non esiste ideale più alto, più nobile, più santo di questo. Si lotta, infatti, per l'onore e la gloria di Dio, dell'Imma­colata, della Chiesa di Cristo, per la verità e la salvezza delle anime: nobilissimi e supremi valori. Infatti, Dio, al Quale tutti gli altri valori si rifanno, è la fonte e l'origine di ogni essere, la risposta unica ed adeguata ad ogni uomo che è alla ricerca dell'infinito. Lottare, allora, affinché tali valori si affermino, siano accettati e ricono­sciuti, è affermare e battersi per una «servitù», che è il sommo della libertà e della perfezione. Ogni amore è una sudditanza più o meno nobile, più o meno entusia­smante, a seconda della realtà amata. E questa che è la misura dell'uomo: chi ama il fango, diviene disprezzabile e abbietto come il fango stesso; chi va alla ricerca dell'oro purissimo della verità, si riveste dei suoi splendori, si sazia dei suoi amplessi.  
 
Lottare perché tali valori siano partecipati alle anime è volere, quindi, il loro bene, la loro felicità, la loro perfezione. Che se è gioia ineffabile sovvenire anche un'anima sola, perché ogni anima è un mondo più grande dell'universo intero, un mondo che pensa e che ama, quanto più grande e ineffabile è la gioia e la felicità di chi è impegnato a conquistare il mondo intero alla verità, e redimerlo dalla umiliante schiavitù del peccato?...  
 
Pos­siamo capire, allora, perché P. Kolbe, sulla scia di Cristo e dei santi, ritenga altissimo ideale salvare anche un'anima sola: «Sarebbe necessario (...) armonizzare - dice lui - e perfezionare la loro (= dei frati di Niepo­kalanów) atti­vità, in modo tale da giungere realmente con uno sforzo organizzato ed al più presto possibile, ad ogni anima, fosse anche sperduta chissà dove su qualche isola inacces­sibile, su monti o in foreste impenetrabili e accompa­gnarla sulla via dell'Immacolata». Ricordando le parole di un giapponese: «Se voi non foste venuti qui, io sarei ancora pagano», P. Kolbe commenta: «In quelle parole c'era tanta sincerità e riconoscenza, anche se nessun altro si fosse convertito all'infuori di questo solo, sarebbe valsa ugualmente la pena di intraprendere gli sforzi com­piuti sinora e sacrificarsi ancora molto, molto di più, poi­ché si tratta pur sempre di un'anima».  
 
Una «missione di altissimo valore», dunque, per la quale vale la pena soffrire tutto e donare tutto, e cioè il proprio tempo, le proprie energie, la vita stessa, pro­vando così, allo stesso tempo, il proprio amore per l'Im­macolata e i fratelli: «Il nostro compito qui - scrive vivacemente P. Kolbe dal Giappone - è molto semplice: sgobbare tutto il giorno, ammazzarsi di lavoro, essere ritenuto poco meno che un pazzo da parte dei nostri e, distrutto, morire per l'Immacolata. E dato che noi non viviamo due volte su questa terra, ma una volta soltanto, di conseguenza è necessario approfondire al massimo con grande parsimonia ognuna delle espressioni suddette, per dimostrare quanto più è possibile il proprio amore per l'Immacolata. Non è forse bello questo ideale di vita?  
 
La guerra per conquistare il mondo intero, i cuori di tutti gli uomini e di ognuno singolarmente, cominciando da noi stessi». E aggiunge con l'ardore dei più grandi apostoli: «Per Lei (= l'Immacolata) siamo disposti a tutto, ad ogni fatica, sofferenza, umiliazione, anzi alla morte per fame o per qualunque altra causa». Operare, donarsi, soffrire e fare presto, perché la vita ci sfugge di mano! Quasi una lotta con il tempo, per non perderne neanche una briciola: «Quant'è breve la vita, non è vero? Come fugge in fretta il tempo!... Vendiamolo, o meglio doniamolo, offriamolo a caro prezzo, al prezzo più ele­vato possibile. Quanto maggiori sono le sofferenze, tanto meglio è, poiché dopo la morte, non si può più soffrire. È breve il tempo in cui si può dimostrare l'amore. Inol­tre, noi viviamo una sola volta».  
 
Sublime ideale quello di lottare per la conquista del mondo all'Immacolata, a Dio e, quindi, per la vita e la felicità delle anime, perché, ancora, esso fa di noi, dice P. Kolbe, veri e propri mediatori di grazia e di felicità: «Gesù Cristo è l'unico Mediatore dell'umanità; l'Immaco­lata è l'unica Mediatrice fra Gesù e l'umanità e noi saremo i felici mediatori fra l'Immacolata e le anime sparse in tutto il mondo. Che bel compito, non è vero?»; e soggiunge: «Tutti noi e ognuno singolar­mente possiamo sentirci molto felici per il fatto che abbiamo la possibilità di diventare degni di cooperare quanto più è possibile alla causa dell'Immacolata».  
 
Inteso così il dovere di lottare, inteso cioè come altis­simo ideale di amore e di gloria, è naturale che P. Kolbe voglia spendere tutto per esso: «Per questo ideale io desidero sempre lavorare, soffrire, e magari offrire in sacrifi­cio anche la vita»; un ideale, apparso luminosissimo già all'inizio del suo sacerdozio e così presentato a suo fratello Fr. Alfonso: «La salvezza dunque e la santifica­zione più perfetta del maggior numero di anime che Gesù ha redento a caro prezzo con la sua morte in croce (...) deve essere il nostro sublime ideale di vita: tutto questo per procurare le più grandi gioie al sacratissimo Cuore di Gesù». Come è naturale pure che egli voglia par­tecipare tale missione a quanti più può. Al P. Floriano augura di «sgobbare e consumarsi per l'Immacolata e, attraverso Lei, per il SS. Cuore di Gesù». A Fr. Mariano scrive: «Scrivimi (...) se vuoi realmente consa­crarLe (= all'Immacolata) tutta la tua vita, consumare completamente te stesso e magari essere disposto ad abbreviare la tua stessa esistenza a causa della fame e dei disagi ed esporti ad una morte prematura per l'Imma­colata». Ad un novello sacerdote pure augura di «consumarsi per l'Immacolata, di impazzire d'amore per Lei».  
 
3. Il massimo impegno per sì sublime mis­sione.  
 
Trattandosi della più grande missione e del più sublime ideale di vita, è necessario impegnarsi per essi col massimo impegno. Massimo impegno nell'investire, per lo scopo, tutti i talenti del proprio essere; nell'usare tutti i ritagli di tempo, come l'avaro che si attacca anche allo spicciolo: «Non perdiamo neppure un minuto - dirà appunto P. Kolbe - quando si tratta dell'Immacolata». Anche se, per questo, bisognerà, qualche volta, rinunciare o ridurre al minimo le stesse più legittime esigenze del cuore. Egli, per es., per non rimandare la partenza per il Giappone, che avrebbe nociuto non poco al suo lavoro, rinunzia a salutare sua mamma. Infatti, le scriverà dopo: «Non son potuto venire a trovarti prima di ripartire, per­ché con ogni probabilità avrei dovuto differire la par­tenza, mentre le missioni sono più urgenti».  
 
Massimo impegno, ancora, nel cercare di coinvol­gere, nella lotta per l'ideale, quante più persone possibili. Anche per questo egli spinge, per es., suo fratello P. Alfonso a informare vescovi, metropoliti, ordinari, suffra­ganei, organi diocesani, parroci... dei progressi raggiunti nella diffusione della stampa.  
 
Massimo impegno di crescita, di superamento, in tutti i settori: «Quanto mi piace - scrive P. Kolbe ad un Circolo M.I. di Cracovia - leggere: "Ci sforziamo" ... Ford licenziava dal lavoro coloro che ritenevano di essere ormai dei maestri e cessavano di sforzarsi di ricercare un modo sempre più razionale di lavorare».  
 
Impegno di crescere nell'amore, che è il principio propulsore e alimentatore dell'ideale. La M.I. sarà appunto l'espressione più compiuta di lotta e di cavalleria, scaturita appunto dall'amore: «L'unico motivo dell'esistenza e dell'attività della M.I. è solamente l'amore, un amore senza limiti verso il Sacratissimo Cuore di Gesù». Come è l'amore, ancora, che deve trasformare radicalmente l'anima propria e quella altrui. Sarà l'amore «che ci deve trasformare, attraverso l'Immacolata, in Dio, che deve bruciare noi e, per mezzo nostro, incendiare il mondo e distruggere, consumare in esso ogni forma di male». E sarà pure l'amore la misura della dona­zione all'ideale: «Quanto più profondo sarà tale amore, tanto più efficace sarà l'attività missionaria», perché «Nella misura in cui noi arderemo sempre più dell'amore divino, potremo infiammare di un amore simile anche gli altri. Per cui, conclude coerentemente P. Kolbe: «Come potremo essere apostoli, se proprio nelle nostre anime l'amore, invece di ardere sempre più si andasse via via spegnendo?».  
 
Vivere, perciò, e lottare per il proprio ideale diviene e deve divenire, praticamente, una grande gara di amore, cercando di superare sempre ogni meta già raggiunta. Una gara nella quale ogni vincitore è vinto: «Ma tutti gli altri e ognuno singolarmente mi superino pure un migliaio di volte! E io loro un milione di volte. Ed essi me miliardi di volte, ecc. ecc. in una nobile competizione; non si tratta in realtà, del fatto che io o lui o un altro ancora possa aver fatto di più per la causa dell'Immaco­lata, ma che sia stato realizzato il massimo possibile, che al più presto possibile, Ella prenda possesso in modo perfetto di ogni anima, viva in essa, operi, ami il Cuore divino, l'Amore divino, Dio stesso. In una parola, si tratta di potenziare in modo illimitato e sempre più intenso l'amore delle creature verso il Creatore».  
 
Ma l'amore, di cui parla P. Kolbe, - la messa a punto era necessaria, oltre che per evitare fraintesi sempre possibili, anche e soprattutto per non scoraggiare anime in prova -, non è certamente quello sensibile: «Non perdiamo la pace - scrive - se il sentimento si raf­fredda. Qui si tratta di volontà e soltanto di volontà. Anzi, quanto più la natura si ribellerà, tanto maggiori saranno i meriti che ne raccoglieremo».  
 
Per concludere, questa battaglia ideale di P. Kolbe che, in fondo, è solo «carità armata», si rivela con­forme pienamente alla linea tracciata dallo stesso Papa Leone XIII, quando attaccò la massoneria: «Di fronte a un rischio tanto incombente (= quello della rovina della Chiesa e della spogliazione dei benefici recati da Gesù Cristo), di fronte a un attacco così spietato e tenace con­tro il cristianesimo, è Nostro dovere denunciare il peri­colo, indicare gli avversari, resistere per quanto possiamo alle loro trame e tattiche, affinché non periscano eterna­mente coloro la cui salvezza ci è stata affidata, e non solo permanga saldo e integro il regno di Gesù Cristo, che abbiamo ricevuto da custodire, ma attraverso nuovi e continui incrementi si dilati in ogni parte della terra».  
 
Una battaglia o lotta al male e ai nemici della Chiesa non è né nuova né unica nella tradizione cattolica. La storia della Chiesa registra soprattutto prestigiosi nomi di santi, di dottori e di martiri che hanno dato tutto per la difesa e il trionfo della verità, e tutto hanno osato per sconfiggere la terrificante potenza del male. Quasi parallelamente al P. Kolbe, in Italia, per es., nel 1921 Domenico Giuliotti incitava alla lotta, perché gli uomini si ritrovassero, attraverso l'adesione al Papa, nell'unica verità di Cristo. E aggiungeva, quasi con la stessa sensibi­lità di P. Kolbe: «Mezzo unico per risollevare dal leta­maio democratico gli uomini-bestie fino all'accettazione di questa necessità: Apostolato continuo, da per tutto, anche col rischio della propria vita, di tutti coloro che credono fermissimamente nei dodici articoli del "Credo". Istrumenti: penna e parola. Qualità indispensabili dei nuovi apostoli, per essere seguiti dalla moltitudine: povertà, fermezza, semplicità, sacrificio».  
OK

Cap. V - COME E DOVE COMBATTERE

 
Se combattere è un dovere per tutti e ideale per tanti, è necessario, allora, chiedersi come combattere, non solo per adempiere fedelmente tale dovere, ma anche al fine di conseguire successo nella lotta. Si combatte, infatti, per vincere, per annientare o togliere all'avversario ogni capacità e possibilità di nuocere. Chiedersi, quindi, come combattere, è chiedersi quali sono i metodi, i fronti, le armi da impiegare, ecc. nella battaglia.  
 
Naturalmente, nella lotta per le idee, accade un po' come nelle battaglie cruente degli uomini: si ricercano, cioè, e si adoperano, a seconda anche di più o meno felici intuizioni o di più o meno provvidenziali illuminazioni e circostanze, le armi che siano più micidiali per l'avversario da vincere o più idonee al fine da raggiungere.  
P. Kolbe come intende portare avanti la sua battaglia per la conquista del mondo all'Immacolata?... La risposta potrebbe riassumersi in poche parole: con una prepara­zione meticolosa fino allo scrupolo, e con un'azione decisa e irruente fin quasi alla temerarietà.  
 
1. Necessità di una accurata preparazione.  
 
P. Kolbe esige, nel combattente le battaglie di Dio e per ogni azione singola di battaglia, una preparazione meticolosa: un'accurata preparazione intellettuale e morale, psicologica e spirituale.  
 
a) La preparazione intellettuale e morale. Il Concilio Vaticano II, a proposito della formazione sacerdotale, ha insistito affinché il futuro sacerdote conosca, tra l'altro, anche, sufficientemente le «correnti filosofiche moderne, specialmente quelle che esercitano maggiore influsso nel loro paese... Così i seminaristi, provvisti di una adeguata conoscenza della mentalità moderna, potranno opportuna­mente prepararsi al dialogo con gli uomini del loro tempo». P. Kolbe, già nel 1920, scrivendo appunto a dei chierici che si preparavano al sacerdozio e, perciò, alle lotte per Dio e la verità, li metteva in guardia a non trasformare la Milizia dell'Immacolata in un'associa­zione o accademia letteraria o artistica, ma a prepararsi alla lotta con una profonda conoscenza degli avversari, e facendo ricorso a tutte le armi più efficaci naturali e soprannaturali: «I membri (della M. I.) procurino di conoscere bene le odierne correnti antireligiose, i fonda­menti della fede, il socialismo, il bolscevismo, la masso­neria, il protestantesimo, ecc. e imparino ad agire contro di essi». E aggiungeva: «Credo che la M. I. si debba mantenere su una strada difficile e dura, ma vantaggiosa, nello sforzo di conoscere gli errori, i pregiudizi antireli­giosi - oggi così largamente disseminati - la loro natura, le conseguenze deleterie, i metodi di propaganda, i loro rappresentanti e nel modo di agire contro di essi, nel modo di salvare tante anime che si perdono; e non si trasformi in un'associazione letteraria o artistica, perché fallirebbe lo scopo.  
 
Il periodo del chiericato è breve e la materia da apprendere è abbondante, occorre quindi utilizzare bene il tempo. Per esperienza personale so che non è lo stesso imparare qualche cosa per la scuola ed essere preparati ad esporre un problema in modo convin­cente ad ogni persona, di qualunque ceto sociale. Perciò, che Iddio non permetta - concludeva - che un membro della M. I., trovandosi in qualsiasi luogo, in società o in treno, possa rispondere a qualche obiezione contro la religione solamente con una risposta superficiale tale da indebolire la fede degli ascoltatori. E casi simili sono suc­cesssi e proprio tra i sacerdoti». Dettagliando ancora di più P. Kolbe dirà: coloro che vogliono combattere devono prepararsi studiando la causa dell'Immacolata (...);  
 
b) studiando contemporaneamente i movimenti anti­religiosi del nostro tempo, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, ecc. distinguendo in tali movimenti quanto v'è di bene e quanto v'è di male in essi: non vi è altro modo più efficace per estirpare un movimento cattivo che conoscere quanto contiene di bene e applicarlo subito alla nostra causa. L'aver trascurato un tale metodo, ha provocato i deplorevoli avvenimenti del Messico e della Spagna;  
 
c) esercitandosi fin d'ora secondo le proprie pos­sibilità (preghiere, mortificazioni, ecc.) per questa causa;  
 
d) preparando un piano d'azione per il futuro.  
Preparazione spirituale. Appartiene alla preparazione spirituale quell'esercizio di umiltà che è, insieme, convin­cimento della propria miseria e sconfinato abbandono nelle braccia di Dio. Chi combatte, cioè, deve prima di tutto essere per­suaso che non è niente e non è capace di fare nulla con le proprie forze. P. Kolbe lo sottolinea in una bella pagina, dove si evidenzia appunto il profondo contrasto tra la potenza dei nemici e la nostra debolezza e insuffi­cienza: «Da noi (...) non siamo capaci di far nulla, ad eccezione soltanto del male, il quale è appunto mancanza di bene, di ordine, di forza. Se riconoscessimo questa verità e volgessimo lo sguardo a Dio, del Quale rice­viamo in ogni istante tutto ciò che abbiamo, vedremmo subito che Egli, Dio, può darci anche di più e che Egli, quale ottimo Padre, desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno».  
 
In un altro testo, P. Kolbe, da esperto maestro di spirito, fa vedere come questa persuasione sia difficile ad aversi, giacché una falsa umiltà potrebbe camuffare otti­mamente questa deficienza: «Come opporsi a ciò? (= alle mene isidiose della massoneria). In simili circostanze potrebbe sembrare indice di umiltà il riconoscimento della propria impotenza, sul tipo della frase: «Non sono capace di correggermi». Invece vi si annida una superbia velata. E in che modo? Ebbene, in molti casi, tali persone rico­noscono di essere capaci di fare una cosa o l'altra, mentre non sono in grado di dominare questo o quel difetto, queste o quelle circostanze. Tutto ciò dimostra soltanto che essi contano unicamente sulle proprie forze e credono di esser capaci di fare una cosa o l'altra unicamente entro i limiti delle proprie forze. Ma questo non è vero, è una menzogna, poiché con le nostre proprie forze, da noi soli, senza l'aiuto divino, non siamo capaci di far nulla, assolutamente nulla (cf. Gv. 15, 5).  
 
Tutto ciò che siamo e qualunque cosa abbiamo o possiamo fare, l'ab­biamo da Dio, e lo riceviamo da Lui in ogni istante della vita, poiché il permanere nell'esistenza non è altro che ricevere continuamente tale esistenza. Se riconoscessimo questa verità (...), vedremmo subito che Egli, Dio (...) desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma quando un'anima attribuisce a se stessa ciò che è dono divino, può forse Dio ricolmarla di grazie? In tal caso Egli la confermerebbe nella sua opinione falsa ed arrogante».  
 
Senso della propria nullità, dunque, accompagnato da sconfinata fiducia in Dio: «Noi abbiamo fiducia che, se ci preoccuperemo solo di compiere la sua volontà, non ci potrà capitare alcun vero male, anche se dovessimo vivere in tempi mille volte più difficili di quelli attuali». Certo, aggiunge: «per quanto dipende da noi bisogna fare tutto ciò che è possibile per eliminare le difficoltà sul cammino della nostra vita, ma senza inquietudine, senza angoscia e, più ancora, senza disperata incertezza. Questi stati d'animo, infatti, non solo non aiutano a sciogliere le difficoltà, ma ci rendono incapaci di una saggia, pru­dente e rapida operosità». P. Kolbe, certo parla, prin­cipalmene e direttamente, di stati d'animo di ogni cri­stiano, ma le parole suddette non valgono meno per quelli che sono impegnati nella lotta.  
 
Ma, parlando di preparazione spirituale, bisogna dire che alla lotta ci si prepara soprattutto imparando a vivere una intensa vita interiore di grazia. L'azione, infatti, o è sovrabbondanza di cuore o è chiasso che batte l'aria e presto si dilegua. P. Kolbe lo sottolineerà con forza, scrivendo a dei chierici impegnati, in qualche modo, nel­l'apostolato: Il periodo di lavoro attuale costituisce solo un tempo di preparazione alla lotta futura sotto lo stendardo dell'Immacolata. È una missione di altissimo valore e non è facile. Nella vostra attività, pertanto, dovete porre la massima attenzione anzitutto alla vostra vita inte­riore. Invano potreste esercitare i vostri intelletti, invano riempireste la mente con innumerevoli, belle e indispensa­bili nozioni, qualora vi dovesse mancare un interiore, filiale rapporto con l'Immacolata, Madre, Regina, Con­dottiera e speranza nostra».  
 
E ancora: «L'attività esterna è buona, ma, ovviamente, è di secondaria impor­tanza e ancora meno in confronto con la vita interiore, con la vita di raccoglimento, di preghiera, con la vita del nostro personale amore verso Dio». Vita interiore o vita di grazia, che è «interiore, filiale rapporto». Non meravigli che, parlando di vita interiore, si parli di Dio e dell'Immacolata pure. Il rapporto di Maria con la storia della nostra salvezza non si esaurisce in puro rapporto esterno: Maria entra, con Dio, nell'intimo del nostro cuore, per vivificarlo e salvarlo. D'altra parte, come poter lottare per l'Immacolata, senza un profondis­simo legame affettivo di cui l'azione è, appunto, espres­sione ed irradiazione?  
 
Preparazione psicologica. È evidente che ogni animo preparato, intellettualmente e affettivamente, possiede già la preparazione psicologica. E, cioè, l'animo, illuminato e pieno di entusiasmo, è già pronto... E, tuttavia, se ne diciamo una parola a parte, è precisamente per sottoli­neare che la preparazione consiste anche nel disporsi a volere, nell'inclinare la volontà al fine. Che se a fare questo servono ottimamente la conoscenza e la vita interiore, ecc., non sono inutili anche gli inviti e le spinte dal di fuori. Era per questo che P. Kolbe non perdeva occasione per ripetere: «Prepariamoci alla lotta - scriveva al fratello P. Alfonso - per salvare e santificare la nostra anima e il maggior numero di altre anime; prepariamoci a soffrire e a lavorare; ci riposeremo dopo la morte». Che se il disporsi con la volontà è importante per ogni impresa da affrontare, non è meno importante arrivare alle profonde convinzioni.  
 
L'uomo si muove secondo le persuasioni o convinzioni che possiede, e cioè secondo le idee più o meno incarnate, e perciò più o meno capaci di spingere all'azione. Più l'idea, infatti, si radica, impa­dronendosi dell'essere, e più l'azione diviene non solo possibile, ma anche irruente irresistibile. Gli apostoli o i lottatori della tempra di P. Kolbe si comprendono bene quando si leggono queste parole: «Sappiamo degli ossessi, indemoniati, per i quali il diavolo pensava, par­lava, agiva. Noi vogliamo essere così e più ancora, illimi­tatamente ossessi da Essa, che Essa stessa pensi, parli, agisca per mezzo di noialtri. (...) Essa è di Dio fino a diventare sua Madre e noi vogliamo diventare la madre che partorisca, in tutti i cuori che sono e saranno l'Imma­colata». Senza questa «ossessione», e cioè con uomini che credono e non credono in quello che fanno, si con­clude ben poco. L'esperienza di secoli ci dice quanta ragione ha P. Kolbe di insistere su questo elemento psi­cologico che, sotto certi aspetti, è più importante delle stesse armi da impiegare nella lotta.  
 
Ovviamente, tale preparazione psicologica suppone un insieme di fattori e di elementi che non è qui il caso neanche di accennare. Ci basti averne sottolineata l'im­portanza.  
 
b) Il piano d'azione. Importante è la preparazione del combattente, ma non meno importante quella per un piano d'azione, il progetto, cioè, o disegno di quello che si intende fare in un determinato momento storico o in certo settore e circostanza, per la causa dell'Immacolata. È evidente che un piano di azione, per essere vera­mente valido, più che concepirlo a tavolino, deducendolo quasi da principi e verità eterne - pur se da questi non si può e non si deve mai prescindere! -, deve scaturire dalle stesse esigenze o situazioni nelle quali o per le quali si intende lottare. Un valido piano d'azione, detto in breve, deve perciò saper rispondere, adeguatamente, per quanto possibile, alle più impellenti instanze e attese; sapersi opporre e neutralizzare le mossse avversarie, boi­cottare il male e appoggiare il bene e tutte le iniziative buone. Il che è possibile, in più o meno grande misura, se ci si attiene a quanto lo stesso P. Kolbe ha insegnato nei due testi citati. La bontà di un piano d'azione, debitamente attuato, sarà innegabile se porterà alla salvezza e, per quanto possibile, anche alla santifica­zione delle anime, attraverso l'Immacolata. Sarà compito dello stratega scegliere, tra le tante possibili vie, quella che più facilmente e più sicuramente, porta alla vittoria.  
 
c) Il «modo» di combattere. Un piano di battaglia - anche il più geniale e fascinoso - potrebbe fallire senza un conveniente modo di combattere. Quale deve essere il «modo», nella battaglia di Dio?... È quello con­trassegnato, tra l'altro, da prudenza e amore, umiltà e docilità.  
 
E, cioè, bisogna saper combattere sempre con prudenza. La prudenza, discernendo «nemico» da «nemico», situazione da situazione, suggerirà questo o quel metodo, questa o quell'arma, spingerà all'azione o consiglierà l'attesa, ecc. La prudenza è, senza dubbio, ele­mento determinante della lotta. P. Kolbe vi accennerà non una volta sola. Così, per es., a proposito degli Ebrei: «Quanto agli Ebrei, io sono del parere che sia necessario darsi da fare seriamente anche per convertirli, però con prudenza, con molta prudenza». Prudenza che consi­sterà, tra l'altro, nel non fomentare mai rancori o nel ravvivare e incentivare quelli che già esistono a loro riguardo: «Io farei molta attenzione a non suscitare per caso o a non approfondire maggiormente contro di essi l'odio nei lettori, che sono già tanto maldisposti o talvolta addirittura ostili nei loro confronti. In via generale, mi darei da fare maggiormente per lo sviluppo del commer­cio e dell'industria polacchi, piuttosto che scagliarsi con­tro gli ebrei.  
 
Evidentemente, in certi casi essi si fanno guidare dalla malafede, allora sarà necessario procedere con maggiore energia, senza mai dimenticare, tuttavia, che il nostro principalissimo scopo è sempre la conver­sione e la santificazione delle anime, vale a dire la conqui­sta di esse all'Immacolata, l'amore verso qualsiasi anima, compresi gli ebrei, i massoni, gli eretici e così via». La prudenza, magari, suggerirà, a volte, di conten­tarsi di piccoli passi o approcci invece di spiegare un'azione aperta, ma controproducente in quel caso. Così sarà la prudenza, oltre che la fede e l'amore, a suggerire, all'occasione, di aprire anche solo una piccola breccia negli animi più restii. E ciò tanto più che, conoscendo la sconfinata bontà dell'Immacolata, anche un piccolis­simo passo di buona volontà potrà mettere in moto la di Lei misericordia. Così, egli esorta a che i «nemici» facciano o sopportino qualcosa per l'Immacolata, anche la cosa più piccola, come portare una medaglia, e la brec­cia è già fatta.  
 
Con la prudenza deve accompagnarsi soprattutto una sconfinata carità che, all'occorrenza, è dolcezza e fer­mezza, bontà e chiarezza di verità. La carità non toglie affatto vigore all'apostolato e alla lotta, ma piuttosto cen­tuplica le forze di opposizione al male. P. Kolbe ha, in merito, testi molto belli e significativi. Eccone solo qual­cuno: «Occorre lottare con (...) una grande dolcezza e bontà, quale riflesso della bontà dell'Immacolata. Quelle persone che cercano la felicità fuori di Dio, sono degli infelici che, avvolti nel peccato e nei vizi, inseguono la felicità cercandola dove non c'è e dove non la possono trovare». «Il tono della rivista (Rycerz Niepokalanej) sarà sempre amichevole verso tutti, senza badare alle diversità di fede e di nazionalità. La sua nota caratteristica sarà l'amore, quello insegnato da Cristo. E proprio con questo amore verso le anime smarrite, ma che pure sono alla ricerca della felicità, essa farà di tutto per stigmatiz­zare la menzogna, per mettere in luce la verità e per indicare la vera strada verso la felicità». Un amore che non toglie affatto vigore, anzi lo rende più bruciante, contro l'errore e il peccato: «Per amore verso i malvagi perseguitiamo, con tutta l'energia di cui siamo capaci, tutte le loro scellerate iniziative, indirizziamo questi cuori verso l'Immacolata».  
 
L'amore significherà, possibilmente, tatto delicato che non esaspera e inasprisce le ferite e la sofferenza: «Quando si presenta l'occasione di richiamare l'attenzione della società o delle autorità su qualche male, farlo con amore verso la persona che lo ha compiuto e con delica­tezza. Non esagerare, non entrare nei dettagli del male più di quanto è necessario allo scopo di porvi rimedio».  
 
I motivi che giustificano questo comportamento sono tanti. Non si tratta solo del rispetto per la persona, già così determinante, è anche pietà sincera per chi, molto spesso, è nell'errore solo per fattori ambientali, storici, ecc. ecc., e quindi in buona fede. Molti di quelli, infatti, che combattono la verità, non sono affatto malintenzionati e perversi, ma solo anime che hanno bisogno di com­prensione. A proposito, ancora una volta, degli Ebrei e di certi loro inaccettabili comportamenti, P. Kolbe così si esprime: «Ciò non vuol dire che anche tra gli Ebrei non si possano trovare persone dabbene, e neppure che tra gli iscritti nella lista degli atei vi siano soltanto per­sone rimbecillite e tanto meno che tra i fautori dell'insen­sata moda del pugno alzato contro il prossimo o contro il Creatore, non vi siano altro che arrivisti (...).  
 
Insomma - conclude P. Kolbe - i meri mascalzoni, i malintenzio­nati che peccano con piena consapevolezza, sono relativa­mente pochi (...). Queste povere persone, pertanto, hanno bisogno di luce, di molta luce, di molta energia sopranna­turale; sono degli infelici, degli scontenti». Assoluta disponibilità e conformità alla volontà di Dio. Prudenza, carità sono già disposizioni e comporta­menti di vittoria. Ma chi combatte le battaglie di Dio deve soprattutto sapersi adeguare, in perfettissima umiltà e pazienza, alla volontà di Dio che conduce gli eventi. Di fronte al male dilagante e ai successi dei perversi, la tentazione dell'impazienza o del ricorso ai mezzi non ortodossi, è facile; come è facile la tentazione di ritenere troppo lenta la condotta di Dio, che, a giudizio del­l'uomo, dovrebbe schiacciare tutti i prepotenti e i perse­cutori. Logica ristretta e umana, afferma P. Kolbe: «La Sapienza eterna (...) giudica in modo diverso. Le persecu­zioni purificano le anime come il fuoco purifica l'oro, le mani dei carnefici creano le schiere dei martiri, mentre più di una volta, alla fine di tutto, i persecutori sperimen­tano la grazia della conversione. Da ciò - aggiunge subito P. Kolbe - non consegue affatto che noi dob­biamo incrociare le braccia e permettere ai nemici delle anime degli uomini di ballare liberamente. Niente affatto.  
 
Tuttavia... tuttavia... noi non vogliamo correggere la Sapienza infinita, dirigere lo Spirito Santo, ma ci lasciamo condurre da Lui». È tutta qui la strategia infallibile di P. Kolbe: la battaglia contro il male la conduce Dio stesso, e noi siamo, non possiamo essere che gli strumenti e i cooperatori. È proprio il lasciarsi condurre dall'alto che porta infallibilmente alla vittoria. La logica di P. Kolbe è semplice, ma irrefutabile: «Immaginiamo di essere un pennello nella mano di un pittore infinitamente per­fetto. Che cosa deve fare il pennello affinché il quadro riesca il più bello possibile? Deve lasciarsi dirigere nel modo più perfetto. Un pennello potrebbe ancora avanzare delle pretese di miglioramento da parte di un pittore ter­reno, limitato, fallibile, ma quando Dio, la Sapienza eterna, si serve di noi quali strumenti, allora saremo il massimo, nel modo più perfetto, purché ci lasciamo gui­dare in modo perfettissimo e totale».  
 
Come si vede P. Kolbe non ha dubbi: lasciarsi guidare, e cioè, pratica­mente, la via dell'obbedienza all'autorità, rappresentante di Dio, è la via sicura anche della vittoria, rivelataci da Dio stesso. «Qual'è - scrive a suo fratello Fr. Alfonso - il modo migliore per rendere a Dio la maggior gloria possibile e guidare alla santità più eccelsa il maggior numero di anime? Senza dubbio Dio stesso conosce meglio di noi un «tale modo» perché onnisciente, infinita­mente sapiente. Lui, e Lui solo, Dio onniscente, sa che cosa possiamo fare in ogni momento per rendergli la maggior gloria possibile. Da Lui, pertanto, e solamente da Lui possiamo e dobbiamo imparare «tale modo». Ma come rivela Dio la propria volontà? Per mezzo dei suoi rappresentanti qui sulla terra. L'obbedienza, quindi, e solo la santa obbedienza ci manifesta con certezza la volontà di Dio». Il lasciarsi guidare da Dio, a mezzo dei superiori legittimi, porta alla vittoria e cioè alla sicura sconfitta dei nemici, perché, praticamente, innalza la nostra pochezza e debolezza alla sapienza stessa e fortezza di Dio. «Per mezzo dell'obbedienza noi ci innalziamo al di sopra della nostra pochezza e possiamo agire conforme a una sapienza infinita (senza esagerazione), alla sapienza divina... Iddio ci offre la propria infinita sapienza e pru­denza, affinché esse guidino le nostre azioni: questa è grandezza... Non è vero che così noi santifichiamo nel migliore dei modi il più gran numero di anime?».  
 
Il combattente, che si lascia guidare, arriva alla vitto­ria perché, oltre a partecipare alla sapienza divina, riu­scendo a capire quindi la via da seguire per conseguire la vittoria, partecipa anche alla stessa onnipotenza di Dio al Quale niente e nessuno può resistere: «E questo non è tutto; per mezzo dell'obbedienza diventiamo infinita­mente potenti: chi, infatti, può resistere alla Volontà di Dio?». P. Kolbe può, quindi, concludere: «questa e solo questa è la via della sapienza, della prudenza e della potenza infinita, e il modo di rendere a Dio la maggior gloria possibile. Se esistesse una strada diversa, migliore, Gesù con la parola e con l'esempio ce l'avrebbe indicata. I trent'anni della sua vita nascosta sono descritti semplice­mente così nella sacra Scrittura: «E stava loro sottomesso» (Lc 2, 51); ugualmente, per quanto riguarda l'intera vita di Gesù, leggiamo spesso nella sacra Scrittura che Egli era venuto in terra per adempiere la volontà del Padre Celeste (Gv 4, 34; 5, 30; Ebr 10, 9)».  
 
2. I mezzi e le armi da impiegare.  
 
Quali i mezzi e quali le armi, secondo P. Kolbe, da impiegarsi, per una lotta vittoriosa al male? Evidente­mente, trattandosi di guerra spirituale, sono da impie­garsi, prima di tutto, non le armi carnali o materiali, ma:  
 
a) Armi spirituali soprannaturali: «La nostra battaglia, infatti, - avverte San Paolo - non è con creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti». E necessaria l'«armatura di Dio» dell'ordine dello spi­rito, non solo, ma anche dell'ordine soprannaturale. Armi soprannaturali richieste, oltre tutto, dalle particolari con­tingenze storiche in cui viviamo: «I tempi presenti - afferma P. Kolbe - sono eccezionalmente dominati da satana... E la lotta con satana non la può affrontare l'uomo, nemmeno il più geniale...».  
 
Ciò equivale a dire, in pratica, che solo con la grazia di Dio si può efficacemente combattere e sperare di ottenere vittoria. P. Kolbe è, in proposito, più che mai esplicito: «La con­versione e la santificazione di un'anima» - a questo si riduce, in effetti, tutta la lotta contro il peccato e i nemici! - «è stata, è e rimarrà sempre opera della grazia divina. Senza la grazia di Dio non si può operare nulla in questo campo, né con la parola viva, né con la stampa, né con nessun altro mezzo esteriore». E perciò: «Se si facesse affidamento solo sull'energia, sull'attività e sullo sforzo provenienti dalla natura, si dovrebbe giustamente dubitare della possibilità di raggiungerlo (= lo scopo della vittoria). L'esperienza quotidiana, infatti, insegna che i nemici della Chiesa hanno mezzi naturali più abbondanti e sovente, anche, secondo le parole del Cristo, sono più scaltri dei figli della luce (...). Inoltre, per ottenere la conversione e la santificazione è necessaria la grazia, men­tre la natura corrotta è incline, già di per sé stessa, verso il peccato. Di conseguenza si può contare soltanto su un aiuto dall'alto».  
 
Naturalmente, come già si è avuto occasione di notare, sottolineare l'essenzialità e l'assoluta importanza della grazia, non significa rinunzia, del tutto, ai mezzi e armi naturali. Si vuol dire, semplicemente, che non bisogna sopravalutare quello che è solo secondario, e che diviene efficace solo per aiuto dall'alto; e, anche, che, tra i mezzi più adatti allo scopo, occupano il primo posto, non tanto l'azione o l'organizzazione o il danaro per es., quanto la preghiera, la penitenza, ecc., e cioè tutte quelle realtà che dispongono o ottengono abbondanza di grazia dal cielo. Così egli può affermare, in sintonia perfetta con tutta la tradizione ascetica cristiana: «(La grazia) per noi stessi e per gli altri (...) noi l'acquistiamo con l'umile preghiera, con la mortificazione e con la fedeltà nel com­pimento dei nostri doveri ordinari, compresi quelli più semplici. Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita a Dio; quanto più ella Lo ama ed è amata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facil­mente e pienamente la sua preghiera è esaudita».  
 
E infatti: la preghiera, prima di tutto, è espressione di un'a­nima bella. In effetti, tra le tante azioni materiali, l'uomo solo nella preghiera eleva «il cuore verso il paradiso ed entra in conversazione con il Creatore dell'universo, con la causa prima di tutto, con Dio».  
 
Con la preghiera l'uomo ottiene la grazia, perché, allo stesso tempo che confessa la sua pochezza, esprime fiducia e speranza in Dio che è onnipotente. La preghiera che è, per così dire, la forza stessa di Dio nelle mani dell'uomo, ottiene praticamente tutto:  
 
Si penetra nei misteri di Dio e si approfondisce il mistero dell'Immacolata: «L'umile fiduciosa ed amorosa preghiera infonde lume all'intelletto e dà forza alla volontà». Mentre «chi non è capace di piegare le ginocchia e di implorare da Lei, in un'umile preghiera, la grazia di conoscere chi Ella sia realmente, non speri di apprendere qualcosa di più su di Lei».  
 
Si ottiene la grazia che infiamma i cuori e piega le volontà, determinandone la conversione: «La preghiera è un elemento principale nel lavoro per le conversioni delle anime, perché la conversione è una grazia, la quale biso­gna ottenere colla preghiera».  
 
Si ottengono gli aiuti necessari a risolvere tutte le situazioni, anche le più incresciose e difficili, della vita: «Per tutte le preoccupazioni e i guai (...) forse il rimedio più efficace sarà la preghiera».  
 
Si ottiene la forza per opporsi vittoriosamente a satana e a tutti i nemici dell'anima: «Occorre pregare affinché egli (= il diavolo) non riesca a ingannare le anime, particolarmente quelle religiose...». Come sarà necessaria la preghiera per sapere come muoversi contro i nemici e quali piani efficaci elaborare contro di essi: «La (= l'Immacolata) pregheremo spesso di illuminarci su ciò che dobbiamo intraprendere e come dobbiamo operare; inoltre ci rivolgeremo a Lei per impetrare l'ener­gia necessaria per compiere, per Lei, anche le azioni più difficili ed eroiche».  
 
In pratica, dunque, «... Soprattutto la preghiera è l'arma più efficace nella lotta per la libertà e la felicità delle anime»; molto più efficace di qualsiasi azione, anche la più illuminata e geniale, anche se diversa, pur­troppo, è la persuasione del mondo e degli stessi cattolici meno illuminati. «Ai cattolici meno istruiti - dice lui - circa l'opera di perfezionamento dell'anima, purtroppo, molto spesso sembra il contrario. Il lavoro, l'azione: ecco, secondo la loro idea, il fulcro dell'attività. Tuttavia non è così. La preghiera, soprattutto la preghiera è l'arma efficace nella lotta per la libertà e per la felicità delle anime». E perché?... Perché solamente i mezzi soprannaturali conducono ad un fine soprannaturale.  
 
Il paradiso, vale a dire, se è lecito esprimersi così, la divi­nizzazione dell'anima, è una realtà soprannaturale nel pieno significato del termine. Di conseguenza, non lo si può raggiungere con forze naturali. E questa la si ottiene con la preghiera umile e fiduciosa. La grazia, solamente la grazia che illumina l'intelletto e che rafforza la volontà è la causa della conversione ossia della liberazione dell'a­nima dai legami del male».  
 
Che se la preghiera ottiene ogni grazia e risolve, praticamente, ogni problema, vuol dire che essa «è la più grande potenza dell'universo, capace di trasformare e di cambiare la faccia del mondo». Purtroppo «I nostri contemporanei, eccessivamente presi da problemi materiali, si dimenticano della preghiera. Dal mattino alla sera, come in un esorcismo, essi sono ossessionati solo dalla brama del guadagno...»; mentre «in tutti i santi la preghiera occupa un posto di primo piano». Un mezzo o un'arma sconosciuta, e tuttavia «il più efficace per ristabilire la pace nelle anime, per dare ad esse la felicità, poiché serve per avvicinarle all'amore di Dio. La preghiera fa rinascere il mondo. La preghiera è la condi­zione indispensabile per la rigenerazione di ogni anima».  
 
Assieme alla preghiera: l'amore di Dio. I favori dei potenti sono ottenuti soprattutto da coloro che più stanno loro vicino: un prin­cipio che ha valenza non meno con Dio. Il grande dono della grazia la ottiene chi più Gli si avvicina con l'amore, chi più Gli diviene amico. E, infatti, cosa non fa Dio per i suoi amici, i santi! Non è Egli sempre pronto a soddisfare le loro richieste ed ogni loro desiderio, per glorificarli? P. Kolbe si muove proprio nella logica di questo principio, che poi, in fondo, è convalidato da comunissima e provatissima esperienza: «Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita; quanto più ella Lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficace­mente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facilmente e pienamente la sua preghiera è esaudita».  
 
Essendo, infatti, l'amore osser­vanza della legge, donazione, santità, possessione di Dio, è perciò perfezione, vicinanza e intimità con Dio, che tutto ottiene. Amore di Dio che, se genuino, è anche e sempre pure amore al prossimo. L'amore di Dio, cioè, si riversa, per sua natura e per volere di Dio, in tutti gli uomini, per essere loro grazia e salvezza. Un amore che si riversa sul prossimo per motivi ben diversi da quelli comuni e interessati. «Amare il prossimo, ma non per il fatto che esso è "simpatico", utile, ricco, influente o solo perché riconoscente. Sono motivi troppo meschini, indegni di un milite o di una milite dell'Immacolata. L'amore autentico si eleva al di sopra delle creature e si immerge in Dio: in Lui, per Lui e per mezzo di Lui ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici. A tutti tende una mano piena d'amore, per tutti prega, per tutti soffre, a tutti augura il bene, per tutti desidera la felicità, poiché è Dio che lo vuole!... Colui che, con la preghiera all'Im­macolata (...), purificato dalla sofferenza e infiammato di un ardente fuoco d'amore verso Dio, spinto da questo stesso amore, fa quel che è nelle proprie possibilità per guadagnare il maggiore numero di anime a Dio (...), costui e solo costui celebrerà il trionfo».  
 
Altro mezzo e arma: il lavoro. Il lavoro è necessario per guadagnare sempre nuovi aderenti alla lotta per il bene, per far conoscere 1'Immacolata, per confutare gli avversari, per conquistare quante più anime è possibile all'ideale. Un lavoro dalle forme più diverse e dai modi più umili, ma sempre enorme­mente efficace.  
 
E ancora: i sacrifici e le sofferenze. Un'altra «potente leva» di lotta e di vittoria è costituita dal sacrificio e dalle sofferenze, accettati e santificati dall'amore. E, infatti, la sofferenza gioiosa se, da una parte, evidenzia i limiti e la miseria dell'uomo, è anche espressione di fiducia «non nelle proprie ingannevoli forze, ma unicamente nell'Im­macolata».  
 
Essa, poi, è la migliore e più concreta prova d'amore, perché «l'amore vive, si nutre di sacrifici (...). Senza sacri­ficio non c'è amore». Il sacrificio, anzi, è un po' il vertice dell'uomo, così come lo fu, in qualche modo, per Cristo, il sacrificio sulla croce: «Il vertice dell'amore è lo stato nel quale è venuto a trovarsi Gesù sulla croce (...). Ma, al di sopra di tutto, il sacrificio della ragione e della volontà nella santa obbedienza. Quando l'amore a Lei ci avrà afferrato e compenetrato, allora i sacrifici diverranno una necessità per la nostra anima». E Dio non resiste all'amore che si immola, sicché esso è arma potente per ottenere la grazia. P. Kolbe può dire, stando ammalato: «Si opera moltissimo anche attraverso la stessa malattia».  
 
Le sofferenze, cioè, e i sacrifici, visti e rice­vuti come «doni» e «caramelle», dalle mani di Dio, divengono, oltre che magnifiche spinte sulla via della santifica­zione personale, anche fonte di meriti e, perciò, di grazie innumerevoli per sé e per gli altri: «Per facilitare in noi l'attività volta al bene delle anime - dice P. Kolbe - Dio permette piccole croci di vario genere, dipendenti o indipendenti dalla volontà altrui, provenienti meno da una volontà retta. Questo è un campo immenso di innu­merevoli sorgenti di grazie che deve essere utilizzato. Sono fonti di meriti, tra gli altri, i dispiaceri provocati da altre persone. (...) Per essere sinceri, la natura inorridi­sce di fronte alla sofferenza e all'umiliazione, ma alla luce della fede quanto sono necessarie per purificare la nostra anima e, perciò, quanto debbono esserci gradite! Quanto contribuiscono ad avvicinare maggiormente a Dio, e quindi ad una maggiore efficacia, ad una più valida azione missionaria!». Perciò P. Kolbe può concludere: «Chi lavora per l'Immacolata, bisogna che soffra molto», per­ché sono proprio le sofferenze, e specialmente i sacrifici dell'obbedienza, ad ottenere «più sicuramente lo scopo della preghiera», e cioè le vittorie che trasformano i cuori e le volontà.  
 
Penitenza e mortificazione. Ad ottenere la grazia ser­vono, non meno, le armi della mortificazione e della penitenza. P. Kolbe ne spiega bellamente il perché: «La mortificazione è una potenza la quale, insieme con la pre­ghiera, ottiene le grazie divine, purifica l'anima, la infam­mia di amore verso Dio e verso il prossimo e sottomette le anime a Dio attraverso l'Immacolata». Infatti que­ste disposizioni e atti avvicinano sempre più a Dio, ren­dono l'anima sempre più accetta al suo occhio: tutte cose indispensabili ad ottenere la grazia che salva e vince e rende degna dei favori di Dio: «La mortificazione è necessaria e indispensabile per tutti noi, poiché è anche per mezzo di essa che noi ci procuriamo la grazia divina.  
 
Come l'oro nel fuoco, così nella mortificazione l'anima si purifica e irradia il proprio amore, diventa più simile a Dio, più gradita a Lui e per ciò stesso più capace di accogliere abbondantissime grazie per sé e per gli altri suoi poveri fratelli. Che cosa si ottiene, infatti, per un amore a Dio senza sofferenza?!... Ma - si domanda P. Kolbe, prevenendo sgomenti e paure di anime pusillanimi - quale penitenza, quale mortificazione?... Forse quella eccezionale ed eroica dei santi, a cui non tutti son chia­mati?... No, no, ma per lo meno, quella penitenza che è accessibile a tutti, la penitenza e mortificazione, cioè, dei propri doveri quotidiani, dell'osservanza della legge, ecc.: «La salute e gli obblighi del proprio stato non per­mettono a tutti il rigore della penitenza, anche se tutti riconoscono che il percorso della propria vita è coperto di piccole croci. L'accettazione di tali croci in spirito di penitenza: ecco un vasto campo per l'esercizio della peni­tenza. Oltre a ciò, l'adempimento dei propri doveri, l'adempimento della volontà di Dio in ogni istante della vita, un adempimento perfetto nelle azioni, nelle parole e nei pensieri, esige molte rinuncie a quelle cose che ci potrebbero sembrare più gradevoli in un dato momento: ed ecco una fonte copiosissima di penitenza», perché si «ha la possibilità di dare una prova di amore disinte­ressato».  
 
b) I mezzi e le armi naturali. Se, come tutti i santi, P. Kolbe dà preminenza assoluta e incondizionata ai mezzi che ottengono la grazia, non per questo trascura o disprezza i mezzi naturali. Non è del vero cristianesimo lasciar fare tutto a Dio, attendendo passivamente che tutto si faccia dall'alto. La cooperazione umana e, perciò, i mezzi ordinari e alla portata di tutti, assumono in P. Kolbe un'importanza particolare, anche se subordinata e secondaria. Si può anche dire, come meglio evidenzie­ranno le pagine seguenti, che pochi, come P. Kolbe, sono stati così aperti e sensibili a tutti i «segni dei tempi».  
 
Quali sono questi mezzi e armi naturali? Da notare, prima di tutto - come è più ovvio - l'esclusione di ogni arma materiale, vera e propria, come si intende con questa parola. Oltre tutto «un'arma materiale non sta bene tra le mani del milite dell'Immacolata, in quanto tale». Quali allora? ...Prima di tutto: L'organizzazione, intesa nel senso più largo della parola, quella cioè che reperisce personale adatto e pre­para progetti, che studia piani e cerca modi per reperire i necessari fondi, ecc. ecc. «L'organizzazione è (...) uno dei mezzi leciti e utili per raggiungere più efficacemente lo scopo».  
 
Un certo collegamento di forze, sicché le energie e le iniziative non si perdano in mille rivoli inefficaci, quando potrebbero, assieme, formare dei poderosi corsi d'acqua. «Una certa armonizzazione degli sforzi è di aiuto per raggiungere meglio lo scopo». Anzi, «Un mezzo formidabile è il collegamento delle energie dei singoli, di anime isolate tra loro»;  
 
La conoscenza personale: un mezzo forse, in tanti casi, addirittura insostituibile. Ecco come ne parla P. Kolbe: «Io sono del parere che sia bene avvicinarsi alle sfere governative, conoscere più esattamente i loro orien­tamenti, per poter influire talvolta anche in direzione dei problemi religiosi. Si può fare molto di più con la cono­scenza personale, che con violente critiche scagliate da lontano. Sono convinto che in questo modo è possibile rintracciare molte persone di buona volontà, le quali pos­sono essere perfino nocive, ma più per ignoranza che per malafede. L'accostarsi personalmente ad un altro toglie di mezzo numerosi preconcetti reciproci»;  
 
L'uso di tattiche, le più accorte e diverse, come quella, per es., di tendere a conquistare gli stessi caporioni avversari, nell'ovvia persuasione che, mancando il capo, anche i gregari si disorientano e più facilmente ven­gono vinti;  
 
Il ricorso, poi, a qualsiasi mezzo, purché lecito. Il ricorso soprattutto ai mass media e alla stampa, in particolare. P. Kolbe annette, e non a torto, grandis­sima importanza alla stampa. Abbiamo già accennato ad una sua conferenza degli anni 1919-1921. È in questa stessa conferenza che egli poneva già, in tutta lucidità e larghezza di mente, il problema della stampa cattolica e della stampa buona, in genere. E, infatti, dopo aver elencato un po' quanto attuato dai «nemici», e riferite le parole del socialista Lassalle che denuncia, allarmato, l'immanità del male perpetrato chiedendo un urgente cambiamento di rotta, così si esprime P. Kolbe: «È tempo ormai, e il più opportuno, che si attui questo cambia­mento. Purtroppo - annota qui P. Kolbe - le carenze della stampa cattolica sono molteplici e gravi, una ragione di più perché il dovere dei cattolici, evidenziato anche da molti preoccupati interventi pontifici, sia compiuto e assolto in tutte le sue molteplici ramificazioni e implica­zioni». Ed egli, dopo aver enucleato, abbastanza chiara­mente, i necessari passi da fare in merito, così conclude: «Piaccia a Dio che nell'imminente avvenire non ci siano, città, non ci siano villaggi in cui non si trovino bibliote­che che e sale di lettura per libri buoni e riviste, in conve­niente numero, a bassissimo costo e magari gratuite. Sor­gano ovunque dei circoli che si assumano l'impegno di distribuire e di diffondere la buona stampa, e in breve tempo la faccia della terra si trasformerà. Inoltre, coloro ai quali Dio ha concesso una certa scorrevolezza nell'uso della penna e una propensione in qualsiasi settore della letteratura, si uniscano possibilmente in circoli particolari e si servano di questi doni di Dio per produrre la mag­giore quantità possibile di buona stampa in ogni campo della pubblicistica. Evidentemente non ci si dovrebbe restringere ai soli fedeli, ma scrivere anche per gli acatto­lici e offrire loro un buon alimento spirituale. Questi sono pure gli scopi attuali della "Milizia dell'Immacolata" e con questo mezzo si e già verificata più di una con­versione».  
 
Che dire delle armi e dei mezzi suggeriti da P. Kolbe?... Senza dubbio c'è qui già tutto il genio dello stratega e del lottatore nato, che ha intuito ed enunciato, profeticamente, e con grande precisione, la provvidenzia­lità, per l'azione apostolica, dei mezzi tecnici approntati dal progresso, in crescendo prodigioso. È vero, non siamo ancora al «segreto» ultimo della sua «strategia» vit­toriosa, come subito vedremo, ma si è già davanti ad un enorme stimolo ad un apostolato, aderente agli uomini e ai «segni dei tempi» attuali. Chi vuole veramente com­battere per l'Immacolata, non può non tenerne conto.  
 
3. I fronti della battaglia.  
 
Dove portare lo sforzo combattivo?... La battaglia, dice P. Kolbe, va affrontata e combattuta ovunque ope­rano i «nemici», e quindi praticamente in tutto il mondo, in tutti i settori dell'umana attività, perché ovunque ferve la lotta tra bene e male. Questo grandioso fronte di bat­taglia può, però, comodamente, distinguersi in tre distinti fronti, di più o meno grande importanza ed estensione: il fronte del proprio io, quello dell'ambiente in cui si vive e si opera, e quello del mondo intero.  
 
a) Il fronte del proprio io: è, senza dubbio, il più importante e quello che condiziona, un po', anche l'anda­mento sugli altri fronti. Combattere sul fronte del pro­prio io equivale a lottare ad estirpare passioni e tendenze perverse; tendere a liberarsi dal peccato grave e da ogni altra forma di infrazione volontaria alla legge; significa sforzo di crescita e di vita interiore.  
 
Il fronte del proprio io è quello che, evangelicamente, corrisponde alla conversione totale, base e fondamento di tutta la salvezza e santificazione, e presupposto, anche, per tutte le altre conquiste dello spirito. P. Kolbe, come tutti i santi, ha capito che è qui la soluzione di ogni problema spirituale, per sé e per gli altri, e perciò vi insiste in passi innumerevoli. Eccone solo qualcuno: «Chi desidera offrire il proprio contributo all'opera di santifica­zione degli altri deve cominciare, è ovvio, da se stesso.  
 
Egli stesso, perciò, deve avvicinarsi sempre più all'Imma­colata (...). Non solo, ma, sperimentando quanta dolcezza dà nella vita l'avvicinamento all'Immacolata, quanta ener­gia nelle tentazioni, quanto conforto nelle difficoltà, cerca di partecipare anche a coloro che gli sono accanto la propria felicità...». E quando egli, bruciato dal deside­rio di vedere il mondo intero ai piedi di Maria Immaco­lata, si domanda: quando ogni cuore che batte sulla terra palpiterà per Lei, risponde: «Sono dell'avviso che non c'è mezzo migliore per affrettare quell'istante benedetto, del fatto che ognuno di noi si impegni ogni giorno di più ad approfondire in se stesso la propria consacrazione all'Immacolata. Infatti, quanto più perfettamente apparter­remo a Lei, tanto più liberamente Ella stessa ci potrà guidare; non si può immaginare un'azione più efficace di questa». E ancora: «La cosa più importante è potenziare sempre più il nostro personale amore verso l'Immacolata e pregarLa spesso per ottenere un amore verso di Lei sempre più profondo ed ardente. Questa è la sostanza della nostra vita, della nostra esistenza».  
 
b) Il fronte della famiglia e dell'ambiente dove si vive e si opera.  
 
Combattere qui equivale sia ad irradiare il profumo e l'esempio di una vita personale intemerata e tutta tesa alla santità; e sia adoperarsi con tutti i mezzi, a propria disposizione, per far conoscere l'Immacolata e lottando il peccato e l'indolenza, ecc. Chi cerca di vivere la sua consacrazione ed esperimenta la dolcezza del servizio all'Immacolata, «cerca di partecipare anche a coloro che gli vivono accanto la propria felicità, fa di tutto per avvicinare pure costoro all'Immacolata, per conquistare a Lei i loro cuori; cerca, cioè, di diventare un Suo vero milite». Perché, «in qualsiasi luogo si trovi, un'anima che ama di vero cuore l'Immacolata trasfonde nell'am­biente che la circonda il proprio amore verso di Lei, vale a dire conquista per Lei una schiera sempre più numerosa di anime e in un modo sempre più perfetto».  
 
c) Il fronte del mondo. Sul fronte del mondo, la cui conquista, come si sa, costituisce lo scopo della M. I., l'anima vi lavora e vi influisce già indirettamente, bonificando e conquistando se stesso e quelli che gli vivono accanto. Nessuna bonifica, anche di un piccolo ambiente, è senza vantaggiose ripercussioni sull'insieme sociale. Ma l'anima che ama è chiamata ad operare anche direttamente quanto più lontano è possibile.  
 
Infatti «Il solo pensiero che tante anime ancora non conoscano nep­pure il nome di Maria, non gli dà pace. Bramerebbe conquistare il mondo intero a Lei, introdurre l'Immaco­lata in ogni cuore che batte e che batterà in ogni tempo sotto il sole». Si impegnerà perciò a tutte le iniziative possibili, soprattutto a quelle che hanno un vastissimo raggio di influenza. E soprattutto, rendendosi conto «di non essere in grado di far fronte ad un'opera così vasta, comprende che l'Immacolata stessa deve agire in lui e attraverso di lui in mezzo alle persone che gli vivono accanto e perciò si offre ancora più perfettamente in pro­prietà all'Immacolata, quale docile strumento nelle sue mani immacolate».  
 
Volendo, a questo punto, tirare un po' le somme, potremmo riassumere così:  
 
la strategia di P. Kolbe, essendo di respiro vasto come il mondo, ci si accorge che egli non trascura nulla di ciò che è nella tradizione classica della Chiesa: pre­ghiera, penitenza, impegno di virtù e di perfezionamento, ecc.;  
 
che, di quanto creato da Dio o acquisito dalla tecnica e dall'intelligenza umana, in genere, tutto può e deve servire alla gloria di Dio. I frutti dell'intelligenza, prima che agli uomini e ai problemi della terra, appartengono a Dio e devono servire ai problemi spirituali e apostolici. Tale strategia ha un tono e caratteristiche modernis­sime. P. Kolbe invita ad aprirsi decisamente e a servirsi dei mezzi più avanzati della tecnica anche per evitare che di essi si impadroniscano le forze del male.  
 
La strategia del P. Kolbe è anche squisitamente fran­cescana, sia perché è sempre concretezza di opera e di vita; e sia perché ci si sforza di guardare a tutte le crea­ture con lo stesso sguardo luminoso e ottimista di Frate Francesco. Caratteristica francescana che non è indiffe­rente ai fini della lotta vittoriosa: si sa, infatti, come e in quale proporzione ha saputo «sfondare» il metodo apo­stolico di Francesco d'Assisi.  
 
Ma, soprattutto, la strategia di P. Kolbe è spiccata­mente soprannaturale. Egli non si contenta di affermare la necessità della grazia, nella lotta al male. Quale santo non ne è profondamente convinto?... Ma egli accentua questo aspetto in modo estremamente deciso e vigoroso, da poter dire veramente, che chi fa tutto è la preghiera, la grazia, l'Immacolata. Non è l'esclusione dell'elemento umano e naturale, ma solo l'accentuazione più forte del­l'elemento divino nella battaglia per il bene.  
OK

Cap. VI - IL SEGRETO DELLA VITTORIA: L'IMMACOLATA

 
Il particolare impiego dell'una o dell'altra tattica e strategia, l'accentuatissimo carattere soprannaturale, dato da P. Kolbe, alla lotta ai «nemici» di Dio e della Chiesa, tradiscono un «segreto» o un modo tutto proprio di assi­curarsi la vittoria. In effetti, tutti i grandi condottieri, strateghi e lottatori hanno avuto il loro segreto, che ispi­rava le loro mosse e il loro modo di combattere. Così, per fare solo qualche esempio, S. Francesco di Assisi fonda tutto sull'amore a Cristo Crocifisso, riscoperto nel Vangelo sine glossa; S. Luigi Grignon de Monfort imposterà tutto sulla devozione totale alla SS. Vergine; S. Francesco di Sales mirerà piuttosto all'equilibrio o «aurea mediocritas», che non è, certamente, la «medio­critas» nel senso deteriore del termine; S. Giovannni Bosco insisterà sul metodo preventivo.  
 
E P. Kolbe?... Senza dubbio, l'insistere tanto sul soprannaturale porta diritto diritto all'Immacolata, che è trionfo di grazia. Un «segreto» rivelato in questi ultimi tempi, come provvidenziale strumento contro le forze infernali, scatenatesi proprio in un rigurgito di laicismo naturalistico e di dissacrazione del soprannaturale. Come fa P. Kolbe a provare ciò?  
 
1. La vicinanza di Dio e le grazie.  
 
L'anima più vicina a Dio ottiene tutto da Lui, anche la vittoria sui nemici. «Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio, tanto più è gradita a Dio; quanto più ella lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficacemente e piena­mente la sua preghiera è esaudita». È questo il princi­pio di tutta la strategia kolbiana, tutta soprannaturale e sorprendentemente vittoriosa. «Quanto più l'anima è vicina a Dio...». Si tratta, qui, ovviamente, di vicinanza non tanto spaziale, quanto di volontà, di cuore, di amore. Infatti, solo la vicinanza di amore può dirsi veramente vicinanza, non quella spaziale. Due persone possono stare vicinissime nello spazio, magari anche l'una accanto all'al­tra, come padre e figlio nella parabola del figliuol pro­digo, ma essere lontanissime, perché si odiano. Due per­sone, al contrario, che si amano, come madre e figlio, anche se sono lontanissime nello spazio, sono vicinissime nel cuore, nell'amore.  
 
Vicinanza di amore, abbiamo detto: neanche, infatti, la vicinanza di perfezione costituisce vera vicinanza. Una creatura può, per perfezione di essere, distare da Dio meno di un'altra, e porsi, tuttavia, ad abissale distanza, per l'odio e il peccato: è il caso, per es., di Lucifero che, infinitamente più perfetto dell'uomo quanto a natura, non è affatto più vicino a Dio di lui.  
 
La vicinanza, dunque è sinonimo di perfezione di perfezione: chi più ama Dio, più è vicino a Lui, perché l'amore unisce a Lui, e la perfezione può misurarsi solo dalla più o meno grande intensità di tale unione. Giusta­mente P. Kolbe dirà: «Il grado di perfezione dipende dal­l'unione della nostra volontà con la volontà di Dio. Quanto maggiore è la perfezione, tanto più stretta è l'unione» con Dio. La vicinanza a Dio comporta, dun­que, l'essere a Lui graditi ed essere da Lui riamati, con la logica conseguenza di poter esercitare su di Lui una grande ascendenza: «Quanto più ella (= l'anima) Lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare gli altri, ecc.». L'amore ottiene tutto e, quindi, anche il superamento delle tentazioni e la scon­fitta dei nemici; e ciò per molteplici ragioni. Prima di tutto, perché l'amore, essendo forza unitiva, mette come in comune i poteri della persona amata e quelli della persona amante. L'amore fa sì, perciò, che l'anima abbia per sé tutto Dio e, quindi, anche la sua ricchezza e onni­potenza. Non per nulla i santi appaiono, spesso, quasi come degli esseri onnipotenti.  
 
Inoltre, poiché l'amore rende accetto, tutto esso ottiene dalla persona amata. Prescindendo, perciò, anche dall'unione, esso è potentissima forza di esaudimento. All'amore, infatti, si risponde solo con l'amore, esauden­done, perciò, desideri e istanze.  
 
Ora, l'essere più vicino a Dio e, perciò, più influente sul di lui Cuore, è l'Immacolata. Infatti: Maria è gradita a Dio perché è la creatura che più si avvicina alla sua purezza. Dio è la santità, la luce stessa che non può tollerare la minima ombra di peccato, essendo questo, essenzialmente, tenebra e notte fonda. Una santità così abissale, quella di Dio, che trova macchie e ombre perfino nei suoi angeli, nel senso che - analogamente a quanto avviene nelle cose create, dove il più declassa e quasi offusca il meno - paragonata alla santità di Dio perfino quella degli angeli si direbbe sbiadita!  
 
Chi s'avvicina di più alla luminosità di Dio è Maria, perché è la stessa Immacolatezza, «1'Immacolatezza perso­nificata», come Lei stessa ha fatti capire a Lourdes, dicendo: «Io sono l'Immacolata Concezione». Infatti non è la stessa cosa essere concepita senza peccato ed essere 1'Immacolatezza «così come altro è l'oggetto bianco e altro la sua bianchezza, altro è un oggetto perfetto e altro la sua perfezione». L'immacolatezza importa che Maria non solo è immune da ogni peccato originale e attuale; non solo non ha commesso, nella sua vita, nean­che il più piccolo fallo; ma che è assolutamente inca­pace di macchiarsi. Si può, infatti, macchiare il muro bianco o qualsiasi altro oggetto bianco, mai potrà mac­chiarsi il «bianco» in se stesso!  
 
Già, dunque, per questa «trasparenza», che La rende più pura dei più puri spiriti creati, Maria è oggetto di infinita compiacenza da parte di Dio. Tanto più accetta in quanto questa trasparenza deriva o consiste tutta nel­l'assenza di peccato: è il peccato, più che il nulla di essere, a frapporre impedimenti all'azione di Dio; è il peccato, nelle sue quasi infinite manifestazioni ed espressioni e gradualità, ad appannare la luce di Dio nella creatura!  
 
Maria è, poi, graditissima a Dio, perché è la «piena di grazia».  
 
In Maria, cioè, non solo non ci sono ostacoli alla luce, ma c'è la luce stessa della grazia di Dio, e in un modo pienissimo e unico. Essa, infatti, è la «piena di grazia», colei cioè che, per singolarissimo ed altissimo privilegio, partecipa alla vita stessa di Dio in maniera unica, ineffabile. Non esiste creatura, fosse pure l'an­gelo più eccelso, che possa vantare una eguale somma di grazia, in profondità e in estensione, come quella di Maria. I teologi ci dicono, sulla scorta della Rivelazione e dei Padri, che la grazia di tutti i santi ed angeli messi insieme, all'atto del loro ingresso nella vita eterna, è di gran lunga superata dalla grazia avuta da Maria.  
 
Può dirsi, questo, già dal primo istante dell'Immaco­lata Concezione? E probabile. Il privilegio della Conce­zione Immacolata, infatti, è in vista della divina Mater­nità, missione altissima e singolarissima, superiore ineffabilmente a qualsiasi altra più grande missione, che perciò richiedeva una quasi infinita abbondanza di gra­zie. La grazia è, un po', come avere lo «stesso san­gue» di Dio, un entrare a far parte della «famiglia» di Dio. Si possono, quindi, appena immaginare i legami e la familiarità di Maria con Dio.  
 
Tutto questo realizza una unione profondissima di volontà tra Maria e Dio. L'adesione, cioè, di Maria ai voleri di Dio, non essendo né parziale né saltuaria, né in alcun modo dissenziente, è purissima e pienissima con­formità, assoluta identità in un amore sublime. Unione e conformità di amore così stretta da rendere le due volontà (quella di Dio e quella dell'Immacolata), come una sola. È per questo che l'Immacolata rappresenta la somma risposta di amore all'amore di Dio o, come si esprime P. Kolbe, richiamandosi alla nota legge fisica del­l'azione e della reazione, la più perfetta risposta o rea­zione all'amore o azione di Dio: «Nell'universo noi incontriamo ovunque un'azione e una reazione uguale a tale azione, ma contraria, un'andata e un ritorno, un allontanamento e un avvicinamento, una divisione e una unificazione (...). Dio crea l'universo e quest'azione è in un certo qual modo una separazione.  
 
Mediante la legge naturale ricevuta da Dio, le creature, dal canto loro, si perfezionano, divengono simili a questo Dio, ritornano a Lui; le creature ragionevoli, poi, l'amano coscientemente e si uniscono sempre più a Lui mediante tale amore, fanno ritorno verso di Lui. Inoltre, la creatura totalmente piena di questo amore, di divinità, è l'Immacolata, senza la benché minima macchia di peccato, Colei che non deviò mai in nessuna cosa dalla volontà divina». Siamo veramente al vertice: l'Immacolata è il limite ultimo tra Dio e la creazione, un'immagine fedelissima della perfezione di Dio, della sua santità, e perciò la sua volontà è perfettamente quella di Dio: «Poiché la Madonna Santissima ha superato con la sua perfezione tutti gli angeli e i santi, perciò anche la sua volontà è unita e immedesimata nel modo più stretto con la Volontà di Dio. Ella vive e opera unicamente in Dio e per mezzo di Dio». L'unione, quella dell'Immaco­lata, è tale che non si può immaginare, tra le creature e il Creatore, altra unione più profonda, trattandosi di unione tra l'amore che è, da una parte, la ricapitolazione e il vertice stesso dell'amore creato e, dall'altra, dello stesso increato amore di Dio. Infatti «Il vertice dell'amore della creazione che torna a Dio è l'Immacolata, l'essere senza macchia di peccato, tutta bella, tutta di Dio».  
 
Ma Maria, oltre che Immacolata, è pure la Madre di Dio; e, cioè, i vincoli di Maria con Dio, già profondissimi, ineffabili, realizzati dalla grazia e dall'amore, sono più che mai rinsaldati, coronati e portati quasi all'infi­nito dalla divina Maternità, alla quale è stata elevata. Qui, direbbe P. Kolbe, al vedere l'Immacolata tanto in alto, la testa comincia a girare: impossibile, infatti, affac­ciarsi sull'infinito, sull'abisso del mistero della Maternità divina, senza avvertire le vertigini! Il mistero stesso della Concezione Immacolata era voluto in vista dell'ineffabile grandezza del Verbo, che si faceva «carne». E, cioè, come al primo Adamo, così al secondo anche, bisognava prepa­rare un «paradiso», degno della sua gloria. Con la Mater­nità divina, l'Immacolata entrava, così, formalmente, nella «famiglia» di Dio, vera Madre del Verbo Incarnato, «complemento» quasi della SS. Trinità: «Inserita nell'a­more della SS. Trinità, (l'Immacolata) diviene fin dal primo istante della sua esistenza, per sempre, in eterno, il complemento della SS. Trinità».  
 
Ma se l'Immacolata è così «vicina» a Dio, da divenire quasi una sola cosa con Lui, è evidente che in Lei, e solo in Lei si realizza, in perfezione totale, il principio enunciato da P. Kolbe: quanto più l'anima è vicina a Dio «tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare anche gli altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facil­mente e pienamente la sua preghiera sarà esaudita». O, in altre parole, avendo vinto in sé e per sé il nemico, e possedendo il massimo favore di Dio, l'Immacolata può aiutare, più che ogni altro, a vincere i nemici del bene e delle anime e della Chiesa. E aiuta a vincere, ancora, perché è Colei che più e meglio può ottenere da Dio la grazia vittoriosa. E infatti:  
 
2. L'Immacolata: generatrice, mediatrice e dispensatrice di tutte le grazie.  
 
Maria, Madre di Dio, non solamente è così vicina alla sorgente, qual'è Dio, da parteciparvi come a nessuno è dato, ma è pure così ineffabilmente unita a Lui da esserne la Sposa: in Lei e per Lei Dio genera castissi­mamente la grazia. L'Immacolata, dice P. Kolbe «è con­giunta in modo ineffabile con lo Spirito Santo, per il fatto che è sua Sposa, ma lo è in un senso incomparabil­mente più perfetto di quello che tale termine può espri­mere nelle creature». Una unione castissima interiore, che dà luogo ad una vita divinamente feconda: «Di quale genere è questa unione? Essa è innanzitutto interiore, è l'unione del suo essere con l'essere dello Spirito Santo. Lo Spirito dimora in Lei, vive in Lei, e ciò dal primo istante della sua esistenza, sempre e per l'eternità. In che cosa consiste questa vita dello Spirito Santo in Lei? Egli stesso è amore in Lei, l'amore del Padre e del Figlio, l'amore con il quale Dio ama se stesso, l'amore di tutta la SS. Trinità, un amore fecondo, una concezione.  
 
Nelle somiglianze create l'unione d'amore è la più stretta. La Sacra Scrittura afferma che saranno due in una sola carne (cf Gen 2, 24) e Gesù sottolinea: «Cosicché non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19, 6). In un modo senza paragone più rigoroso, più interiore, più essenziale, lo Spirito Santo vive nell'anima dell'Immacolata, nel suo essere e La feconda, e ciò fin dal primo istante della sua esistenza per tutta la sua vita, ossia per sempre.­ Questa Concezione Immacolata Increata concepisce immaco­latamente la vita divina nel grembo dell'anima di Lei (Maria) Sua Immacolata Concezione. Pure il grembo ver­ginale del corpo di Lei è riservato a Lui, che vi concepi­sce nel tempo - come tutto ciò che è materiale avviene nel tempo - anche la vita dell'uomo-Dio».  
 
Non basta: «Lo Spirito Santo, il divino Sposo del­l'Immacolata, agisce solamente in Lei e attraverso Lei, comunica la vita soprannaturale, la vita della grazia, la vita divina, la partecipazione all'amore divino, alla divinità».  
 
P. Kolbe può tirarne tutte le conseguenze: «Per que­sto appunto Ella è diventata Mediatrice di tutte le grazie, proprio per questo Ella è veramente la Madre di ogni grazia divina», «... la Mediatrice di tutte le grazie dello Spirito Santo»; Mediatrice «di tutte le grazie, poiché appartiene allo Spirito Santo, a motivo della più intima e vitale unione con lo Spirito Santo. Ecco perché attraverso Lei si va a Gesù Cristo e al Padre». E così: «L'Immacolata è la madre di tutta la nostra vita soprannaturale, poiché è la Mediatrice delle grazie, anzi la Madre della grazia divina, perciò è nostra madre nella sfera della grazia, nella sfera del soprannaturale».  
 
Si delinea così anche quello che potremmo chiamare il circuito abituale della grazia nel suo discendere e salire: «... come la grazia viene a noi dal Padre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, così a buon diritto i frutti di questa grazia salgono da noi al Padre in ordine inverso, ossia attraverso lo Spirito Santo e il Figlio, vale a dire attraverso l'Immacolata e Gesù. È questo lo stupendo prototipo del principio di azione e di reazione, uguale e contraria, come affermano le scienze naturali». La «via» è unica, obbligata, ineludibile: «Dal momento in cui si è attuata tale unione (= dell'Immacolata con lo Spirito Santo), lo Spirito Santo non concede alcuna gra­zia, il Padre non fa scendere, attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, nell'anima la vita soprannaturale se non attraverso la Mediatrice di tutte le grazie, l'Immacolata, con il suo assenso, con la sua collaborazione. Ella riceve tutti i tesori di grazia, in proprietà e li distribuisce a chi e nella misura che Ella stessa vuole».  
 
Il pensiero del P. Kolbe, come si vede, è chiarissimo: è nell'Immacolata e attraverso l'Immacolata che si acquisi­sce la grazia, ed è l'Immacolata che la distribuisce. La dottrina di Maria «Corredentrice» e della sua «Media­zione», che lascia ancora perplessi parecchi teologi, sembra qui formulata, parecchi anni prima del Concilio Vaticano II, in perfettissima consonanza con quanto que­sto stesso Concilio insegnerà. L'Immacolata si inseri­sce nella «catena», al suo posto e nella sua funzine di creatura, senza alcun detrimento alla dignità e necessità assoluta dell'opera di Cristo. Un ordine e una subordinazione di essere e di compiti da tenere presenti, coerente­mente, anche nella devozione pratica.  
 
3. L'Immacolata, segreto di vittoria su tutti i nemici.  
 
Se ogni grazia viene data attraverso l'Immacolata, è ovvio che anche quella della vittoria sui nemici viene attraverso Lei: «L'Immacolata è la "onnipotenza sup­plice". Ogni conversione e ogni santificazione è opera della grazia, ed Ella è la Mediatrice di tutte le grazie. Perciò Ella sola basta per ottenere e distribuire tutte le grazie, qualunque grazia».  
 
I presupposti teologici che indicano nell'Immacolata il segreto di vittoria sono confermati da varie consta­tazioni:  
 
a) Solo all'Immacolata è stata fatta la promessa della vittoria finale e definitiva su satana: «Porrò inimicizia tra te e la Donna, tra la tua stirpe e la Sua stirpe... Essa ti schiaccerà il capo». Parole a cui fanno riscontro quelle altre dell'Apocalisse che, intese e in senso ecclesiologico e in senso ecclesiologico-mariano, prean­nunciano, comunque, sempre, la vittoria, dalla quale l'Im­macolata non è affatto estromessa.  
 
b) Solo l'Immacolata, essendo costituzionalmente, per così dire, la stessa immacolatezza o luce, si pone, col suo stesso essere, come radicale, completa e vittoriosa opposizione a satana e a tutti i nemici del bene. E, infatti, non avendo l'Immacolata, in tutta la sua esistenza, con­tratto la benché minima macchia di peccato - né origi­nale, né attuale personale -, ed essendo stata, già dal primissimo istante della sua Concezione Immacolata, come inondata dal fulgore stesso di Dio qual'è, appunto, la grazia, non solo non ha nulla che sia o possa richia­mare l'influsso o il dominio di satana che è tenebra, ma Essa lo mette in fuga, lo annienta, così come la luce, di per sé, annienta e mette in fuga la tenebra. L'Immaco­lata, anzi, si pone, nel suo stesso essere di somma luce di grazia e di amore, come la massima contrapposizione vittoriosa a colui, satana, che è la massima concentrazione di notte e di tenebra. Lei è come il mezzogiorno della grazia che, perciò, si contrappone e mette in fuga, meglio di qualsiasi altra ora del giorno, (quali possono essere i santi, luce anch'essi, ma più o meno inficiata o ottene­brata dalla tenebra del peccato; luci più o meno distanti dal mezzogiorno e vicini alla notte!) la tenebra dei nemici di Dio e specialmente di quel satana, che ne è come la mezzanotte, essendo il massimo della milizia.  
 
c) P. Kolbe poteva avere, forse, conferma di questa intuizione, dall'operato di alcuni santi, come per es. della «veggente» polacca Marianna Popolewska. Questa aveva indirizzato al Papa Benedetto XIV una lettera - di cui esiste una traduzione in latino di P. Kolbe - nella quale rivelava che la Madonna voleva salvare il mondo con la Medaglia miracolosa: supplicava perciò il Papa a disporre perché il Clero si desse a divulgarla il più larga­mente possibile.  
 
In pratica Lei sola, e da sola - come canta la Litur­gia - ha distrutto tutte le eresie, e cioè tutto il corpo del serpente infernale. Parole che P. Kolbe ha così spie­gato in uno dei molteplici commenti, che ne ha fatto: «L'Immacolata quindi schiaccia il capo del serpente e distrugge il suo enorme corpo, composto dalle più sva­riate eresie dei vari tempi e luoghi. (...) "Tutte" è scritto, perciò senza alcuna eccezione. "Tu sola", dunque basta Lei. "Hai distrutto", quindi non le ha solo ridotte, domate, ma Ella è tanto potente e la sua vittoria è tal­mente efficace che i suoi nemici non possono avere alcuna speranza di vittoria. "Sul mondo intero", perciò non solo in un settore più o meno vasto, ma su tutto l'orbe terrestre».  
 
A chi volesse obiettare che le eresie ci sono ancora e sempre ce ne saranno, fino alla fine dei secoli, P. Kolbe chiede: «Come intendere questa affer­mazione (= «Tu sola hai distrutto tutte le eresie...»)? E risponde sottolineando la verità dell'affermazione con una analogia storica. Napoleone, in guerra, avendo saputo di una mossa dell'avversario, ha esclamato: «il nemico ha perso, pur non essendo affatto terminata la battaglia». E conclude, applicando il tutto all'Immacolata: «Benché la cosa non sia ancora conclusa (e cioè, benché l'azione vittoriosa di Maria non sia ancora conclusa) tuttavia è ormai senza speranza. Oggi, a conferma di queste parole della Liturgia della Chiesa, splendidamente capite dal P. Kolbe, si comincia a capire che, quando è salva­guardato, appieno, il ruolo di Maria, è salva anche la purezza della fede. Tutti i suoi privilegi sono gloria di Cristo e di Dio e anche «segno» di salvezza per la fede autentica.  
 
L'Immacolata può e, cioè, è in grado di vincere, ma lo vuole anche, per quell'amore a Dio e al suo Gesù, che è l'essenza stessa del suo essere, e per l'amore sconfi­nato che porta agli uomini, figli suoi, che vuole salvi e felici a tutti i costi.  
 
Ma in che modo l'Immacolata permette, anche ai suoi, di vincere i nemici di Dio? Si potrebbe riassumere il tutto dicendo che Ella ottiene da Dio tutte le grazie, per la salvezza e la santificazione dei fedeli, per la conver­sione dei nemici stessi, per la confusione degli ostinati e l'arresto delle conseguenze, provocate dagli errori (scongiurando così i castighi, preservando anime indifese, ecc.), per la conservazione e la rinascita della Chiesa di Dio. Le conversioni, perciò, la salvezza e la santificazione, con la conseguente parallela confusione dei nemici e del­l'errore che non si arrendono alla verità, costituiscono la vittoria della grazia. Quindi vere e proprie battaglie, combattute con tutti i mezzi leciti, che si concludono, in modo spesso manifesto a tutti o, anche, solo nel silen­zio del mistero, con la vittoriosa affermazione di Dio. E cioè:  
 
L'Immacolata ottiene, prima di tutto, la grazia della conversione.  
 
Satana, l'inferno, con tutti i loro accoliti e seguaci, in mala o in buona fede, lavorano per stabilire sulle anime la dominazione del peccato e della menzogna, e irretirle in degradanti catene. Schiavitù terribile, orrenda, fatta di lagrime e di umiliazioni, di accecamento pauroso e di disperazione, anche se accompagnata da miseri piaceri ed emozioni. Una schiavitù orrenda: ne sanno qualcosa i poveri «ossessi» o quelli che, comunque, cadono vittime di malefici e sortilegi o di forze demoniache, in genere. È contro questa schiavitù che si rivolge la redenzione del Cristo. E, cioè, tutti gli sforzi di Cristo e della Chiesa, nei secoli, sono rivolti a cacciare fuori «il principe di questo mondo», a «disfare le opere di satana», a redimere le anime in una conversione totale, radicale.  
 
Ebbene le conversioni sono opera dell'Immacolata, sono le sue vittorie. P. Kolbe è esplicito, perentorio: «Tutte le conversioni hanno origine da questa Mediatrice di tutte le grazie. È storicamente confermato che chi chiama l'Immacolata non cade nel fango, oppure se casca si rialza prontamente». È Lei che libera gli eretici «dalle eresie, distrugge in essi le opinioni e le convinzioni erronee». Ella «entra in un'anima mediante un'ispira­zione interiore, oppure servendosi dell'ambiente. Ma allorché ella riesce ad entrare, oppure se capita che le porte dell'anima si socchiudano almeno un poco ed Ella riesce a penetrare nell'interno di essa, allora Ella purifica dai peccati e dai difetti, l'adorna di virtù e la conduce sulla via di un amore ardente».  
 
Oltre che alla salvezza, l'Immacolata, poi, porta alla santificazione, con grande facilità ed efficacia, santifica­zione che è vittoria ancora più grande sul demonio e il male. L'anima, convertita, è già fatta «santa» dalla gra­zia, nel senso che ogni peccato le è rimesso; innestata poi misteriosamente in Cristo, è come permeata dalla stessa vita di Lui, e fatta oggetto di infinito compiaci­mento da parte di Dio, che ne fa il suo tempio preferito. Ma tutto questo deve svilupparsi e crescere. Il «seme» di dio, cioé, può e vuole svilupparsi fino alla pie­nezza dei frutti più santi, e cioé anche fino alla santità eroica.  
 
La santificazione è splendida vittoria sul male, per­ché, oltre tutto, è liberarsi e scuotersi di dosso le scorie stesse del peccato, e perciò da ogni influsso demo­niaco e del male, in genere; è irruzione di luce di Dio nella notte che incombe sul mondo; è crescita prodigiosa di amore e là dove alligna, tanto facilmente e abbondante­mente, la pianta dell'egoismo. I santi, vittoriosi in se stessi, divengono poi pure meravigliosi strumenti di prodigi e di vittorie di Dio. Ebbene, come la conversione, anche la santificazione è squisitissima opera dell'Immaco­lata, essendo Essa capacissima di purificare le anime nel miglior dei modi, di santificarle e unirle per sempre al dolcissimo Cuore di Gesù, di renderle felici». Un'o­pera di santificazione, quella dell'Immacolata, che andrebbe analizzata con profitto: vi si scorgerebbero, assieme all'ottenimento delle grazie più scelte e abbon­danti, mille sfumature e modi di condurre le anime, che sono altrettanti modi vittoriosi della sua strategia divina. Ma ci basti qui cogliere qualcosa nei vari testi, che qui riportiamo. Così, P. Kolbe afferma che Ella purifica tutto ed avvicina al Padre, perché Lei è la Puris­sima: «Poiché Ella è proprietà di Dio in modo perfettis­simo, mentre Gesù è di Dio e proprietà dell'eterno Padre, ogni nostra offerta, anche se indirizzata direttamente all'e­terno Padre, per natura di cose, si purifica nell'Immaco­lata, si eleva ad una perfezione infinita in Gesù e diviene oggetto di compiacimento della SS. Trinità».  
 
Una purificazione progressiva e sempre più profonda, che suppone e comporta grazie ordinarie e straordinarie di ogni genere e in ogni momento. Padre Kolbe non esita a scrivere: «L'Immacolata ha lasciato la terra, ma la sua vita è penetrata e si è dilatata sempre più nelle anime. Se tutte le anime che hanno già percorso il pelle­grinaggio terreno o che vivono attualmente in questo mondo potessero pronunciarsi, si dovrebbe pubblicare un numero incalcolabile di grossi volumi testimonianti l'atti­vità dell'Immacolata, tenera Madre delle anime redente dal Sangue sacratissimo del suo divin Figliuolo. Anche questi volumi, tuttavia, conterrebbero unicamente quel che tali anime possono aver riconosciuto come grazie speciali dell'Immacolata, mentre ogni grazia giunge all'a­nima dalle Mani della Mediatrice di tutte le grazie e non c'è istante in cui non fluiscano in ogni anima sempre nuove grazie: grazie di illuminazione dell'intelligenza, di irrobustimento della volontà, di incitamento al bene; gra­zie ordinarie e straordinarie, grazie riguardanti diretta­mente la vita temporale e la santificazione dell'a­nima».  
 
L'Immacolata, spinge, attira, fa vincere soprattutto l'indolenza della volontà, che si rifiuta di ope­rare: «La rilassatezza morale trae la propria origine princi­palmente da un infiacchimento della volontà. E chi è capace di irrobustire la debole volontà umana, se non Colei che è l'Immacolata fin dal primo istante della pro­pria esistenza, la Madre della divina grazia».  
 
Questi interventi di grazia l'Immacolata li effettua o nel mistero del cuore dell'uomo o, anche e spesso, attraverso apparizioni, miracoli, scelte di eccezione, ecc. ecc. Spesso, appare a tutti, che gli interventi prodigiosi sono in diretta opposizione ai piani rivoluzionari dei per­versi. Tali appaiono, per es., gli interventi dell'Immacolata nei secoli XIX e XX, quando cioè è appena nata ufficialmente la massoneria (1717) «e i movimenti masso­nici si diffondono in tutto il mondo. I germi del dissolvi­mento protestante, grazie alla massoneria, fruttano quel movimento di rifiuto del soprannaturale che ha nome di Illuminismo (...) la rivoluzione francese (1789), che a sua volta diventa punto di partenza e focolaio di ispirazione delle vaste ondate rivoluzionarie dell'Ottocento; portate avanti dalle formazioni massoniche (Illuminati di Baviera, Carbonerie, Alte Vendite, ecc.).  
 
Il movimento di scristia­nizzazione si trasmette dai vertici borghesi alle masse popolari. In questo quadro rivoluzionario di ispirazione illuministica si accendono le luci soprannaturali di Rue de Bac a Parigi, La Salette e Lourdes». L'Immacolata, cioè, risponde con la Medaglia miracolosa; suscita quel centro di enorme spiritualità e di conversione che è Lour­des con le sue apparizioni; e pochi giorni prima della Rivoluzione di ottobre in Russia, ella è già apparsa a Fatima. Tutto avviene nel nome dell'Immacolata, e tutto Dio ha voluto che si ispirasse a Lei. La stessa Litur­gia, che opera la rigenerazione e la santificazione, è ispi­rata a Lei: «L'anima si rigenera nell'acqua del santo batte­simo e in tal modo diviene figlia di Dio.  
 
L'acqua che purifica tutto ciò su cui scorre, è il simbolo di Colei che purifica ogni anima che Le si avvicina, è simbolo dell'Immacolata, di Colei che è senza macchia; su colui che è lavato da quest'acqua discende la grazia dello Spi­rito Santo. Lo Spirito Santo, il divino Sposo dell'Imma­colata, agisce solamente in Lei e attraverso Lei, comunica la vita soprannaturale, la vita della grazia, la vita divina, la partecipazione all'amore divino, alla divinità».  
 
La conclusione che ne trarrà P. Kolbe, e che tutti dovrebbero trarre, è unica: la lotta, sempre doverosa ai nemici del bene, o, se si vuole, l'apostolato per la conver­sione e la santificazione delle anime va portato avanti nel «segno» dell'Immacolata, perché solo Essa è garanzia di completa vittoria. Il ricorso a Lei, anzi - esplicito o implicito -, è «conditio sine qua non», condizione necessaria, cioè. All'Immacolata bisogna rivolgersi sia per strappare le anime a satana, sia per riprodurre in esse l'immagine di Dio: «non solo per ottenere la grazia della risurrezione, ma per raggiungere altresì tutti i gradini ele­vati, molto elevati della santità».  
 
Nell'Immacolata «debbono essere formati d'ora in poi i figli di Dio: ripro­ducendo le sembianze dell'Uomo-Dio, imitando Cristo Signore, le anime tenderanno alla santità; con quanta maggior precisione uno riproduce in se stesso l'immagine di Cristo, tanto più si avvicina alla divinità, si divinizza, diviene uomo-Dio. (...) Pertanto chi non vorrà avere Maria Immacolata per Madre, non avrà neppure Cristo per fratello, Dio Padre non gli invierà il Figlio, il Figlio non scenderà nella sua anima, lo Spirito Santo non for­merà con le proprie grazie il corpo mistico sul modello di Cristo, poiché tutto ciò avviene in Maria Immacolata, piena di grazia, e unicamente in Maria. (...) Nel grembo di Maria, l'anima deve rinascere secondo la forma di Gesù Cristo. Ella deve nutrire l'anima con il latte della sua grazia, formarla delicatamente ed educarla così come nutrì, formò ed educò Gesù. Sulle sue ginocchia l'anima deve imparare a conoscere e ad amare Gesù. Dal suo Cuore deve attingere l'amore verso di Lui, anzi amarlo con il cuore di Lei e diventare simile a Lui per mezzo dell'amore».  
 
Con ciò, senza dubbio - non sfuggirà a nessuno - siamo agli antipodi di quella posizione di alcuni teo­logi, soprattutto del dopo-concilio, che hanno cercato o cercano di estromettere, praticamente, Maria dalla vita cristiana, e che non si sono mai potuti spiegare l'en­tusiasmo del Popolo di Dio verso l'Immacolata, special­mente dopo la proclamazione del dogma dell'As­sunzione.  
 
Per P. Kolbe l'arrivo vittorioso dell'Immacolata è l'arrivo di Dio, di Cristo, del benessere, perché è Lei che porta Cristo, vita e salvezza di tutti. Ciò significa, allora, in definitiva, che quando arriverà, il regno dell'Im­macolata segnerà non solo la vittoria di Dio e del bene, ma anche la sconfitta totale di ogni menzogna e di ogni nemico: «Allora - dice P. Kolbe - cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, le eresie, gli ateismi, le massonerie e tutte le altre simili stupidaggini che proven­gono dal peccato».  
 
Una vittoria tanto più auspicabile e da affrettarsi in quanto, ancora una volta, si tratta di una vittoria di amore e di misericordia. Commentando, una volta di più, le parole della liturgia: «Tu sola hai distrutto tutte le eresie del mondo», P. Kolbe così si esprime: «Che bellis­sime parole! Ella distrugge le "eresie", non gli eretici, dunque, poiché li ama, desidera la loro conversione: e appunto perché li ama, desidera la loro conversione, e appunto per l'amore che nutre nei loro confronti, Ella li libera dalle eresie, distrugge in essi le opinioni e le convinzioni erronee». Una vittoria che porta con sé ogni benessere e felicità autentica per i popoli e i singoli. Il «paradiso» sognato invano da socialisti, comunisti e simili, diviene realtà dolcissima: «La terra diventerà un paradiso. La pace e la felicità vera entreranno nelle fami­glie, nelle città, nei villaggi e nelle nazioni dell'intera società umana, poiché dove Ella regnerà, faranno la pro­pria apparizione anche le grazie della conversione e della santificazione e la felicità».  
 
Chi conosce la felicità dei santi e dei convertiti sa che queste parole non sono menzognere. Ma P. Kolbe, come vedremo, ne darà una dimostrazione pratica, rico­nosciuta volentieri anche da coloro che vanno a caccia, inutilmente, di utopici paradisi terrestri, fuori di Dio e della verità!  
OK

Cap. VII - VITTORIOSI CON E ATTRAVERSO L'IMMACOLATA

 
L'Immacolata costituisce il sommo e il più puro trionfo della Redenzione, la grande vittoria di Dio e di Gesù. In Lei, per i meriti e il sangue di Cristo, satana è stato totalmente sconfitto. Se ne deduce che basterebbe anche solo l'Immacolata a giustificare l'opera della reden­zione, voluta da Dio.  
 
Sconfitto totalmente in Maria, satana lo sarà ancora, fino alla fine dei tempi, in Lei e attraverso Lei: è questa la «via» scelta da Dio, obbligata perché così è piaciuto a Lui. E cioè: Gesù continua a redimere le anime, serven­dosi principalmente della sua Mamma Immacolata che, così, continua dal cielo la sua missione. «L'Immacolata ha lasciato la terra - dice P. Kolbe - ma la sua vita è penetrata e si è dilatata sempre più nelle anime», con una attività incessante di tenera Madre delle anime redente. Ma tutto questo lo si può provare teologi­camente?  
 
1. L'Immacolata, «via» di Dio  
 
Che l'Immacolata sia «via» obbligata, necessaria di salvezza e di vittoria, lo si deduce già da quanto detto precedentemente. Se, infatti, l'Immacolata è Colei attra­verso cui tutto discende dalla Trinità a Cristo e agli uomini; e tutto ritorna, in maniera inversa, al Padre, vuol dire non solo che la grazia della vittoria sui nemici di ogni genere viene attraverso Lei; ma che l'Immacolata è pure la sola «via» della vittoria. Tutto cioè si realizza con e attraverso l'Immacolata: la rigenerazione alla vita soprannaturale come il fervore e la santità e il conse­guente fallimento del piano demoniaco. P. Kolbe lucida­mente ne tira tutte le conclusioni.  
 
Se il Verbo Incarnato, capolavoro dello Spirito Santo, viene plasmato in Maria, «anche dopo la morte di Cristo, lo Spirito Santo opera ogni cosa in noi attraverso Maria. Infatti, ciò che il Crea­tore disse al serpente a proposito di Maria: «Ella ti schiaccerà il capo» (Gen 3, 15), secondo l'insegnamento dei teologi deve essere inteso senza limitazione di tempo (siamo noi a sottolineare!). È compito dello Spirito Santo formare sino alla fine del mondo le nuove membra dei predestinati del Corpo mistico di Cristo. Ma, come il beato Luigi Grignon dimostra, quest'opera viene portata a compimento «con Maria, in Maria, e attraverso Maria», in un concatenamento misterioso e sublime, che rende più mirabile il piano di Dio.  
 
Dottrina, questa, confermata dalla Chiesa, anche recentemente, nel Concilio Vaticano II. Questi, infatti, dopo aver affermato che Maria cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore per la restaurazione della vita soprannaturale delle anime, divenendo per questo nostra Madre nell'ordine della grazia, così si esprime: «Questa maternità perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato (...) fino al perpetuo coro­namento di tutti gli eletti. Difatti anche dopo la sua Assunzione in cielo, non ha interrotto questa funzione salvifica, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenere i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna». Una funzione che, oltre tutto, si armonizza mirabilmente con la mediazione unica del Cristo: «Questa funzione materna di Maria verso gli uomini, in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini, non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua effica­cia, e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita».  
 
Dottrina, limpidamente ripresa, non meno, da Papa Paolo VI, che afferma: «Lo sviluppo (...) della devozione verso la Vergine Maria, inserita (...) nell'alveo dell'unico culto che a buon diritto è chiamato cristiano (...) è ele­mento qualificante della genuina pietà della Chiesa. Per intima necessità, infatti, essa rispecchia nella prassi cul­tuale il piano redentivo di Dio, per cui al posto singolare, che in esso ha avuto Maria, corrisponde un culto singo­lare per Lei».  
 
Perché Dio abbia voluto così, non è difficile indovi­narlo, specie dopo i tanti scritti dei santi Padri, a riguardo: satana che aveva vinto a mezzo della donna, viene a sua volta sconfitto dalla Donna Immacolata. Dio ha accettato la sfida lanciatagli. E così, anche, la donna, fatta strumento di rovina dell'uomo (un «segno» che ricorrerà incessantemente, negli attacchi dei nemici della Chiesa), diviene magnifico strumento di salvezza per e nell'Immacolata. Una realissima e stupenda promozione della donna, oltre tutto, tutt'altra cosa da quella, spesso, perseguita da un femminismo equivoco e poco coerente.  
 
Dio ha scelto la «via» della donna anche per facilitare l'accesso a Lui: «Chi si avvicina a Lei (= l'Immacolata) - ripete P. Kolbe - per ciò stesso si avvicina a Dio, solo che lo fa percorrendo una strada più breve, più sicura e più facile». Perché? A parte anche le ottime e belle ragioni, addotte dal Montfort, si deve dire che, da una parte, Dio, volendo usare verso di noi l'infi­nità del suo amore misericordioso, ha voluto trovare come una giustificazione valida di fronte alle esigenze della non meno infinita sua giustizia. «In una famiglia, spiega P. Kolbe, talvolta il padre si rallegra allorché la madre, con un proprio intervento, trattiene la sua mano che vorrebbe castigare il figliuolo, poiché in tal caso viene data soddisfazione alla giustizia e si manifesta pure la misericordia. Non è senza ragione, infatti, che la giusti­zia viene sospesa. Allo stesso modo anche Dio, per non castigarci, ci offre una madre spirituale, alla cui interces­sione non si oppone mai. Ecco perché i santi affermano che Gesù ha riservato a sé l'economia della giustizia, per affidare all'Immacolata l'intera economia della misericor­dia».  
 
Dall'altra parte Egli ha donato a questa incom­parabile Creatura un cuore così grande, che mai resta insensibile alla pur minima invocazione o gemito dei figli suoi: «Sì, perché, umanamente parlando, il Cuore divino è simile al cuore di un buon padre di famiglia. Se uno dei figli si rende colpevole di qualcosa, il padre deve punirlo, perché così esige la giustizia, anzi lo stesso amore verso il figliuolo, affinché questi non trascuri il proprio sbaglio. (...) Ebbene, il Cuore divino di Gesù, che arde di amore verso di noi, che siamo colpevoli, trova a que­sto proposito un mezzo degno della sapienza divina. Ci dona come madre e protettrice la propria carissima e dilettissima Madre, la creatura più santa dei santi e degli angeli, alla quale non è capace di rifiutare nulla, poiché Ella è la più degna e la più amata delle madri. Inoltre, Egli Le ha dato un cuore molto grande, così che non possa non preoccuparsi della salvezza e della santifica­zione di ogni uomo». Ciò, continua P. Kolbe, è «un ponte già pronto verso il sacratissimo Cuore di Gesù. Colui che cade in peccato, sprofonda nel vizio, disprezza le grazie divine (...), costui deve forse disperare?  
 
No, giammai! Infatti, egli ha una Madre che gli è stata data da Dio, una Madre che segue con cuore tenero ogni sua azione, ogni sua parola, ogni suo pensiero. Ella non si preoccupa del fatto che egli sia degno oppure no della grazia della sua tenerezza. Ella è soltanto Madre di mise­ricordia, perciò si affretta ad accorrere, anche se non è affatto invocata, dove si manifesta in modo più grave la miseria delle anime. Anzi, quanto più l'anima si è deturpata con il peccato, tanto più si manifesta in Lei la misericordia divina, di cui l'Immacolata è appunto la personificazione». E conclude: «Perciò, noi lottiamo per consegnare all'Immacolata lo scettro di comando su ogni anima. Infatti, se Ella riesce solo ad entrare in un'anima (...) non può permettere che essa si perda...».  
 
Questa «via» dell'Immacolata, ossia della «Donna», Dio l'annunciò subito dopo la caduta di Adamo e la sua condanna. Al serpe ingannatore dirà appunto: «Io porrò inimicizie tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».  
 
Parole che, dunque, provano abbondantemente non solo che la lotta si protrarrà fino alla fine dei secoli; ma anche che la vittoria piena sarà della donna e della sua stirpe.  
 
Così, in pratica, stanno le cose, è questo il progetto misterioso di Dio: l'Immacolata è «passaggio obbli­gato». L'anima o il singolo fedele può anche ignorare e non comprendere tutto ciò, il necessario è che non si rifiuti coscientemente il ruolo essenziale di Maria: «Non sempre le creature si rendono conto di tutto questo, tut­tavia avviene sempre così». Ad un Fratello religioso, che trova difficoltà ad applicare le norme di devozione all'Immacolata, suggerite dal P. Kolbe, questi gli rispon­deva: «Mio caro, non si tratta del fatto che tu debba sentire o pensare, ma unicamente che questa è appunto la realtà, anche se non ci si pensi per nulla». «Tu puoi anche non conoscere per nulla queste belle verità, puoi non comprenderle, puoi non ricordarle affatto e non essere capace, con la tua intelligenza limitata e con la tua immaginazione, nemmeno di riuscire a fartene un'idea in modo umano...». «Se però qualcuno dicesse a sé stesso: Io non ho bisogno della mediazione di nessuno, non ho bisogno della Madonna santissima, io sono in grado di adorare e di rendere omaggio da solo al SS. Cuore di Gesù e di chiederGli ciò di cui ho bisogno, non avrebbe ragione Gesù di respingerlo per una superbia così insopportabile?».  
 
2. Come attuare la «via» o il ricorso all'Im­macolata.  
 
Come entrare in questa «via», ossia come fare per impostare e condurre la lotta ai nemici di Dio con e attraverso l'Immacolata?  
 
a) L'anima deve imparare ad amare teneramente l'Im­macolata. Si impone, cioè, una grande devozione all'Im­macolata. La devozione, in effetti, - prescindendo, per il momento, dal più profondo e originario significato di consacrazione, che tale parola implica -, è amore e, quindi, anche un operare nel clima e nella logica dell'a­more. L'amore è la forza unitiva più feconda che esista: unisce e, sotto certi aspetti, identifica alla persona amata, e cioé a Dio, sicché chi opera, opera in quelche modo con la forza e la potenza di Dio a cui è unito.  
 
Lo stesso deve dirsi, fatte le debite proporzioni, dell'amore all'Im­macolata. Muoversi, operare da «devoti» di Lei è muo­versi e operare nell'amore, uniti quindi a Lei, è muoversi perciò ad operare con la sua potenza e la sua forza. Sta qui il segreto del successo dei santi e del P. Kolbe, in particolare. In effetti, la povertà e la debolezza dell'uomo, nelle mani dell'Immacolata, diventano forza formidabile. L'anima che a Lei si affida diviene un po' come Lei, che sempre ha trionfato dei suoi nemici. E all'Immacolata deve unirsi per meglio glorificare il Padre: «Quanto più esattamente un'anima comprenderà che tutti gli atti di un amore vengono indirizzati al Padre, per il fatto che è il fine ultimo, e che nell'Immacolata essi acquistano una purezza immacolata, mentre in Gesù Cristo acqui­stano un valore infinito, degno della maestà santissima del Padre, tanto più essa si infiammerà di amore verso Gesù e Maria», offrendoLe tutto perché possa glorifi­care Dio. Ovviamente, più forte sarà il vincolo d'amore, più grande e perfetta sarà l'identificazione con l'Immaco­lata; quanto più spazio Le si concederà, permettendole assoluta libertà di azione, tanto più sicura e luminosa sarà la vittoria. P. Kolbe, a tal proposito, parla spesso di amore illimitato: l'anima deve tendere, cioè, ad impe­gnarsi ad amare l'Immacolata senza limiti e senza riserve. E questo il segreto di ogni vittoria e successo.  
 
Cos'è, infatti, l'amore illimitato? «Un'amore illimitato all'Imma­colata! Cos'è? L'Immacolata è talmente unita a Dio mediante l'amore che si innalza al di sopra non solo di tutti i santi, ma anche al di sopra degli angeli, degli arcangeli, dei cherubini, dei serafini; perciò un amore illi­mitato verso l'Immacolata ci eleva fino a Lei, e ci con­giunge a Lei mediante l'amore, al di sopra... di tutti costoro... Che cos'è l'amore illimitato all'Immacolata? Ella è vicinissima a Dio, mentre noi siamo vicinissimi a Lei e di conseguenza, attraverso Lei, a Dio stesso. Dio ha dato a noi questa scala bianca e vuole che noi, salendo su di essa, arriviamo fino a Lui, o piuttosto che Ella, dopo averci stretto al suo petto materno, ci porti fino a Dio. (...) Ella è madre, nostra e... di Dio. Dov'è, dun­que, il suo posto? E perciò anche il nostro? (...) Noi apparteniamo veramente a Lei. Perciò, siamo sempre e dovunque con Lei...». Ciò consentirà, appunto, tra l'altro, di partecipare, con più o meno intensità alla sua grazia e potenza, e di renderci invincibili e vittoriosi: «Quanto più uno si avvicina a Lei, tanto più abbondante­mente attinge alle grazie della conoscenza e dell'amore, di un amore generoso verso Dio che per amore è salito fin sulla croce».  
 
Quest'amore illimitato e vittorioso su tutto, anche su tutti i nemici di Dio e della Chiesa, si concretizza praticamente nella e con la consacrazione illimitata e incondizionata all'Immacolata. Perché?... la risposta ci viene dalla natura stessa della consacrazione. Cos'è, infatti, la consacrazione?  
 
b) La consacrazione totale. La consacrazione totale è la donazione di tutto se stesso a Dio, attraverso l'Im­macolata. Ci si dona, dice P. Kolbe «A Lei completa­mente e sotto ogni aspetto, quali suoi figli, suoi schiavi di amore, suoi servi, suoi strumenti, sotto ogni aspetto, sotto ogni denominazione che qualsiasi persona in qua­lunque tempo potrebbe ancora formulare. E tutto questo come cosa e proprietà a sua completa disposizione, perché Ella si serva di noi e ci sfrutti fino alla nostra completa consumazione».  
 
Specificando meglio, P. Kolbe afferma: «Noi consegniamo a Lei tutto il nostro essere, tutte le facoltà dell'a­nima, vale a dire l'intelletto, la memoria e la volontà; tutte le facoltà del corpo, cioè tutti i sensi e ciascuno singolarmente, le forze, la salute o l'infermità; conse­gniamo a Lei l'intera nostra vita con tutte le sue vicende, piacevoli, tristi o indifferenti. Consegniamo a Lei la nostra morte, in qualsiasi momento, luogo e modo essa ci capiterà. Le consegniamo perfino la nostra eternità. Anzi, noi abbiamo la ferma speranza che solo in paradiso potremo appartenere a Lei in un modo incomparabil­mente più perfetto». Dono vero, a tutti gli effetti, che rende l'Immacolata padrona e signora del nostra essere: «L'anima offre all'Immacolata i propri atti di amore (= e tutto il resto, come detto), non come si consegna un oggetto ad un mediatore qualsiasi, ma in proprietà, in piena ed esclusiva proprietà, poiché com­prende che l'Immacolata offrirà a Gesù tali atti come fos­sero suoi propri, vale a dire li offrirà senza macchia, immacolati; Gesù poi li offrirà al Padre».  
 
Essere, allora, «cosa e proprietà» dell'Immacolata significherà, anche, non avere più alcun diritto su se stesso e i propri atti: «Consacràti a Lei illimitatamente (...) non abbiamo diritto né a pensieri né ad azioni, né a parole nostre. Ella ci governi «dispoticamente». Si degni benevolmente di non rispettare la nostra libera volontà e, qualora noi volessimo in qualsiasi cosa svincolarci dalla Sua mano immacolata, ci costringa». Siamo veramente al concetto della «cosa», come si esprimevano i Romani, per es., a proposito degli schiavi.  
 
Ad un Frate, P. Kolbe scriveva apppunto così: «Cosa e proprietà. Ella faccia con te ciò che vuole, non si senta legata ad alcuna limitazione derivante dagli obblighi di una madre nei confronti del proprio figlio. Sii cosa, proprietà di Lei, Ella si serva liberamente di te, disponga di te senza alcuna riserva per qualunque cosa Ella voglia. Sia la proprietaria di te, la tua Signora e Regina assoluta. Il servo vende il proprio lavoro; tu, al contrario, offri in dono la fatica, la sofferenza, tutto te stesso. Supplicala affinché non rispetti la tua libera volontà, ma agisca con te sempre liberamente, secondo la sua volontà. Di Lei sii figlio, servo, schiavo d'amore, sotto ogni aspetto e sotto qua­lunque denominazione formulata finora o che potrebbe essere escogitata in questo nostro tempo o in avvenite. In una parola: sii di Lei».  
 
Essere tutto di Lei, come sua cosa e proprietà, senza più alcun diritto personale, costituisce l'essenza stessa della consacrazione, da distinguersi bene da qualsiasi altro elemento, pur buono e utile, ma, decisamente, secondario: «tutte le pratiche che servono per approfondire la conoscenza dell’Immacolata e uniscono più ad Essa sono molto desiderabili» (...). L'essenza della consacrazione è essere dell'Immacolata come Essa è di Dio: «L'essenza è: essere di Essa illimitatamente. (...) Essa è di Dio. È perfetta­mente di Dio, perfino da diventare quasi una parte della SS. Trinità, benché sia una creatura finita. Anzi non sol­tanto è "ancilla", "figlia", "res", "proprietas" etc. di Dio, ma anche Madre di Dio!... Qui la testa gira... quasi sopra Dio, come la madre è sopra i figli ed essi devono rive­rirla... (...). E noi siamo Suoi, dell'Immacolata, illimitata­mente Suoi, perfettissimamente Suoi, siamo quasi Essa stessa. Essa per mezzo di noi ama il buon Dio. Essa col nostro cuore povero ama il suo divin Figliuolo. Noi diventiamo il mezzo per il quale l'Immacolata ama Gesù, e Gesù vedendo noi proprietà, quasi parte della sua ama­tissima Madre, ama Essa in noi e per noi. Che bellissimi misteri!...»  
 
3. Strumenti vittoriosi del suo amore miseri­cordioso  
 
La consacrazione, identificando l'anima con l'Imma­colata, la rende partecipe pure della sua missione vitto­riosa. L'Immacolata è lo strumento di cui si serve Dio, nella sua infinita sapienza e misericordia, per umiliare i «nemici» e far trionfare il suo amore di misericordia: «Ella è strumento di Dio. Con piena consapevolezza si lascia volontariamente condurre da Dio, si conforma alla sua volontà e ciò nel modo più perfetto possibile, senza il minimo difetto, senza alcuna deviazione della propria volontà dalla volontà di Lui. È uno strumento di Dio nel perfetto uso dei poteri e dei privilegi a Lei concessi, per compiere sempre e in tutto, unicamente ed esclusiva­mente la volontà di Dio, per amore verso Dio uno e trino. Questo amore verso Dio raggiunge vette tali che produce frutti divini di amore. La sua unione di amore con Dio giunge fino al punto tale che Ella diviene Madre di Dio». Tutto questo, naturalmente, non senza vistosi e mirabili effetti anche nella lotta ai nemici di Dio e del bene. Infatti - è il principio enunciato dal P. Kolbe e fondamentalmente anche dalla Tradizione cri­stiana - più si è vicini a Dio, più si partecipa della sua santità e del suo amore e della sua onnipotenza vitto­riosa. A Dio nessuno può resistere! Ne consegue che l'Immacolata, avendo raggiunto le vette della partecipa­zione, possibile a creatura, possiede pure, o meglio, può disporre, della stessa forza di Dio. L'inferno, perciò, nelle sue più diverse ramificazioni ed espressioni, è sconfitto precisamente così, attraverso l'Immacolata Madre di Dio.  
 
L'anima, consacrandosi all'Immacolata, diviene anch'essa, in Lei e per Lei, strumento di amore vittorioso. In che senso «strumento» e «strumento di vittoria»? Non si tratta, certo di abdicare completamente alla propria libertà, per divenire automi nelle mani dell'Immacolata. Come sempre, quando si parla di guida dall'alto, l'uomo, pur guidato dall'Immacolata, è mosso in conformità alla sua natura ragionevole. «Siamo degli strumenti - afferma il P. Kolbe -, ma non fisicamente costretti come un pennello nella mano di un pittore, ma guidati attraverso la ragione e la volontà». La perfezione dell'uomo sta, appunto, nell'essere guidato, sapientissimamente ed infal­libilmente, dall'alto, ma nel pieno rispetto della sua libertà. Il santo, che è perfettissimamente uomo, è anche perfettissimamente strumento della grazia. Un mistero che, pur arduo a comprendersi e a spiegarsi, è però chiaramente avvertito da tutti coloro che hanno conosciuto e trattato con qualcuna di quelle creature ecce­zionali, che sono i santi. D'altra parte, chi potrà mai negare che essi erano misteriosamente sospinti dall'alto nelle loro più sorprendenti gesta?... La consacrazione vuol portare a questa perfezione, sull'incomparabile modello che è l'Immacolata, Madre di Dio.  
 
L'Immacolata, poi, è solo e sempre, nelle mani di Dio, strumento di amore misericordioso. Dio, cioè, vuole comunicare attraverso Lei la grazia della salvezza, quella grazia, in effetti, che è anche confusione e sconfitta del male e dei nemici del bene. Consacrata e quasi identificata con Lei, anche l'anima diviene strumento di grazia e di misericordia nelle di Lei mani: «Ella è strumento perfettis­simo nella mano di Dio, nella mano della misericordia divina, del sacratissimo Cuore di Gesù, così noi siamo uno strumento nella mano di Lei. E così, attraverso Lei, siamo lo strumento del sacratissimo Cuore di Gesù, vale a dire della misericordia di Dio».  
 
Ma cosa implica essere strumento nelle mani dell'Im­macolata?  
 
Importa soprattutto lasciarsi guidare dall'alto in tutte le cose, in completa docilità, nella certezza assoluta che non solo chi guida non potrà mai sbagliare; ma nella convinzione anche che è questo l'unico modo per fare il massimo, in ogni campo, anche nella lotta al nemico. P. Kolbe, a questo proposito, è perentorio: «Immagi­niamo di essere un pennello nella mano di un pittore infinitamente perfetto. Che cosa deve fare il pennello, affinché il quadro riesca il più bello possibile? Deve lasciarsi dirigere nel modo più perfetto. Un pennello potrebbe anche avanzare delle pretese di miglioramento da parte di un pittore terreno, limitato, fallibile, ma quando Dio, la Sapienza eterna, si serve di noi quali stru­menti, allora faremo il massimo, nel modo più perfetto, purché ci lasciamo guidare in modo perfettissimo e totale».  
 
Si tratta dunque di fare la volontà di Dio o - il che è praticamente la stessa cosa - la volontà dell'Imma­colata. Ma come conoscere questa volontà?... La si cono­sce unicamente attraverso i comandi e le disposizioni dei legittimi superiori: «Come Dio rivela la propria volontà? Per mezzo dei suoi rappresentanti qui sulla terra. L'obbe­dienza, quindi, e solo la santa obbedienza ci manifesta con certezza la volontà di Dio».  
 
P. Kolbe non ha alcun dubbio in merito: «Attraverso la santa obbedienza si manifesta la volontà certa di Dio, la volontà dell'Immacolata; attraverso la santa obbedienza diventiamo davvero uno strumento nelle mani di Lei (...); attraverso la santa obbedienza la nostra volontà si unisce con la volontà di Lei così come la volontà di Lei è stret­tamente unita con la volontà di Dio». Unendosi per­fettissimamente alla volontà di Dio, alla sua forza onnipo­tente, l'anima diviene più forte di ogni male e di ogni nemico, e perciò arriva a tutte le vittorie e alla sconfitta di tutti i nemici. E, cioè, attraverso l'obbedienza, l'anima arriva sia alla santità, che è la più totale sconfitta del male, che opera nell'uomo e contro l'uomo, e sia ad umi­liare l'inferno e i nemici del bene, ottenendo conversioni clamorose o impedendo o circoscrivendo i disastrosi effetti del male e di coloro che ne sono portatori, diffu­sori ed esaltatori. E, infatti, la via dell'obbedienza assicura la massima gloria a Dio e la più grande santificazione alle anime.  
 
P. Kolbe, dopo aver provato che il fine della creazione è la gloria di Dio e la salvezza delle anime, si chiede: «Ma qual'è il modo migliore per rendere a Dio la maggior gloria possibile e guidare alla santità più eccelsa il maggior numero di anime?». Da notare le parole: il «modo migliore» per glorificare Dio; «santità eccelsa» e «il maggior numero» di anime! E risponde che Dio, che è onnisciente e infinitamente sapiente, ben capace perciò di conoscere questo modo, lo addita nel­l'obbedienza.  
 
Per l'obbedienza «noi ci innalziamo al di sopra della nostra pochezza e possiamo agire conformi a una sapienza infinita (senza esagerazione), alla sapienza divina... (La via dell'obbedienza) questa e questa sola è la via della sapienza, della prudenza e della potenza infi­nita». P. Kolbe non esita, anzi, di affermare: «Miei cari, voi stessi sperimenterete nella vita, anche su questa terra, che tutta la perfezione della santità, tutto il fervore dell'azione, tutta l'efficacia dell'apostolato missionario fa affidamento non su una grande saggezza, né su un grande ingegno, né su grandi capacità e nemmeno sulla quantità di preghiere e di penitenze, ma unicamente sulla perfe­zione della santa obbedienza. (...) Attraverso la santa obbedienza diventiamo davvero uno strumento nella mano di Lei così come la volontà di Lei è strettamente unita con la volontà di Dio, allora attraverso la santa obbedienza diventiamo rigorosamente, matematicamente, infinitamente saggi nell'agire, infinitamente potenti, saggi e buoni, perché la volontà divina dev'essere sempre infi­nitamente saggia, buona e potente...». E, come riassu­mendo, conclude: «È soprattutto la conformità alla volontà dell'Immacolata il segreto del successo».  
 
Che soprattutto l'obbedienza totale, insita nella con­sacrazione incondizionata, conduca alla santità consumata, P. Kolbe cerca di provarlo con ragione e motivazioni teologiche non prive di valore.  
 
Ecco, dapprima, il principio teologico che la santità consiste nel grado di unione con la volontà di Dio: Il grado di perfezione dipende dall'unione della nostra volontà con la volontà di Dio. Quanto maggiore è la perfezione, tanto più stretta è l'unione». Che se l'Im­macolata, essendo perfettissima, ha raggiunto la più stretta unione con Dio, nell'anima perciò unita a Lei, tutto diventa immacolato e perfetto: «Se noi siamo dell'Immacolata, allora anche tutto ciò che è nostro appar­tiene a Lei e Gesù accetta tutto ciò che viene da noi come se provenisse da Lei; come appartenente a Lei. In tal caso Ella non può lasciare imperfette quelle azioni, ma le rende degne di sé, cioè immacolate, senza la minima macchia. Di conseguenza, un'anima che è consa­crata a Lei, anche se non rivolge in modo esplicito il proprio pensiero all'Immacolata e offre direttamente al Sacratissimo Cuore di Gesù la preghiera, il lavoro, la sofferenza o qualsiasi altra cosa, tale anima procura al sacratissimo Cuore di Gesù un piacere incomparabilmente maggiore di quello che gli procurerebbe se ella non fosse consacrata all'Immacolata».  
 
Quesra unione santifi­cante, stabilita con la consacrazione, è attualizzata, nella pratica della vita, nell'obbedienza, e cioè nell'adempi­mento perfetto della volontà dell'Immacolata. Si spiega, allora, perché l'obbedienza costituisce il più alto grado di santità: « è proprio vero che il compimento della volontà dell'Immacolata nei minimi particolari e nel modo più esatto» costituisce il più alto grado di santità. Poiché, in effetti, la volontà di Lei è la stessa volontà di Gesù, la volontà di Dio». L'obbedienza costituisce, anzi, l'essenza stessa della santità, essendo la più vera e integrale espressione di amore: «L'obbedienza sopranna­turale, l'unione della nostra volontà con la volontà divina, costituisce l'essenza stessa della santità, ossia dell'amore perfetto».  
 
In concreto, infatti, «l'amore consiste nella santa obbedienza».  
 
Tra le conseguenze che si potrebbero tirare da sì fecondi principi, P. Kolbe ne sottolinea soprattutto una di enorme importanza. E, cioè, il più grande problema, per chi combatte o vuole combattere le battaglie di Dio, è dato da nient'altro che di essere sempre più dell'Imma­colata, e di imparare a dipendere in tutto da Essa: è da questo unico problema che dipendono, oltre alla pro­pria santificazione, anche tutte le altre vittorie sui nemici di Dio.  
 
«Con l'atto di consacrazione - afferma P. Kolbe - noi ci siamo offerti all'Immacolata in proprietà asso­luta. Senza dubbio Ella è lo strumento più perfetto nelle mani di Dio, mentre noi, da parte nostra, dobbiamo essere degli strumenti nelle sue mani immacolate. Quando, perciò, debelleremo nel modo più rapido e più perfetto il male nel mondo intero? Ciò avverrà allorché ci lasceremo guidare da Lei nella maniera più perfetta. È questo il problema più importante e unico. Ho detto "unico". Per la verità, ognuno di noi deve preoccuparsi unicamente di armonizzare, di con­formare, di fondere, per così dire, completamente la pro­pria volontà con la volontà dell'Immacolata, così come la volontà di Lei è completamente unita alla volontà di Dio, il suo Cuore al Cuore del Figlio Gesù. È l'unico problema.  
 
Qualunque cosa noi facciamo, fosse anche un atto più che eroico, in grado di sconvolgere le basi di ogni male esistente sulla terra, ha qualche valore unica­mente se, facendo tale atto, la nostra volontà si mette in armonia con la volontà dell'Immacolata e, attraverso Lei, con la volontà di Dio. Una cosa soltanto, quindi, vale a dire, la fusione della nostra volontà con la sua, ha un certo valore, anzi un valore totale. Questa è l'es­senza dell'amore (non il sentimento, benché esso pure sia buono), che ci deve trasformare, attraverso l'Immaco­lata, in Dio, che deve bruciare in noi e, per mezzo nostro, incendiare il mondo e distruggere, consumare in esso ogni forma di male».  
 
Per vincere i nemici di Dio, bisogna arrivare, dun­que, alla più completa e totale conformità di volontà a quella dell'Immacolata. P. Kolbe, perciò, non cesserà di esortare: «Permettiamo a Lei di fare in noi e per mezzo nostro qualunque cosa desidera ed Ella compirà sicura­mente miracoli di grazia: e noi stessi diverremo santi e grandi santi, molto grandi, perché riusciremo a renderci simili a Lei ed Ella conquisterà, per mezzo nostro, il mondo intero ed ogni singola anima».  
 
Che se il bene e la vittoria vengono attuati attraverso l'obbedienza, i rovesci e gli insuccessi apostolici e le vit­torie degli avversari devono ascriversi, evidentemente, almeno spesso, alla mancata conformità alla volontà dell'Immacolata. P. Kolbe è così convinto di tale verità che nulla teme tanto quanto il poter ostacolare, con la sua volontà e le sue iniziative personali, i progetti di Dio e dell'Immacolata. Sarà come un suo chiodo fisso, perciò, quello di implorare preghiere, quasi in ogni let­tera, perché non incorra in tale sventura.  
 
Ci sarebbe da chiedersi a questo punto: come mai, pur avendo consacrato tutto se stesso, l'uomo può sempre contrastare o impedire i piani di Dio.  
 
La risposta non è difficile: l'uomo, pur se consa­crato, resta malato, malato soprattutto di amor proprio. Per l'amor proprio egli crede più e, spesso, solo al proprio giudizio; e, non amando essere vincolato a nulla e a nessuno, rifiuta ostinatamente ogni obbe­dienza. È questa la libertà dell'uomo «animale», consi­stente solo nel potere di scelta, indipendentemente da ogni legge e valutazione morale. Una libertà in completa opposizione alla libertà dei «figli di Dio» che, fondata e diretta al vero amore, si muove sempre non solo nell'ambito della legalità e della legittimità, ma arriva, in purissima dedizione, ai vertici dell'eroi­smo e della santità di amore.  
 
La libertà dell'animale o della carne è, in fondo, schiavitù, più o meno grande soggezione a istinti e tendenze cieche. La libertà dello spirito, invece, è dominio, governo delle passioni che causa ed è, anche, effetto del ristabilito ordine interiore e in tutto l'essere che, perciò, è completa disponibilità al servizio di Dio e dell'Immacolata. Una meta alla quale bisogna tendere per vivere, fino in fondo, la consacrazione all'Immacolata; e che si rag­giunge solo attraverso sforzi generosi, incessanti soste­nuti dalla grazia. P. Kolbe, a riguardo, così si esprime: «Noi siamo proprietà dell'Immacolata, ma, nonostante questo, ci rimane un amore proprio assai sottile che, all'atto pratico, rende impossibile l'esercizio del governo di Maria su di noi.  
 
Noi possediamo un'indivi­dualità troppo grande per accettare volentieri tutti i progetti che la Madonna ha nei confronti della nostra vita (in pratica ciò si manifesta in modo evidente allorché qualcuno, ad es., decide di commettere un peccato). Di conseguenza riandando con il pensiero al ventennale servizio all'Immacolata, ho dinanzi a me, nella mia mente, coloro che hanno riconosciuto pienamente la loro indipendenza da Maria, si sono sottomessi in tutto ai suoi ordini e sono divenuti in modo sublime uno strumento nelle mani dell'Imma­colata, allo stesso modo dello scalpello nelle mani di uno scultore, del pennello al servizio di un pittore, della truppa disciplinata in attesa degli ordini di un comandante».  
 
Questa coesistenza e persistenza dell'amor proprio, anche nell'anima consacrata all'Immacolata, fa capire che la consacrazione, più che essere un atto passeggero o un sentimento di una pur bella emozione, deve provenire e costantemente radicarsi, sempre più, in un amore di volontà che sfida e vince ogni mutevolezza di sentimenti e di entusiasmi sensibili: «Dell'Immacolata siamo servi, figli, schiavi, cavalieri e tutto, tutto, tutto; in una parola apparteniamo a Lei, siamo Suoi sotto ogni aspetto, Suoi ogni giorno di più! Ma come attuare tutto questo? Non dimentichiamo che l'essenza e la perfezione della nostra consacrazione non sono né il sentimento né la memoria, ma la volontà.  
 
Perciò, nel caso che uno non sperimenti per nulla la dolcezza dell'intima familiarità con Lei (ben­ché comunemente sia il contrario) e non sia capace di ricordarsi di Lei e di pensare per lungo tempo a Lei per qualsiasi motivo, se la sua volontà rimane accanto a Lei, se non revoca la propria consacrazione, anzi per quanto può la rinnova, ebbene, stia tranquillo, perché Ella regna nel suo cuore. E la volontà noi la possiamo controllare facilmente. Facciamo attenzione soltanto a conformarla sempre più perfettamente alla sua volontà e a compiere questa sua volontà nel modo più perfetto. Questo è tutto. Impegniamoci, inoltre, come un fanciul­letto, nel riconoscere la nostra totale dipendenza da Lei e, quindi, nello stringerci a Lei, come figli alla mamma».  
 
Qui, come si vede, P. Kolbe tocca un problema ascetico di perenne attualità, interessando l'uomo di ogni tempo e condizione. E, cioé, passato il fervore e l'entusia­smo del momento, resta il «peso» di un impegno che non sempre si è disposti ad accollarsi. Può l'uomo apprendere come, praticamente, divenire «strumento», imparando, cioé, così ad impegnarsi e ad obbedire?... Lasciamo il problema di fondo ai maestri di ascetica. P. Kolbe, a sua volta, lo risolve, una volta di più, con il ricorso all'Immacolata. Così, infatti, si esprime: «Nep­pure io so teoricamente, e tanto meno praticamente, come si debba servire l'Immacolata, essere strumento di Lei, servo, figlio, schiavo, cosa, proprietà e, e... Lei stessa. Ella sola deve istruire ciascuno di noi in ogni istante, deve condurci, trasformarci in Se stessa, di modo che non siamo più noi a vivere, ma Ella in noi come Gesù vive in Lei e il Padre nel Figlio».  
 
Come si vede, P. Kolbe è convinto che la «via» prin­cipale della lotta vittoriosa al male e ai nemici del bene è l'Immacolata. Egli condivide appieno, senza dubbio, quanto afferma un articolista, del quale riporta il pensiero: «La convinzione che l'unico mezzo di salvezza contro il dominio di satana, che oggi va espandendosi nel mondo, è l'ardente devozione e imitazione dell'Immacolata». E cioé ad ogni anima che vuol salvarsi e santificarsi è necessario il ricorso all'Immacolata; e tutti coloro che, in un modo o in un altro, combattono o vogliono com­battere le battaglie di Dio, non possono fare a meno di Lei. È un'utopia, oltre che illusione pericolosa, voler combattere il male, marciando per vie diverse da quelle stabilite e indicate da Dio stesso. Un monito, questo, da soppesare bene e da approfondire molto, per cavarne tutte le conseguenze possibili e immaginabili.  
OK

La rivista "Rycerz Niepokalanej" ("Cavaliere dell'Immacolata"), fondata da San Massimiliano Kolbe

Cap. VIII - L'ESERCITO ANTIMASSONICO

 
Lavorare per la gloria di Dio e la salvezza delle anime; opporsi e combattere attivamente le forze del male, specialmente chi ne è il capo e il cuore come la massoneria, è il grande scopo della vita, la più grande missione e ideale di un'anima che ama Dio.  
 
Chi porta a termine vittorioso questa grande batta­glia è la grazia divina, implorata ed ottenuta dall'Immaco­lata. Il modo migliore di porsi su questa «via» di vittoria è la consacrazione illimitata ed incondizionata a Dio attra­verso l'Immacolata. Lo abbiamo visto nelle pagine prece­denti. Ma P. Kolbe ha offerto, di tutto questo, come una esemplificazione e attuazione pratica, in un Movi­mento di vita e di azione, che appellò «Milizia dell'Immacolata». Questa, così come lui stesso l'ha concepita e strutturata, offre a tutti la possibilità di realizzare quanto da lui intuito ed insegnato, a proposito di lotta ai nemici di Dio e della verità.  
 
1. Un Movimento sollecitato dall'alto.  
 
La sera del 16 ottobre 1917 P. Kolbe fondava a Roma, nel Collegio Serafico Internazionale dei Frati Minori Conventuali, con altri sei compagni, la Mizia dell'Immacolata.  
 
Egli non esita a dire - alla luce, certamente, anche dei fatti e delle esperienze vissute - che la cosa venne ispirata dall'alto, dall'Immacolata: «L'Immacolata scende sulla terra come una buona Madre tra i suoi figliuoli, per aiutarli a salvare la loro anima. Ella, inoltre, desidera la conversione e la santificazione di tutte le anime, senza alcuna eccezione. Per compiere tale opera, però, si serve di strumenti presi tra gli uomini, come vediamo nelle apparizioni (...). Ad ogni modo, si tratta di avvenimenti straordinari. Assai più spesso Ella sollecita i figli che La amano a collaborare con Lei nelle situazioni ordinarie della vita quotidiana. (...) In ogni tempo l'Immacolata suscita migliaia di (...) anime votate a Sé. Molte di esse, inoltre, si uniscono più o meno strettamente tra di loro per servire ancor meglio, con uno sforzo comune, la loro Signora. Per questo le asso­ciazioni che lavorano esclusivamente per Lei sono nume­rose e diverse. (...) Una delle più giovani associazioni - P. Kolbe scriveva nel 1939 - che hanno di mira la conquista delle anime all'Immacolata e, attraverso Lei, al sacratissimo Cuore di Gesù, è la «Milizia dell'Immaco­lata». Cos'è questa Milizia?  
 
a) È un Movimento, oltre che associazione quando è possibile. Il Movimento «è un'attività che si propone di attrarre quante più anime (...) è possibile ad un ideale, scuotendo dal letargo le coscienze, agitando i loro problemi e guidandole all'attuazione di speciali scopi. Alla base di ogni movimento deve esserci dunque una idea veramente feconda ed avvincente, un ideale, la cui brama, a guisa del cuore, trasmetta un impulso vitale e irresisti­bile a tutte le membra».  
 
Il Movimento rifugge da rigide organizzazioni e strutture - che perciò possono essere tra le più varie, secondo luoghi, tempi e persone -, puntando soprattutto all'anima e allo spirito che vuole comunicare e tra­smettere.  
 
È questo l'essenziale; il resto, anche se importante, è però sempre secondario: «Nella Milizia dell'Immacolata è necessario distinguere chiaramente due cose: l'essenza e le cose accidentali. All'essenza non appartiene una forma o l'altra di organizzazione, ma la consacrazione». Ten­dendo ad attuare al massimo l'essenza, ci si appropria pu­re, al massimo, dello spirito, che la informa. «Lo spirito - spiega P. Kolbe - è ciò che dà vita, che dà movimento». Poiché l'essenza della M.I. è la consacrazione illimitata e incondizionata di se stesso all'Immacolata, det­tata da «un amore verso l'Immacolata che giunge fino ad espandersi al di fuori di sé, affinché le anime di coloro che ci circondano siano infiammate con questo stesso fuoco, cioè siano conquistate all'Immacolata», lo spi­rito della M.I. sarà quello di vivificare «tutti i suoi aderenti, affinché siano sempre più perfetti militi dell'Imma­colata, divengano ogni giorno più cosa e proprietà dell'Immacolata e con zelo sempre crescente, conquistino a Lei i cuori dei loro vicini. Quanto più saranno vivificati da questo spirito, tanto più saranno Militi dell'Imma­colata».  
 
In questa prospettiva si deve dire che appartengono alla M.I. tutti gli Istituti religiosi e ogni forma di consa­crazione che, comunque pratichino questa donazione all'Immacolata: «Ogni consacrazione in tanto partecipa dello spirito della M.I., in quanto più s'avvicina alla con­sacrazione illimitata, in quanto più è estesa e approfon­dita. Non può dunque esistere una consacrazione che non partecipa dello spirito della M.I.».  
 
b) ...per la conquista del mondo all'Immacolata. La conquista del mondo a Dio è il fine della Milizia, da raggiungersi con vere e proprie battaglie, pur se incruente. Per questo: «Il Movimento si chiama «Milizia» perché colui che ne fa parte non si limita alla consacra­zione totale all'Immacolata, ma si dà da fare, per quanto può, per conquistare a Lei anche i cuori degli altri, affin­ché costoro si consacrino a Lei nello stesso modo in cui lui pure si è consacrato. Egli fa questo per conquistare a Lei il maggior numero possibile di cuori, dei cuori di tutti coloro che vivono attualmente e che vivranno in qualunque tempo sino alla fine del mondo». Con­quista di tutto il mondo e, ovviamente, di ogni singolo uomo: «Ogni cuore che batte sulla terra e batterà fino alla fine del mondo, deve essere preda dell'Immacolata: ecco il nostro scopo. E questo quanto più presto possibile»  
 
Che se si tratta di conquista, questa non può rag­giungersi con la sola operazione di difesa quanto, soprat­tutto, con veri e propri attacchi. Perciò, i veri militi «non si limitano a difendere la fede, ma muovono all'attacco, all'offensiva, per conquistare le roccaforti nemiche; avan­zano perciò nutrendo nel cuore un amore senza limiti verso il prossimo, l'amore stesso dell'Immacolata, anche se il prossimo non solo è straniero, di razza o di colore diversi, ma se è addirittura nemico aperto della religione, dell'Immacolata, di Dio. Avanzano anche con l'odio che l'Immacolata stessa nutre nei confronti del male, del pec­cato, anche se leggero». «La sua ( = della Milizia) atti­vità deve essere non solamente «di difesa», ma soprattutto «di attacco». Cosa che constatava volentieri della Milizia nel suo Paese: «Difendere la religione è per noi troppo poco, ma si esce dalla fortezza e fiduciosi nella nostra Duce andiamo tra i nemici e facciamo la caccia ai cuori per conquistarli all'Immacolata».  
 
Che se è troppo poco pensare solo alle pecorelle, che sono al sicuro nell'ovile, e alla salvezza della propria anima; diviene addirittura un controsenso, in questo spi­rito, richiudersi in sacrestia!  
 
L'azione di attacco e di conquista richiede, come è ovvio, sforzi decisi e costanti di lenta e saggia penetra­zione in tutti i cuori e in tutti i settori dell'umana attività. P. Kolbe ne parla, in conseguenza, moltiplicando stimoli, direttive e suggerimenti: «I fedeli Cavalieri si trovino dappertutto, ma specialmente nei posti più importanti, come:  
 
1) l'educazione della gioventù (professori di isti­tuti scientifici, maestri, società sportive);  
2) la direzione dell'opinione della massa (riviste, quotidiani, la loro reda­zione e diffusione, biblioteche pubbliche, biblioteche cir­colanti, ecc., conferenze, proiezioni, cinematografi, ecc.);  
3) le belle arti (scultura, pittura, musica, teatro); e infine  
4) i nostri militi dell'Immacolata divengano in ogni tempo i primi pionieri e le guide della scienza (scienze naturali, storia, letteratura, medicina, diritto, scienze esatte, ecc.).  
 
Sotto il nostro influsso e sotto la protezione dell'Immacolata sorgano e si sviluppino i complessi indu­striali, commerciali, le banche, ecc. In una parola, la Mili­zia impegni tutto e in uno spirito sano guarisca, rafforzi e sviluppi (ogni cosa) alla maggior gloria di Dio, per mezzo dell'Immacolata e per il bene dell'umanità». La Milizia deve saper coinvolgere tutto e tutti nello stesso scopo, spingendo ad operare nello stesso spirito, e cioè «attraverso l'Immacolata» quale «via» voluta da Dio e la più idonea alla vittoria. Deve divenire, anche, l'anima delle stesse Associazioni e degli Istituti, mariani o no, non per soppiantarne lo spirito e le peculiarità, o per prepotente e deplorevole brama di malcelato protagoni­smo, ma solo, appunto, per potenziarli al massimo, giac­ché proprio nello spirito dell'Immacolata si vivono inten­sissimamente carismi e peculiarità proprie. È in questo senso che P. Kolbe poteva scrivere: «La M.I. penetri ovunque, nelle «Rose Vive», nel Sodalizio, nel Terz'or­dine, ma anche nel Primo e nel Secondo Ordine, in una parola in ogni anima e al più presto possibile...».  
 
Mai in alternativa con nessun altra Associazione o Isti­tuto, la M.I. è chiamata semplicemente a trascenderle tutte: «La M.I. sia piuttosto trascendentalis che universa­lis, cioè non si presenti come una organizzazione in più accanto alle numerose che già esistono, ma piuttosto penetri profondamente in tutte le organizzazioni». È per questa ragione che è stata data alla M.I. la forma giuridica di «Pia Unione» secondo il Codice di allora, che esige di meno dagli aderenti, ma che, in compenso, «rende possibile una più larga espansione anche tra i membri di altre associazioni, compresi gli Istituti religiosi».  
 
Una conquista da effettuare pure: ...al più presto possibile, senza concedersi perciò soste nel combattimento o riposo. Il Movimento è chiamato, appunto: «Milizia perché gli aderenti dovranno combat­tere e mai riposare, ma anzi intende conquistare con l'amore i cuori all'Immacolata». P. Kolbe ha fretta, la fretta di tutti i santi, che, perciò, imprime a tutto il Movimento!  
 
Uno scopo - quello della conquista di tutto il mondo all'Immacolata -: da conseguire con tutti i modi possibili... Tra i modi di azione, spiega P. Kolbe, si pos­sono distinguere due categorie: individuale (di una singola persona) e sociale (comune). Nel lavoro individuale ogni singola persona può fare molte cose, a seconda dei talenti che Dio le ha dato e dell'amore ardente e fiducioso che ella esprime nella preghiera; tuttavia possono verificarsi sempre delle situazioni alle quali da solo egli non sarà capace di far fronte (...). Con forze comuni, perciò, si può pregare e lavorare con maggiore efficacia».  
 
Il «modo comune» si riferisce alle possibili organizza­zioni che può assumere la M.I., l'organizzazione che, pur se mezzo secondario a paragone degli elementi più deter­minanti, nella lotta al male, non è, per questo, meno utile e necessaria: «Come in ogni aspirazione verso un ideale, così anche nella Milizia dell'Immacolata nessuna forma organizzativa appartiene strettamente all'essenza, benché tali forme aiutino a coordinare gli sforzi tendenti al raggiungimento di uno scopo». «Dovendo conqui­stare il mondo intero ed ogni singola anima e sorvegliare affinché nessuno in avvenire possa rimuovere lo sten­dardo dell'Immacolata dalle anime che vi sono attual­mente e che ci saranno in futuro, evidentemente sarà necessaria anche un'organizzazione. Perciò io immagino che col tempo in nessuna località vi sarà un'anima che non porti al collo la medaglia miracolosa e non appar­tenga alla M.I. (secondo la Pagella di iscrizione)».  
 
L'organizzazione minima per la M.I. di primo grado, diviene più intensa e visibile per gli altri gradi della Mili­zia. Così, per es., P. Kolbe parla dei circoli e zelatori M.I., oltre di quelli che vivono e operano, a tempo pieno, nelle «Città dell'Immacolata»: «Inoltre in ogni località sor­gerà un circolo, non tanto numeroso quanto zelante di M.I., o piuttosto diversi circoli a seconda delle diffe­renze dei ceti sociali, di condizioni e di circostanze, lo scopo dei quali sarà di compiere, nei limiti delle loro possibilità, quello che noi compiamo a Niepo­kalanów senza porre alcuna restrizione, per il fatto che noi consacriamo la vita intera unicamente a tale opera, mentre loro hanno anche altri scopi onesti e leciti».  
 
P. Kolbe non manca neppure di suggerire o di dare direttive organizza­tive. Così, per es.: «Io sono del parere che per accogliere in essa (= M.I.2) sia necessaria una scelta accurata. I suoi membri potrebbero essere gli zelatori della M.I.: durante le riunioni mensili, dedicate principalmente ad un'umile preghiera all'Immacolata, essi potrebbero ren­dere conto dell'attività ed esaminare i mezzi da utilizzare per un'ulteriore azione. (...) I loro statuti particolari, d'al­tra parte, saranno differenti secondo le diversità di condi­zione, di età, di sesso e via dicendo. Ogni membro, però, deve prima appartenere alla M.I. e manifestare in essa il proprio zelo».  
 
Per meglio capire questi testi e questa insistenza organizzativa, è necessario ricordare che P. Kolbe distin­gue, nella Milizia, una «Pia Unio» e la «Sodalitas», secondo il vecchio Codice di Diritto Canonico, o la M.I.1.2.3.. La M.I.1 è la «Pia Unio» nel significato giuri­dico (...) senza una rigorosa organizzazione, ma fondata sulla pagella di iscrizione, affinché ognuno possa facil­mente appartenere ad essa. La M.I.2 è la «Sodalitas» (...) che possiede un'organizzazione ben definita». P. Kolbe reputa pure necessaria la distinzione tra primo e secondo grado della M.I.: «... la M.I.1 e la M.I.2 deb­bono essere differenziate in modo così chiaro che l'inde­bolimento o lo scioglimento della M.I.2 non debba decidere in modo sostanziale delle sorti della M.I.1».  
 
«Ciò che ciascuno può fare personalmente per la causa dell'Immacolata nelle anime è lasciato allo zelo e alla pru­denza dei singoli. Alcuni si raccolgono in gruppi con un'organizzazione più rigorosa e nelle loro riunioni si stabiliscono comunitariamente i piani di lavoro, esami­nando i risultati della loro azione ed eleggono un proprio consiglio direttivo».  
 
...e (combattere) con tutti í mezzi e le armi possibili, purché leciti: «qualsiasi mezzo, purché lecito evidente­mente, che lo stato, le condizioni e le circostanze permet­tono; ciò significa che la scelta di tali mezzi è lasciata allo zelo e alla prudenza di ciascuno». In pratica, si tratta di utilizzare tutto e tutto far servire allo scopo: «Ogni mezzo, ogni ultima invenzione nel campo delle macchine o dei sistemi di lavoro siano messi innanzitutto a servizio dell'opera di santificazione delle anime attra­verso l'Immacolata». Mezzi naturali e, soprattutto, mezzi e armi soprannaturali, che devono avere sempre la preferenza e preminenza assoluta. Il buon esempio, la preghiera, la sofferenza e il lavoro sono i mezzi ordinari, con i quali si promuove il bene delle anime. L'esempio spinge all'imitazione; la preghiera e il sacrificio e la soffe­renza attirano le grazie divine; mentre l'attività esteriore porta a compimento l'opera, purché l'anima, che si vuol condurre al bene, non opponga resistenza in modo cosciente e volontario all'azione, solitamente silenziosa e discreta della grazia divina». In una parola dunque: «Tutti i mezzi, individuali soltanto o sociali, devono essere adoperati...».  
 
Perché Movimento soprattutto di attacco e di con­quista, tutto qui è espresso, anche, alla maniera e nel linguaggio militaresco, a cominciare dal nome «Militia», che significa esercito. Gli associati sono detti «militi» (= soldati) o «cavalieri» dell'Immacolata, perché l'impegno e l'ideale di lotta sono voluti e portati avanti per puris­simo amore dell'Immacolata e delle anime, così come l'amore muoveva il cavaliere ideale del Medioevo.  
 
Le medaglie miracolose, a cui P. Kolbe ha dato tanta importanza, e di cui fa sì largo uso il milite, sono le «pallottole» o cartucce; il rosario è la sciabola e la spada. E così, similmente, si parla di «piani di battaglia», di «offensive», di «attacchi», di «rinforzi», di «artiglierie», di «stendardi», di «vessilli», ecc. «Si tratta di termini - spiega e giustifica P. Kolbe - che hanno un sapore di battaglia, poiché si riferiscono alla guerra. Non, però, una guerra che si fa con l'ausilio di carabine, di mitragliatrici, di cannoni, di aerei, di gas asfissianti, tuttavia una autentica guerra».  
 
Un ideale di lotta e di conquista che, ispirato e voluto dall'alto, più che dalle particolari contingenze storiche socio-politiche, in fondo, risponde appieno a profonde esigenze e istanze dell'uomo autentico, essendo questo lo scopo della creazione stessa: «Ogni cosa - spiega lucidamente P. Kolbe - ha un duplice scopo: ultimo e immediato. Lo scopo ultimo di ogni creatura è la gloria esterna di Dio; le creature intelligenti offrono questa gloria in modo perfetto, poiché non sono sola­mente un'immagine delle perfezioni divine, ma conoscono altresì e riconoscono tale immagine. Di qui l'omaggio, l'adorazione, il ringraziamento e l'amore della creatura verso il Creatore. Pertanto noi dobbiamo amare Dio in modo infinito, poiché ci ha amato in modo infinito ed ha manifestato tale amore scendendo Lui stesso su questa terra, per sollevare, illuminare, fortificare e perfino redi­mere l'uomo colpevole, mediante la morte più ignomi­nosa in mezzo ai più orrendi tormenti; rimanendo qui tra noi sino alla fine dei tempi, anche se tanto abbandonato e insultato da persone ingrate; donandosi, infine, a noi come nutrimento, per divinizzarci con la sua divi­nità. Tuttavia, essendo noi delle creature limitate, non siamo in grado di rendere a Dio una gloria infinita.  
 
Diamogliene almeno quanta più possiamo. Perciò lo scopo ultimo della M.I. è proprio la gloria di Dio, e non soltanto una maggior gloria, ma la massima possi­bile. Lo scopo immediato, invece, è quello verso il quale si tende direttamente e che serve come mezzo per rag­giungere lo scopo ultimo. La manifestazione della perfezione divina è il fine dell'intera creazione, mentre lo scopo ultimo dell'uomo è conoscere, riconoscere e perfe­zionare liberamente in se stesso l'immagine divina, corri­spondendo alle grazie e unendosi, in tal modo, sempre più strettamente con Dio mediante l'amore, e, per dir così, divinizzandosi. La M.I. ha per scopo immediato la sollecitudine per la conversione di tutti gli acattolici, in particolar modo di quei poveretti, i massoni, che accecati dal fanatismo, sollevano la mano scellerata contro il Padre più buono di tutti».  
 
Questa lotta di conquista vittoriosa, la M.I. intende svilupparla su tre fronti principali, quelli cioè, in pratica, del proprio io, del proprio ambiente, del mondo intero. Un triplice fronte, chiaramente riconoscibile in queste parole del P. Kolbe: «Ognuno di noi poi dice: io desidero innanzitutto tradurre in atto, realizzare sempre di più e sempre più rapidamente questo ideale in me stesso. Debbo io stesso far di tutto per appartenere sem­pre di più all'Immacolata, sono proprio io che mi debbo consacrare sempre di più a Lei, rendermi simile a Lei, vivere di Lei, irradiare Lei, affinché il mio ambiente sia illuminato sempre più chiaramente dalla conoscenza di Lei, sia riscaldato e infiammato sempre più ardentemente d'amore verso di Lei, così che un numero sempre mag­giore di altre persone divenga simile a me, come io lo sono nei confronti di Lei e così, per mio mezzo, appar­tengo sempre di più a Lei, affinché anch'esse come me, influiscano sempre di più tra i loro vicini e illuminino e infiammino un numero sempre maggiore di altre per­sone ancora.  
 
Affinché il mondo intero ed ogni singola anima divenga sempre più simile a Lei, quasi Lei stessa: ecco la M.I.- io». E ancora: «Ognuno consideri il proprio ambiente, i familari, i conoscenti, i compagni di lavoro, i luoghi in cui soggiorna di tanto in tanto, come il terreno della propria missione, allo scopo di conquistare queste persone all'Immacolata; e per far questo si serva di tutte le proprie conoscenze e capacità».  
 
b) ...guidato e diretto dai Francescani, in genere, e dai Conventuali in particolare, per ragioni soprattutto storiche. «La causa dell'Immacolata (la M.I.) è e rimanga sempre unica, comune a noi e ai Cappuccini e ai Francescani Osservanti, ma sempre nelle nostre mani, come bene si addice storicamente». In effetti, sono stati i Francescani, e più particolarmente i Francescani Conventuali a sposare, in maniera tutta speciale, la causa dell'Immacolata nei secoli di lotta, per la proclamazione del dogma. Avendo soprattutto essi lavorato e sofferto per arrivare alla definizione dogmatica; debbono essere loro ancora ad impegnarsi per rendere tale verità, pratica di vita vissuta: seconda parte di una storia stupenda, che vede l'inserirsi e affermarsi del dogma nella pratica della vita.  
 
c) Per far parte del Movimento, si richiede: la con­sacrazione all'Immacolata come strumento nelle Sue Mani; portare al collo la Medaglia Miracolosa, segno esteriore della consacrazione; la recita quotidiana della giaculatoria: «O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te e per tutti coloro che a Te non ricorrono, in particolare per i massoni, e per coloro che sono stati raccomandati a Te»; e l'attività «la più svariata, secondo le condizioni e le circostanze di ognuno, vivificate dal fervore, ma guidate dalla prudenza. Nota caratteristica di tale attività è comune a tutti: attirare le anime, il maggior numero possibile di anime all'Immaco­lata». La diversa disponibilità di tempo e di volontà, nell'attività apostolica, e il modo più o meno organizzato di vivere tale ideale, dà luogo alla M.I.1 2 e 3.  
 
La M.I.1 è senza impegni specifici: tutto è effidato allo zelo personale; la M.I.2 comporta gli impegni stabiliti dallo Statuto, con azione quindi collettiva, ma limitata e senza eroismo. La M.I.3, assieme all'illimitatezza della consacrazione, comporta anche la totale disponibilità di azione per la conquista del mondo all'Immacolata.  
 
2. Sotto il vessillo dell'Immacolata e attra­verso Lei.  
 
Il Movimento, voluto e fondato dal P. Kolbe, si qua­lifica come Milizia dell'Immacolata, perché l'Immacolata, qui, è tutto: ideale e modello, Madre e Regina, Signora e Condottiera, ed anche la «via» di ogni sua azione e strategia. In particolare, l'Immacolata è: ideale e modello del Milite. Per questi, infatti, l'Immacolata è la più stupenda e fedele espressione di Dio e, per questo avvicinarsi a Lei, identificarsi con Lei, seguire Lei in tutto nella certezza di arrivare, così, ai vertici della perfezione umana. In questa ottica si possono capire bene espressioni come queste: «Sappiamo degli ossessi, indemoniati, per i quali il diavolo pensava, urlava, agiva. Noi vogliamo essere così e più ancora, illimitata­mente ossessi da Essa, che Essa stessa pensi, parli, agisca per mezzo di noialtri. Vogliamo essere fino a quel punto dell'Immacolata che non soltanto non rimanga niente in noi che non sia di Essa, ma che diventiamo quasi annien­tati in Essa, cambiati in Essa, transustanziati in Essa, che rimanga Essa stessa. Che siamo così di Essa, come Essa è di Dio. Essa è di Dio fino a diventare sua madre e noi vogliamo diventare la Madre che partorisca in tutti i cuori che sono e saranno l'Immacolata».  
 
L'Immacolata è Madre e Regina, che il Milite ama di intensissimo amore e alla quale vuole conquistare il mondo intero, perché solo in Lei e attraverso Lei viene assicurato il benessere e la felicità delle anime e della società: «Noi lottiamo per consegnare all'Immacolata lo scettro di comando su ogni anima. Infatti, se Ella riesce ad entrare in un'anima benché ancora miserabile, degrada­tasi nei peccati e nei vizi, non può permettere che essa si perda, ma subito le ottiene la grazia dell'illuminazione per l'intelligenza, della forza per la volontà, affinché si ravveda e si rialzi».  
 
A fare ciò non esiste mezzo migliore e più sbrigativo che lasciarsi guidare da Lei stessa, operando come «stru­menti» della sua volontà e del suo amore, così come l'Immacolata stessa è lo strumento privilegiato e unico di Dio, attraverso cui discende ogni grazia e attraverso cui sale tutto il bene e la lode di cui può essere capace la creazione intera.  
 
E per questo e, cioè, per divenire il più possibile docilissimo strumento nelle Sue mani santissime, che ogni milite si consacra all'Immacolata con una consacrazione totale, illimitata e incondizionata: «L'essenza della M.I. - spiega P. Kolbe - consiste nel fatto che essa appar­tiene all'Immacolata in modo incondizionato, irrevocabile, illimitato: che è dell'Immacolata sotto ogni aspetto. Di conseguenza colui che entra a far parte della M.I. diviene totale proprietà dell'Immacolata.  
 
Per ciò stesso egli diviene proprietà di Gesù, e quanto più perfettamente appartiene a Lei, tanto più perfettamente appartiene a Gesù; ma sempre in Lei e attraverso Lei, ossia nel modo più facile e sicuro. Attraverso Gesù poi, egli diviene pro­prietà di Dio. Essere dell'Immacolata, quindi, è l'essenza della M.I.». E ancora: «La sigla M.I. racchiude in sé tutta l'essenza dell'associazione della Milizia dell'Imma­colata. L'associazione, infatti, è innanzi tutto "I", vale a dire "Immaculatae", dell'Immacolata. L'ideale di ogni suo componente è di appartenere all'Immacolata, di essere suo servo, figlio, schiavo, cosa e proprietà, insomma di appartenere a Lei sotto qualsiasi denominazione che l'amore verso di Lei ha escogitato o sarà in grado, in qualunque tempo, di escogitare; appartenere a Lei sotto ogni aspetto per tutta la vita, per la morte e per l'eternità. Essere Suoi senza alcuna restrizione, irrevocabilmente, per sempre. E divenire suoi sempre più, in modo sempre più perfetto, farsi simile a Lei, unirsi a Lei, divenire in certo qual modo Lei stessa, affinché Ella prenda sempre più possesso della nostra anima, si impadronisca total­mente di essa, e in essa e per mezzo di essa Ella mede­sima pensi, parli, ami Dio e il prossimo, e agisca. Ecco l'ideale: divenire Suoi, dell'Immacolata».  
 
Una consa­crazione, come si vede, mai finita, che si dilata sempre più, affinché l'azione, qualunque azione svolta, abbia il massimo di efficacia: «Coloro che si consacrano all'Imma­colata in modo così completo, desiderano mettere l'ac­cento sull'intenzione di cancellare qualsiasi restrizione, non solo quanto all'astensione, ma anche quanto all'inten­sità di tale consacrazione, desiderano così mettere l'ac­cento sulla volontà di bruciare sempre più d'amore verso di Lei, per irradiare sempre più anche nell'ambiente circo­stante, illuminando con il loro splendore e riscaldando con il loro entusiasmo il maggior numero possibile di anime che in qualche modo si avvicinano ad esse; in qualità di cavalieri desiderosi di conquistare all'Immaco­lata e al più presto possibile, il mondo intero e ogni singola anima senza alcuna eccezione». Come il cava­liere innamorato del Medioevo, il milite trarrà forza dal suo amore per tutte le conquiste, divenendo combattente ardito e travolgente. Si voterà «fino ad essere Milite, affinché altri divengano più proprietà di Lei, come te, e anche di più; e tutti coloro che vivono e vivranno su tutto il globo terrestre collaborino con Lei nella lotta contro il serpente. Essere dell'Immacolata, affinché la coscienza, sempre più immacolata, divenga ancora più pura, immacolata, come Ella è Gesù Cristo, fino a dive­nire madre e conquistatrice dei cuori a Lei».  
 
Essere dell'Immacolata per essere strumento nelle Sue Mani e, quindi, tutto operare attraverso Lei, e cioè sotto la di Lei protezione e mediazione: «Sotto la sua prote­zione, cioè quali strumenti nelle sue mani immacolate, e per la sua mediazione, cioè utilizzando i mezzi che Essa mette a nostra disposizione e pregando affinché Ella ottenga vittoria». Sempre più preso dall'altissimo ideale, P. Kolbe aggiunge con sempre più vigore e chia­rezzza: «Attraverso l'Immacolata al Cuore divino di Gesù: è la nostra parola d'ordine. Attraverso l'Immacolata: è la nostra caratteristica essenziale. Quali strumenti nella sua mano. Di conseguenza, non è sufficiente che noi ci preoccupiamo di essere sempre più dell'Immacolata sotto ogni aspetto, entro confini ben determinati, ma deside­riamo irraggiare l'Immacolata fino al punto tale da essere capaci di attrarre a Lei anche le anime degli altri, anzi di tutti coloro che esistono ora, che esisteranno e potranno esistere, in futuro, senza alcuna limitazione. In una parola, desideriamo appartenere sempre più a Lei fino all'ultima goccia di sangue nell'opera volta a conquistare a Lei il mondo intero e ogni singola anima, e ciò al più presto possibile, al più presto possibile: ecco la M. I.».  
 
Che se l'essenza della M.I. è appartenere all'Immaco­lata, come Suoi Strumenti, vuol dire pure che la M.I. è tutta fondata sull'obbedienza. Crescita, sviluppo, inizia­tive, successi, tutto è determinato e mosso da una sotto­missione e obbedienza totale, anche eroica, alle disposi­zioni dei legittimi rappresentanti della volontà di Dio e dell'Immacolata: «La M.I. - conferma P. Kolbe - è iniziata e si è sviluppata attraverso la santa obbedienza. E non poteva essere diversamente, per il fatto che l'es­senza di essa è di appartenere all'Immacolata. Dell'Imma­colata è serva, figlia, schiava, cosa, proprietà e via dicendo. Insomma, appartenere a Lei sotto ogni aspetto. Annientare se stessa e diventare Lei. L'elemento fondamentale di una simile trasformazione consiste nel confor­mare, nel fondere, nell'unificare la nostra volontà con la Sua. È fuori di ogni dubbio che la Sua Volontà è pienamente congiunta alla volontà di Dio; quindi, non bisogna far altro che unire la nostra volontà con la Sua, cosicché, attraverso Lei, ci uniamo a Dio».  
 
3. La Milizia dell'Immacolata movimento antimassonico.  
 
La M.I. è stata voluta e strutturata in chiara funzione antimassonica, con l'esplicita finalità, cioè, di contrastare e vincere la massoneria che, quale «capo» del serpe infer­nale, conduce la battaglia contro Dio e la sua Chiesa; e che tende, attraverso anche gli innumerevoli suoi alleati, a dominare il mondo. Ciò è provato sia dal come sorse l'idea e venne fondata, e sia dall'analisi dei suoi elementi strutturali. E, infatti:  
 
a) La M.I. fu occasionata, oltre tutto, dal livore massonico contro Dio e la Chiesa cattolica. La M.I. fu fondata da P. Kolbe e da altri sei compagni, a Roma, nel collegio serafico internazionale dei Frati Minori Con­ventuali, la sera del 16 ottobre 1917. Le motivazioni principali dell'evento ci sono fornite dallo stesso P. Kolbe: «L'occasione che ne determinò la fondazione furono le iniziative sempre più provocatorie della masso­neria e degli altri nemici della Chiesa di Cristo nel centro dello stesso Cristianesimo; il fondamento fu la tradizio­nale devozione che i PP. Francescani Conventuali nutrono verso l'Immacolata Concezione: tradizione perché risale ai primordi dell'Ordine. Inoltre lo spirito di povertà, nota caratteristica dell'Ordine, basata non tanto su calcoli delle entrate e delle uscite, quanto piuttosto sulla fiducia nella divina Provvidenza, attraverso l'Immacolata, e sul dare ad ognuno secondo le necessità: questa la base finanziaria; infine la volontà dell'Immacolata fu l'indicatore della direzione da seguire».  
 
b) Il fine perseguito è la conversione dei massoni e la lotta aperta ai loro metodi e dottrine: «Il fine della M.I. è la conversione in primo luogo di tutti e special­mente dei massoni, perché purtroppo nei nostri tempi proprio loro stanno a capo dell'azione contro la Chiesa, anche dove meno si vedono. Se poi arriverà il tempo che il capo del serpente vorrà chiamarsi altrimenti, questo non cambia l'essenza della cosa».  
 
Quest'ultimo rilievo, tra l'altro, mette bene in chiaro - come del resto abbiamo già abbondantemente docu­mentato - che la lotta alla massoneria non è dettata da nessuna congenita antipatia o altro motivo, più o meno umano e discutibile, ma solo dal fatto che essa «è a capo dell'azione contro la Chiesa».  
 
Per la conversione dei massoni si prega in modo speciale. Così, per es., P. Kolbe, parlando della recita del S. Rosario, richiesta dall'Immacolata stessa a Bernar­detta, si domanda: «E a vantaggio di chi? A vantaggio di chi ha maggior bisogno, e precisamente a vantaggio di questi nostri poveri infelici fratelli massoni, tanto più infelici per il fatto che non si accorgono di correre verso la propria perdizione; tuttavia essi sono fratelli, poiché Gesù non li ha affatto esclusi dalla partecipazione ai meriti della sua passione. E secondo quale intenzione? Non crederete, cari lettori, che l'intenzione migliore sia che quanto prima essi si convertano, anzi addirittura si arruolino nella Milizia dell'Immacolata e, con il desiderio di riparare il male commesso fino a quel momento, si accingano con maggior fervore, sull'esempio di San Paolo dopo la conversione, all'opera della salvezza delle anime? ...»  
 
La lotta, dunque - bisogna ripeterlo una volta di più! - non è alle persone, quanto al sistema e ai metodi perversi; si cerca anzi di indirizzarle, magari, alla Milizia dell'Immacolata; solo per strapparle a rischi mortali.  
 
In un altro scritto, per l'occasione del 1° maggio, P. Kolbe diceva: «In quel giorno, in cui saremo testimoni di varie manifestazioni contro Dio e la sua Chiesa catto­lica, noi vorremmo indirizzare gli spiriti verso gli sten­dardi azzurri della "Milizia dell'Immacolata", che sono in grado di condurre i suoi aderenti verso un avvenire migliore».  
 
La conversione dei massoni e l'opposizione efficace alle loro perverse dottrine e principi, sono volute non solo nell'intimo del cuore, e non solo con la preghiera, ma anche con l'azione, una vera e propria mobilitazione di guerra. Ciò per contrastare ogni passo dell'avversario, opponendo iniziativa a iniziativa e perseguitando ogni errore e peccato. Il Milite, cioè, mai sarà indifferente o, meno che mai, connivente con i nemici di Dio ma - quale dev'essere d'altronde ogni autentico cristiano - non solo non separerà la vita e l'azione dalla fede, ma «quale soldato di Cristo», prenderà chiaramente posizione e imbraccerà le armi.  
 
c) Antimassonica è la scelta dell'Immacolata a ideale e modello del Milite. L'Immacolata, infatti, preser­vata dal peccato originale e inondata di grazia per i meriti di Gesù Cristo, riafferma, praticamente, l'esistenza di un peccato di natura, e perciò la necessità della redenzione, il bisogno assoluto della grazia per salvarsi, per ben ope­rare e ritornare, in qualche modo, all'integrità dell'uomo innocente. La massoneria, al contrario, ha come bandiera e programma il naturalismo assoluto: peccato originale, bisogno di redenzione e di grazia, ecc. sono per essa ridicole assurdità. L'uomo è solo animale razionale, si direbbe solo materia, di null'altro bisognoso che di redi­mersi dalla schiavitù dell'ignoranza, della fame o di una politica tiranna e vessatoria, e simili. Una posizione che, oltre ad essere sprezzante rifiuto dell'amore e della reden­zione di Cristo, suona anche terribilmente insidiosa per le tante conseguenze eterne, che essa comporta, il ricorso all'Immacolata vuol essere, allora, la riaffermata fiducia nella necessità e nella vittoria della grazia e del sopranna­turale su la natura malata e ribelle. P. Kolbe lo afferma, per es., nello spiegare, appunto, il perché della scelta del­l'Immacolata per il «Cavaliere dell'Immacolata (= il Rycerz Niepokalanej), a Patrona, Guida, Condottiera e Proprietaria: «Ella ha schiacciato la testa del serpente infernale, come Dio aveva preannunciato ancora nel para­diso terrestre: "Ella ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo calcagno" (Gen. 3, 15).  
 
Ella ha distrutto sempre le eresie, come afferma la Chiesa cattolica nel divino Ufficio che i sacerdoti recitano: «Rallegrati, Maria: Tu solo hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero» (Uffi­cio della Beata Vergine Maria); - Ella infrange anche oggi le potenze dell'inferno, poiché chi può contare la serie lunga e ininterrotta di conversioni avvenute per Sua intercessione? Basti pensare alla Medaglia Miracolosa; Ella veglia sui suoi devoti, perché non cadano in peccato, poiché sappiamo per esperienza che chi è ardentemente devoto dell'Immacolata, non cadrà oppure, se cadrà, si rialzerà subito».  
 
E ancora. Oltre che affermazione e accettazione della grazia e del soprannaturale, l'immacolata dice pure trionfo ed affermazione di umiltà. Non si può ammettere, infatti, ed accettare la grazia, senza ammettere pure, almeno implicitamente, la propria indigenza e i propri limiti. L'Immacolata, così, proclama col suo essere di grazia, che solo Dio è la pienezza di essere e di perfezione, solo Dio non ha bisogno di niente e di nessuno. Una verità che, accettata e confessata, equivale, appunto, a profon­dissima umiltà che glorifica Dio, verità assoluta.  
 
In posizione radicalmente opposta, invece, è la mas­soneria che, col suo naturalismo e rifiuto del soprannatu­rale e della grazia, non fa che esaltare l'uomo e la natura o - il che è lo stesso - la sola ragione umana.  
La ragione per la massoneria - lo abbiamo visto - è il vertice di tutto, e anche la fonte e la giustifica­zione ultima della verità. Spetta perciò pure alla ragione provvedere e realizzare il più completo benessere e la felicità dell'uomo sulla terra. Tutto ciò, poi, che comunque non dipende o non è fondato sulla ragione, e mito, menzogna, tenebra da eliminare, con tutte le forze e in tutti i modi. Che se solo l'uomo è la causa e l'arbitro di tutto, è ovvio che, per lui, bisogna rivendicare la più assoluta autonomia, sganciandolo da tutti i vincoli e legami costituiti, per es., dalla religione, dalla fede, dalla legge, dall'autorità, ecc.  
 
È a questo punto che appare, pure, la contrapposizione tra l'Immacolata e la massoneria e, anche, la ragione di una scelta nella lotta a quest'ul­tima. L'Immacolata, piena di grazia, è l'Essere dell'Umiltà radicale, tutto orientato e stabilito nel soprannaturale; la massoneria è il prototipo e il vertice di un orgoglio demoniaco, che rifiuta la verità perché non si accettano i limiti di natura. L'Immacolata è la più splendida e radi­cale affermazione di Dio, la massoneria la più chiara affermazione e adorazione del proprio io, che è pratica ed effettiva eliminazione di ogni «Dio», che non sia sfor­nato dalla propria fantasia.  
 
L'Immacolata, poi, dice ancora, tra l'altro, afferma­zione e trionfo della fecondità della purezza e della vergi­nità. Netta contrapposizione, anche da questo aspetto, alla massoneria. Questa, tutta fondata sull'estimazione della materia, irride alla purezza e alla verginità, che ritiene ridicole, assurde, indegne dell'uomo: esalta i piaceri ses­suali come se costituissero, essi soli, la felicità dell'uomo.  
 
L'Immacolata esalta in se stessa la sublime fecondità e la bellezza della verginità totale, che riscatta la donna e il mondo intero dalla degradazione sempre in agguato; ed è, nello stesso tempo, incomparabile fonte di vita e di felicità.  
 
La massoneria, pur con tutti i suoi «verbosi» pro­grammi di luce e di civiltà e di progresso, finisce col materializzare e degradare tutto; l'Immacolata, pur con valori difficili a comprendersi e ad accettarsi, non fa che elevare e sublimare fino alle vette della santità divina. La massoneria esalta la ragione, finendo per allevare solo gli istinti più bassi; l'Immacolata esaltando la purezza, che ben pochi vogliono sentire, insegna, come nessun altro, a vivere e a superarsi.  
 
d) Antimassonica è soprattutto la consacrazione, che fa del milite uno strumento nelle mani di Dio e dell'Immacolata. Lo abbiamo detto: il milite si consacra all'Immacolata, per essere, nelle sue Mani Immacolate, strumento di misericordia e di grazia, per tutti. E vuol essere «strumento», per poter così partecipare un pò all'infinita potenza e bontà e sapienza di Dio.  
In effetti, lo strumento non partecipa, in qualche modo, della perfezione e della nobiltà della causa princi­pale? Ma «strumento» si diviene solo quando, spogliati completamente del proprio io, ci si lascia condurre in un'obbedienza totale. Il che significa volersi muovere uni­camente nell'ambito della fede e dell'amore soprannatu­rale, più che con e su le risorse della natura, come bene spiega P. Kolbe in questo testo: «L'intelletto è al di sopra dei sensi e la fede al di sopra dell'intelletto, benché essa sia un ossequio della ragione per ciò che riguarda l'evi­denza esteriore non già quella interna. E quanto meno l'intelletto vede la «evidenza interna» e tuttavia cammina ugualmente seguendo i dettami della fede, tanto maggiore è la gloria che rende a Dio, riconoscendo la sua infinita sapienza, bontà e potenza. La perfezione consiste nell'a­more di Dio, nell'unione con Lui, nella nostra divinizza­zione. L'amore si manifesta mediante l'attuazione della volontà di Dio, che a noi si rivela per mezzo della volontà dei superiori (...). Il rimettersi alla volontà di Dio e la sua attuazione specialmente in ciò che è contra­rio ai sensi e persino ad un intelletto limitato e fallibile, infiamma sempre più l'amore verso Dio. La croce è scuola di amore».  
 
Con ciò la M.I. si rivela, una volta di più, in com­pleto irriducibile contrasto con la massoneria. La M.I. inculca ed esalta la spogliazione completa della volontà in una fede grande, in un'obbedienza eroica in tutto. La massoneria non cessa dall'inneggiare al libero pensiero; insiste sull'obbedienza totale solo al proprio io, ritenendo indegno dell'uomo ogni sottomissione. Ma, attenzione!, il contrasto e la contrapposizione non è tra irrazionalità e ragione, tra viltà o servaggio e coraggio della propria indipendenza e individualità... La M.I. non ripudia né la ragione né la sua dignità, ripudia solo il razionalismo e l'anarchia da ogni vincolo e soggezione: «Il razionali­smo è una ideologia e si fonda sul postulato che non sia possibile all'uomo nessuna superiore illuminazione. Tale asserto di partenza è acritico e arazionale, onde il razionalismo può presentarsi correttamente non tanto come esaltazione della ragione quanto come affermazione dell'impermeabilità della ragione a ogni luce eventuale che la raggiunge dall'alto; e quindi come affermazione gra­tuita di un limite della ragione».  
 
Il milite, che nulla ha contro la ragione, vuol servir­sene per quello che vale e per quello che può, non di più. Il di più è menzogna, è inganno. Tenendo presenti i limiti di essa ragione, il milite si apre volentieri, come l'Immacolata, alla pienezza di luce e di verità che viene dall'alto. Egli, così come lo vuole P. Kolbe, farebbe sue, senza esitazioni, le belle pagine scritte da eletti ingegni sulla ragione.  
 
Parimenti, il milite non rigetta l'uso equilibrato della volontà, ma la invocata e asserita autonomia completa e assoluta. Come l'intelletto, così anche la volontà ha la capacità di aprirsi all'alto, realizzando un potenzia­mento formidabile di forze. Questo è, infatti, non solo la grazia, ma anche l'obbedienza e l'appoggiarsi alla stessa divina Volontà. Ma del valore dell'obbedienza vedremo meglio, più avanti.  
 
e) Antimassonica è la scelta o la preferenza accor­data ai mezzi di lotta spirituali. Convinta che il segreto di ogni successo, non solo in campo spirituale, ma in qualsiasi altro campo anche politico e sociale, è la grazia, di cui l'Immacolata è l'espressione e il canale privilegiato, la Milizia s'appoggia, nella battaglia, soprattutto, sull'ob­bedienza, sulla preghiera, la sofferenza, l'amore, la povertà eroica, ecc., e cioè su tutto ciò che ottiene la grazia o ad essa, più facilmente, porta. Lo abbiamo detto: la M.I., pur dando grande importanza e spazio all'orga­nizzazione, ecc. ecc., dà però preminenza assoluta alle armi e mezzi soprannaturali, qual è la grazia, la carità. La massoneria, quintessenza del naturalismo, del laicismo più radicale, di tutto ciò non sa che farsene, non può che... sorridere, con sufficienza e disprezzo. Quello che conta, per essa, è il denaro, il potere, la potenza delle armi: le guerre si combattono e si vin­cono solo con tali mezzi! Il contrasto non potrebbe essere più radicale; contrasto reso esplicito e manifesto, anche, nella giaculatoria che il Milite è invitato a ripetere quanto più possibile, almeno una volta al giorno: «O Maria, con­cepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi, e per quanti a Voi non ricorrono, in modo partico­lare per i massoni e per quanti Vi sono racco­mandati».  
 
f) Antimassonica, infine, potrebbe dirsi la stessa impostazione della M.I. che, servendosi dei più moderni ed efficaci mezzi di penetrazione, quali sono, per es., i mass media, tende ad essere presente dappertutto. Non sono soprattutto i massoni che, tesi a possedere il mondo e a governarlo secondo i loro piani, cercano di impadro­nirsi di tutti i posti chiave delle varie nazioni, per mano­vrarne a piacimento il cammino e le scelte politico­-sociali?  
 
Tattiche e strategie contrapposte, che si scontrano e si combattono in grandi «azioni» di guerra o in piccole scaramucce, per il dominio del mondo che, per i militi, è ben altro che sete di potere, a proprio comodo e uti­lità. La Milizia, sì, vuole conquistare tutto il mondo e al più presto: un'ansia di universalismo che sprizza da tutti i pori e in mille modi: ma un universalismo che è chiara risposta ad una presenza universale di stampo mafioso, che incombe, come ombra di morte, su tutto e su tutti!  
A questo punto, non sarebbe privo di interesse chie­dersi se l'azione e l'opera di P. Kolbe sia sbocciata come per incanto, o non si allacci a precedenti storici, e in che modo. Ma non è questa la finalità di queste pagine. Non si può, però, non accennare, per lo meno di sfug­gita, per es., ad Erasmo di Rotterdam, che scriveva il Manuale del milite cristiano, a Pio Brunone Lanteri, a D. Bosco con le sue Letture Cattoliche, al Sodali­tium Pianum di Mons. Benigni, ecc. ecc. Ottimi pre­cedenti, ma forse nessuno di questi movimenti ha avuto la consistenza e il respiro come quello del P. Kolbe.  
OK

Cap. IX - LE «CENTRALI» DELL'ESERCITO ANTIMASSONICO

 
La M.I. è la pratica dimostrazione e attuazione di come si deve combattere per la verità, contro i «nemici» di Dio e della Chiesa, attraverso e con l'Immacolata. Le «Città dell'Immacolata» sono la pratica e più splendida attuazione della MI, della quale ne sono, perciò, pure, il principale propulsore e diffusore. Quale la loro natura, strutturazione, fine?...  
 
1. Le «Centrali» M.I. per la conquista del mondo.  
 
P. Kolbe parla, spessissimo, di «Città dell'Immaco­lata» e, in particolare della Niepo­kalanów, e cioè la «Città» da lui fondata, in Polonia, nelle vicinanze di Var­savia, e di Mugenzai no Sono ( Giardino dell'Immaco­lata) da lui fondata a Nagasaki, in Giappone.  
 
La Niepo­kalanów, fondata verso la fine del 1927, in pochissimi anni, divenne la Comunità religiosa più numerosa del mondo, con circa ottocento religiosi e un lavoro gigantesco. La Direzione si componeva di cinque grandi reparti, suddivisi in settanta sezioni, e cioè: Reparto di redazione e amministrazione con 18 sezioni; reparto tipografico con 17 sezioni; reparto tecnico con 6 sezioni; reparto dell'economia domestica con 23 sezioni; reparto dell’edilizia con otto sezioni.  
 
Enorme l'attività di stampa: «II Cavaliere dell'Imma­colata», mensile, arrivato a circa un milione di copie; «Il piccolo giornale» (Maly Dziennik), quotidiano d'attualità, con 150 mila copie nei giorni feriali e 250 mila nei giorni festivi; e altri periodici, ai quali bisogna aggiungere numerose e continue edizioni di fascicoli, opuscoli e di eleganti volumi agiografici, educativi, pastorali, ascetici. Nel 1939 constava di 13 sacerdoti, 18 chierici professi, 527 Fratelli Religiosi, 122 aspiranti allo stato religioso clericale e 82 candidati allo stato di Fratelli conversi. In tutto 762 religiosi. Venne impiantata, nella Niepokala­nòw, una radio trasmittente; si pensava già alla televi­sione; un seminario di formazione; un'organizzazione for­midabile che, nel suo molteplice lavoro, la rendeva autonoma quasi in tutto; con macchine modernissime e costose: gli ultimi ritrovati della tecnica ecc.».  
La «Mugenzai no Sono» venne fondata a Nagasaki, nel 1930. Anche qui, in brevissimo tempo, meraviglie di realizzazioni. Nel 1933, a tre anni appena dall'arrivo, «Il Cavaliere dell'Immacolata», in lingua giapponese (Seibo no Kishi) aveva già raggiunto una tiratura di oltre 50.000 copie mensili. Ma cosa sono le «Città dell'Im­macolata»?... Sono:  
1) Comunità di anime consacrate all'Immacolata, impegnate a tempo pieno e per sempre nella lotta per la conquista del mondo all'Immacolata. I membri, dun­que, della «Città dell'Immacolata», comunque concepita e attuata, sono militi di terzo grado;  
 
2) Comunità impegnate interamente ad attuare il fine della MI, e cioè la conquista del mondo all'Immacolata: «Lo scopo di Niepo­kalanów è la realizzazione dello scopo della M.I.». E più chiaramente: «Quale lo scopo di Niepo­kalanów? (...)... quante anime ancora non La (= l'Immacolata) conoscono affatto? Quante, pur avendo sentito parlare di Lei, tuttavia non La amano e non la benedicono, oppure... si oppongono a Lei?... Ciò nonostante, Ella è la Madre di Dio, la Madre della grazia divina, la Mediatrice di tutte le grazie (...). (...) E possibile guardare a queste anime con occhio indifferente? (...). Come, allora, non avvicinarsi sempre di più a Lei, all'Im­macolata, e non attirare a Lei le anime dei fratelli e le anime di tutti insieme e di ognuno singolarmente coloro che vivono e vivranno nella propria patria e in altre terre? Ecco lo scopo del Rycerz Niepokalanej, lo scopo della Milizia dell'Immacolata, lo scopo di Niepo­kalanów».  
 
... Con tutti i mezzi possibili. P. Kolbe spiega: nella «Città dell'Immacolata», l'Immacolata deve «operare con tutti i mezzi, compresi quelli più moderni, perché le invenzioni dovrebbero servire prima a Lei e dopo per il commercio, l'industria, lo sport, ecc. (perciò la stampa e ora - perché no - anche le trasmissioni-radio, i films e in genere tutto ciò che in qualsiasi modo si potrà esco­gitare per illuminare le menti e infiammare i cuori). Tale Niepo­kalanów potrà escogitare anche da sola i mezzi più recenti e più efficaci e adoprarli». Soprattutto la stampa, in maniera particolare «Il Cavaliere dell'Immaco­lata» il cui ruolo sarà quello «di introdurre lo spirito della M.I. nelle anime, curarne lo sviluppo, l'approfondi­mento e l'applicazione alla vita presente, sia sociale che privata. E nello stesso tempo diffondere la M.I. con tutte le energie possibili».  
 
Un'attività apostolica che, quasi, non trova limiti, nel senso che il campo d'azione si allar­gherà a tutti i settori possibili e con tutti i mezzi idonei. Parlando della Niepo­kalanów polacca, dove già operava «Il Cavaliere dell'Immacolata», P. Kolbe traccia come un piano possibile di sviluppo in questi termini: «Sono del parere che accanto al Rycerz (per tutti) ed al Rycerzyk per i bambini, col tempo si schiereranno in combatti­mento altre edizioni periodiche (quotidiani, settimanali, mensili e trimestrali impegnati) e non periodiche (opu­scoli, libri) per trattare in modo più approfondito alcune questioni. Inoltre, per le particolari regioni di una nazione (secondo le necessità) si possono stampare anche dei sup­plementi o delle edizioni speciali.  
 
Tutto questo costituisce un vero apostolato della parola scritta, adeguato ai diversi ceti, stati e condizioni sociali. (...) La parola stampata o trasmessa attraverso le onde della radio o le immagini riprodotte a stampa oppure trasmesse per televisione radiofonica, o il cinema o altri mezzi, tutto questo è molto, ma non è ancora tutto ciò che è possibile fare per insegnare a tutti e ad ognuno singolarmente chi è l'Immacolata, per riscaldare l'amore verso di Lei e soprat­tutto per ravvicinare questo amore essenziale, un amore fatto non tanto di sentimento quanto piuttosto della volontà che si unisce con la Volontà dell'Immacolata, così come Ella ha unito strettamente la Sua Volontà con la Volontà di Dio, con il Cuore di Dio.  
 
È indispensabile, mi sembra, che questi lavoratori della penna, del micro­fono, dello schermo o di qualsiasi altro mezzo, si spar­gano fuori del recinto di Niepo­kalanów e viaggino, si avvicinino personalmente alle anime per mezzo di corsi di esercizi spirituali, di missioni, di conferenze e di confessioni, per organizzare e visitare la M.I.2, e dopo il loro ritorno conoscano meglio che cosa e in che modo si debba scrivere in quel determinato momento per quel dato paese o per quella data regione. Inoltre, diverranno capaci di penetrare nei cuori con maggior vitalità attra­verso la parola viva» (si ritorna a Niepo­kalanów per ritemprarsi e purificarsi...). «Inoltre i Fratelli sciameranno ovunque con le stampe e le medagliette secondo le neces­sità delle particolari regioni della nazione, ma sempre con il pensiero rivolto a Niepo­kalanów, dove, nell'umile obbedienza, bruceranno con gioia, mediante il fuoco del­l'amore, le piccole macchie contratte durante il viaggio e stando in mezzo ai secolari».  
 
Ovviamente, sacerdoti e Fratelli, apostoli di questa tempra, vanno preparati. Quale luogo più adatto che la Niepo­kalanów stessa? E perciò, la Città dell'Immacolata è anche:  
 
3) Comunità dove si formano i futuri Militi, conqui­statori del mondo.  
Più avanti si vedrà meglio la necessità del perché di una tale formazione.  
 
Poiché la «Città dell'Immacolata» ha, tra l'altro, il compito di diffondere, di stimolare, di dirigere, ecc. la M.I., essa dovrebbe sorgere in ogni Nazione del mondo: «Credo che in ogni Nazione debba sorgere una Niepoka­lanòw, nella quale e attraverso la quale l'Immacolata debba operare con tutti i mezzi». E, naturalmente; col­legate tra loro, anzi con un'unica cassa e amministrazione, in maniera da aiutarsi e sorreggersi reciprocamente, secondo i bisogni e le necessità: «Le Niepo­kalanów di tutte le Nazioni costituiscono un'unica realtà, una sola Niepo­kalanów, un esercito alla conquista del mondo intero all'Immacolata, conforme agli intenti della M.I.». Il collegamento dovrà essere, oltre che finan­ziario, anche e, soprattutto, per la programmazione: «Sono sempre del parere che soltanto una stretta unifica­zione amministrativa di tutte le Niepo­kalanów esistenti (e future) (...) può dar vigore all'azione e permetterne la programmazione». E, scendendo ai dettagli, aggiunge ancora: «Mi sembra indispensabile:  
 
1) che tutti gli avamposti creati da Niepo­kalanów abbiano con essa un contatto stretto e diretto e ciò per l'unità  
a) dello scopo (il fine della MT),  
b) dei mezzi (la casa editrice, la tipografia, il Cavaliere),  
c) della nota caratteristica (una povertà rigorosa, il contare unicamente sulla Provvidenza divina attraverso l'Immacolata e la maggior limitazione possibile delle esigenze personali),  
d) della necessità, forse continua, di aiuto finanziario».  
 
2) Come si costruisce una «Città dell'Immacolata»?... P. Kolbe ce ne offre le linee essenziali, evidentemente dopo soprattutto la sua prima grande esperienza. Linee, naturalmente, tecniche e operative, da tener presenti, a Niepo­kalanów, nella preparazione degli abitanti delle altre «Città dell'Immacolata»: «Niepo­kalanów, avendo come missione specifica la conquista del mondo intero all'Im­macolata prepari spiritualmente a tale scopo tutti quelli che vi entrano: questa è la prima cosa. Inoltre, sarà indi­spensabile che vengano preparati anche "sotto l'aspetto tecnico" coloro i quali hanno già emesso i voti (precisa­mente dovrebbero partire soltanto dopo la professione solenne...). E così: si potrebbe considerare idealmente completo un gruppo formato di due Padri e quattro Fra­telli per i settori (completi) T, A, S, E (= tecnico, ammi­nistrativo, sanitario, edilizio). Completi, vale a dire prepa­rati ed esperti in tutte le attività, dai lavori manuali più semplici fino, possibilmente, a quelli più complicati ese­guiti dalle macchine. (...) Dietro costoro debbono tenersi pronti gli specialisti "E" (= del settore dell'energia), ossia gli elettrotecnici e i meccanici dei motori a nafta, ma anche i sarti, calzolai e così via. Mi rendo ben conto, infatti, che i primi quattro possono essere preparati dav­vero in modo soddisfacente per sgobbare e per istruire, con l'andar del tempo, i Fratelli autoctoni delle varie atti­vità; tuttavia non saranno in grado di raggiungere la specializzazione in ogni ramo».  
 
«A proposito delle future Niepo­kalanów, io sono del parere che sia ormai giunto il tempo di scegliere altri quattro Fratelli per dare inizio ad una nuova Niepokala­nòw. Uno per l'amministrazione (nella sua accezione più ampia), ossia per il "Cavaliere" e per la Casa, compreso quindi il lavoro di segreteria della direzione e della reda­zione. Il secondo per il settore tecnico, ossia per la com­posizione, la tipografia, la rilegatoria (e magari, almeno nei primi tempi, capace di fare il fabbro, l'elettrotecnico e che sia pure buon conoscitore del funzionamento dei motori a nafta). Il terzo per il settore dell'alimentazione, ossia per i problemi del sostentamento, (orto, cucina, dispensa) e del vestiario (sartoria, lavanderia, calzoleria) e del servizio sanitario (piccola farmacia, servizio di pronto soccorso, cura degli ammalati). Il quarto per il settore edilizio (opere murarie, carpenteria, falegnameria e magari la stesura dei progetti, i calcoli del materiale e del tempo di lavorazione, la preparazione ufficiale dei progetti stessi).  
 
Dopo che un quartetto di questo genere avrà posto delle buone basi da qualche parte, potranno giungere anche altri Fratelli secondo le necessità di quel dato paese e soprattutto per il funzionamento dei motori (anche un elettrotecnico), per le riparazioni delle macchine». Come si vede, il ruolo dei Fratelli è determinante e di grande importanza.  
P. Kolbe, ponendoli così nobilmente e fattivamente al servizio di un grande ideale, attuava pure un suo vec­chio progetto di elevazione dei Fratelli religiosi.  
 
2. La vita e l’anima delle «Città dell'Imma­colata».  
 
Nelle «Città dell'Immacolata» l'Immacolata è tutto. Infatti: è amata con la «follia» dell’innamorato e dell'ossesso, perché Essa è la trasparenza di Dio, la bellezza incompa­rabile, la Madre onnipotente di Dio, la tenerissima Mamma di tutti, dal cuore incredibilmente buono e mise­ricordioso, il sublime ideale che affascina ed esalta: «Noi abbiamo una volontaria, amata «idea fissa» (se qualcuno volesse chiamarla così) ed è l'Immacolata. Noi viviamo, lavoriamo, soffriamo e bramiamo morire per Lei e con tutta l'anima, in tutti i modi, con tutte le invenzioni ecc., desideriamo innestare questa «idea fissa» in tutti i cuori».  
 
Gli abitanti, dunque, delle «Città dell'Imma­colata» ne sono i sublimi «pazzi», che se ne nutrono incessantemente. P. Kolbe può ripetere, a nome di tutti: questa, e cioè l'Immacolata, «è la nostra vita, il nostro respiro, ogni pulsazione del nostro cuore: consacrarci all'Immacolata sempre di più, illimitatamente, incondizio­natamente, irrevocabilmente, e inculcare questa donazione di sé nei cuori di tutti, su tutta la terra, affinché Ella possa dirigere liberamente i nostri cuori e i cuori di tutti coloro che vivono nel mondo intero: la realizzazione più rapida possibile dello scopo della M.I. in tutta la terra e ancora la sollecitudine perché nessuno riesca a strappare da nessun cuore il vessillo dell'Immacolata»; è la Regina, la Padrona augusta di tutto e di tutti. Lei cioè ha la proprietà di tutto, Lei dirige tutto, Lei opera attraverso i Suoi «strumenti», e cioè i suoi militi consacrati.  
 
Questo è lo spirito di Niepo­kalanów: «Lo spi­rito di Niepo­kalanów (...) consiste in nient'altro se non nel fatto che essa (e cioè Niepo­kalanów) appartiene a Lei, tutto in essa appartiene a Lei, e cioè: coloro che abitano, le macchine, gli edifici, e perfino i debiti. Ma soprattutto: ogni cuore che palpita in essa». Che se è Lei la proprietaria e la Signora assoluta è Lei che decide tutto, la persistenza come lo sviluppo o la... distruzione di essa. Decisione che, quale che sia, dovrà essere la stessa anche degli abitanti. In tale spirito questi, nell'eventualità che l'Immacolata non volesse più la Niepo­kalanów, dovrebbero aiutarla a distruggere tutto: «Ma se Niepoka­lanòw crollasse?... Se l'Immacolata volesse il crollo di Niepo­kalanów, allora tutti noi ci dovremmo preoccupare di aiutarLa nel modo più efficace, perché proprio Lei è la Proprietaria e ha il pieno diritto, in ogni istante, se così vuole, di dire: "Ora basta!". Al contrario, se Ella non lo vuole, allora non dobbiamo temere, anche se tutti noi, con le nostre imperfezioni, ostacolassimo e intralcias­simo i Suoi piani ancor più di adesso. (...) Che verità consolante e quale profonda serenità essa infonde! Ella ci guida: lasciamoci solo condurre sempre di più e in modo sempre più perfetto».  
 
Perciò l'essenza di Niepo­kalanów, e cioè la cosa più importante di essa, non sono le macchine o il numero crescente degli abitanti o l'enorme mole di lavoro che vi si fa, o gli innumerevoli reparti operativi...: «la cosa più importante a Niepo­kalanów è che tutti quelli che vi lavorano siano sinceramente e veramente consacrati all'Immacolata». «Quello che importa al di sopra di tutto è la personale consacrazione a Dio attraverso l'Immacolata, poiché essa costituisce la condizione più impor­tante e l'essenza della vita che si svolge qui a Niepo­kalanòw».  
 
La consacrazione a Niepo­kalanów dev'essere così totale, così incondizionata da mettere veramente il milite o il consacrato come «strumento» nelle mani dell'Imma­colata: uno strumento da potersi utilizzare sempre e per ogni occasione; e uno strumento tanto docile da arrivare alla più totale e incondizionata obbedienza: «Sono del parere che l'ideale spirituale di Niepo­kalanów debba essere la consacrazione all'Immacolata, purché illimitata (...), perciò conformarsi alla Volontà dell'Immacolata in tutto quello che non dipende dalla nostra volontà e com­piere nel modo più perfetto possibile la Sua Volontà in ogni cosa, vale a dire «essere uno strumento più perfetto possibile nelle Sue mani immacolate», cioè lasciarsi con­durre totalmente da Lei, nel modo più perfetto, cioè l'ob­bedienza più perfetta possibile, attraverso la quale Ella manifesta la propria Volontà, ci guida cioè come strumenti».  
 
«Senza l'obbedienza di questo genere (= soprannatu­rale) non si è uno strumento nella mano dell'Immacolata, ma (...) nella mano di satana, anche se si leggesse una gran quantità di libri spirituali, se si recitassero molti rosari ogni giorno, se si camminasse con il corpo quattro o cinque volte piegato su se stesso e perfino se si compis­sero delle azioni eroiche».  
 
La disponibilità deve arrivare fino all'accettazione, anche, ad ogni momento, dell'ideale missionario, che la Regola presenta al francescano solo come facoltativo: «Una tale esclusione di riserve nella consacrazione di se stessi, per quel che riguarda l'alimentazione, il vestire, l'occupazione, lo stato (Fratello o Chierico?), il luogo (in patria oppure fra i nemici della fede, dove forse è in attesa una morte certa), e via dicendo. In una parola: non porre alcun limite, anche se dovesse capitare di morire di fame e di miseria sotto una siepe per l'Immaco­lata: ecco la caratteristica di Niepo­kalanów, benché la Regola non imponga di abbandonare la patria per andare in missione e inoltre le Costituzioni e le usanze legittima­mente stabilite prevedono tutta una serie di cose alle quali il religioso stesso ha certi diritti e che può rivendicare in forza di tali prescrizioni e consuetudini. Qui c'è dell'e­roismo, ma diversamente è difficile raggiungere lo scopo della M.I.».  
 
Di qui nascerà e si attuerà la proposta di un quarto voto, e cioè della completa disponibilità: «Il Sabato Santo (= nel 1932), ossia nel giorno dedicato alla nostra celeste Mammina, tutti noi religiosi professi presenti a Mugenzai no Sono abbiamo emesso il quarto voto (...). Gloria all'Immacolata per questa grande grazia. Mi sembra che, con il passar del tempo, a Niepo­kalanów non vi saranno professioni religiose senza l'aggiunta del quarto voto e sarà opportuno che i novizi vi siano espressamente ed esaurientemente preparati, in modo che se qualcuno volesse opporre delle difficoltà nell'impegno di vincolarsi a questo voto, non potrà essere ammesso alla professione nell'ambito di Niepo­kalanów. E questo non è altro che accogliere lo statuto della M.I. accanto alla Regola e alle Costituzioni, vale a dire lo spirito di Niepo­kalanów, che consiste nell'illimitatezza nel consa­crarsi all'Immacolata».  
 
Il quarto voto è giustificato proprio dal fine della M.I., e cioè dalla necessità di conquistare tutto il mondo all'Immacolata. Senza questo voto «che razza di esercito dell'Immacolata sarebbe questo (= della M.I.) quando nemmeno in un esercito ordinario si può concepire che il comandante debba chiedere ai singoli soldati quali posi­zioni essi gradiscano e quali non gradiscano, e abbia l'ob­bligazione di regolarsi secondo tale gradimento. Può, dunque, un membro di una Niepo­kalanów non obbligarsi ad essere disposto a tutto per l'Immacolata?». Inutile dire che questa volontà, che diviene «strumento» docile nelle mani dell'Immacolata, è solo e sempre per comunicare misericordia e grazia alle anime: «Io sot­tolineo - dice sempre P. Kolbe - ripetutamente la "Volontà dell'Immacolata", perché noi ci siamo consacrati a Lei senza limiti, perciò Ella ci dirige. Ma, se mi è concesso questo modo di dire, la Volontà di Dio e la Volontà dell'Immacolata non sono pienamente la stessa cosa, perché la Volontà dell'Immacolata è la volontà della misericordia (non della giustizia) di Dio, della quale l'Im­macolata è la personificazione. Perciò noi, in quanto stru­menti nella Sua mano, siamo al servizio non della giusti­zia che punisce, ma della conversione e della santificazione, le quali sono effetto della grazia - e quindi della misericordia di Dio - e passano per le mani di Colei che è Mediatrice di tutte le grazie. Di conse­guenza, come Ella è strumento perfettissimo nella mano di Dio, nella mano della misericordia divina, del Sacratis­simo Cuore di Gesù, così noi siamo uno strumento nella mano di Lei. E così, attraverso Lei siamo lo strumento del SS. Cuore di Gesù, vale a dire della misericordia di Dio. Perciò la nostra parola d'ordine è: "attraverso l'Immacolata al Cuore di Gesù"».  
 
Niepo­kalanów si fonda, oltre che sull'obbedienza eroica, anche su una povertà totale. Un'esigenza ancora più irrinunciabile e, comunque, ad ogni buon fine, sulla stessa linea dell'obbedienza eroica. Chi abita in Niepoka­lanòw non deve possedere nulla, perché gli stessi risparmi ottenuti da questa estrema parsimonia, servano all'aposto­lato, e cioè alla causa e al trionfo dell'Immacolata. Ma ascoltiamo come si esprime lo stesso P. Kolbe: per lui le due colonne fondamentali della «Città dell'Immacolata» sono l'Immacolata e la povertà: «L'Immacolata è il fine e la povertà è il capitale: ecco le due cose che Niepokala­nòw non può affatto, sotto nessun aspetto, abbandonare. Mentre, senza la povertà e senza la completa fiducia nella divina Provvidenza, non si può parlare di slancio, di offensiva». E perciò: «Chi si è consacrato a Lei in modo veramente perfetto, ha già raggiunto la santità e quanto più perfettamente si lascia condurre da Lei nella vita interiore (spirituale) e nella vita esteriore (l'attività apostolica), tanto più partecipa della santità di Lei.  
 
Perciò, un membro di Niepo­kalanów, per imitare l'Immacolata, limita le proprie necessità personali alle cose strettamente indispensabili, non cercando né comodità né divertimenti, ma di tutto egli si serve solo in quanto gli è necessario e sufficiente allo scopo di conquistare al più presto possi­bile il mondo intero e tutte le anime all'Immacolata». Come si vede, P. Kolbe esige, per coloro che vogliono essere nella Niepo­kalanów, uno sforzo e una tendenza decisa alla santità. Questa, infatti, è la santità: un'assoluta povertà effettiva e affettiva per e nell'amore; quella preci­samente realizzata dalla povertà, propriamente detta, e dall'obbedienza eroica, che è soprattutto povertà di spi­rito. Lo sviluppo di Niepo­kalanów dipende, in massima parte, dal grado di avvicinamento all'Immacolata: «Lo sviluppo di Niepo­kalanów dipende dal grado di avvicinamento all'Immacolata», non da pretese stabilizzazioni o ingrandimenti murari, ecc. ecc.  
 
Un tema eroico, come si vede, quello di Niepokala­nòw: eroica l'obbedienza e la disponibilità, eroica la povertà oltre, naturalmente, ad un amore eroico, sconfi­nato all'Immacolata, che rende possibili tutte le vette e tutti i successi. Un «eroismo» che, se non si può imporre a nessuno, è tuttavia l'unica «via» - afferma P. Kolbe - per il conseguimento dello scopo della M.I., e cioè della conquista del mondo intero all'Immacolata: «La nostra comunità ha un tono di vita un pochino eroico, qual è e deve essere Niepo­kalanów, se veramente vuole conseguire lo scopo che si è prefisso, vale a dire non solo difendere la fede, contribuire alla salvezza della anime, ma con un ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all'Immacolata un'anima dopo l'al­tra, un avamposto dopo l'altro, inalberando il suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, della stampa periodica e non periodica, delle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto su tutta la terra; inoltre vigilare affinché nessuno mai riesca a rimuovere questi vessilli. Allora cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, le eresie, gli ateismi, le massonerie e tutte le altre simili stupidaggini che provengono dal peccato».  
 
Che se, come è convinto P. Kolbe, si arriva allo scopo solo per questa via, è evidente che, per nessuna ragione, si può rinunziare all'ideale missionario e alla povertà assoluta: «Niepo­kalanów, con il suo vasto programma di conquista del mondo intero all'Immacolata, è subordinato al cap. XII della Regola e, sotto la minaccia della perdita della sua ragion d'essere e del tradimento del suo ideale, non può mutare il proprio fine, il quale altro non è che l'attuazione concreta dello scopo della M.I. Non si può scalfire neppure la sua caratteristica: la santa povertà, perché esclusivamente con questa carat­teristica francescana Niepo­kalanów può misurarsi con le tasche piene dei leccapiedi di satana; unicamente la cassa senza fondo della divina Provvidenza può coprire le colossali spese della battaglia per la conquista del mondo intero all'Immacolata».  
 
Che se Niepo­kalanów non può rinunciare alle sue caratteristiche, meno che mai può farlo per favorire comodi vantaggi dei Frati stessi. A proposito, egli ha parole di fuoco: «... molto importante è lo scopo della casa editrice, cioè che esso sia sempre lo sforzo per con­quistare all'Immacolata il mondo intero ed ogni singola anima (...), e mai quella maledetta "rendita" come (...) si immaginava uno dei nostri padri: "Non svilupparsi oltre, ormai le macchine sono più che sufficienti; d'ora in poi avremo la nostra rendita". Ecco, in questo modo si scambia il mezzo con il fine e il fine con il mezzo. Evidentemente, la prima conseguenza immediata è "non svilupparsi oltre": si perdano pure le anime, la stampa del diavolo si sviluppi pure in modo spaventevole e semini la miscredenza e il sudiciume morale, "noi avremo la nostra rendita"! Ecco un piccolo latifondo, anche se in diversa forma. È ovvio che in questo caso la maledi­zione del Padre S. Francesco dovrebbe precipitare anche su questo genere di fabbrica che garantisce un'esistenza tranquilla (...). La benedizione del cielo sarebbe allora la distruzione della fabbrica o la confisca dell'ignobile potere, affinché i "signori" Frati diventino poveri Frati Minori, e si mettano al lavoro per la salvezza delle anime...».  
 
La Niepo­kalanów è decisamente un «convento» o «comunità» che non può assolutamente equipararsi ad altre Comunità Francescane: «Lo scopo di Niepo­kalanów è la realizzazione dello scopo della M.I.; mentre gli altri conventi possono avere altri scopi sublimi e grandi, ma diversi». Si tratta di un convento - se così lo si vuol denominare - a forte specializzazione, del tutto adeguata ai tempi e alle circostanze: «Per conseguire lo scopo di Milizia dell'Immacolata ci vogliono religiosi a ciò completamente addetti, ci vogliono conventi e gruppi di conventi. I nostri tempi sono tempi di specializzazione, perché dunque la specializzazione in questa cosa sarebbe pericolosa, un altro Ordine? ...».  
 
Le conclusioni, da quanto detto, possono essere tante, e P. Kolbe non manca di sottolinearne almeno alcune. Così, per es., è evidente che chi non è fatto per questa vita «eroica» non può rimanere nella Niepo­kalanów: qui «vi possono lavorare esclusivamente coloro che si sono votati alla M.I. con tutta l'anima».  
 
Non solo, ma qui si affaccia anche un problema di giustizia. E, cioè: poiché le offerte inviate a Niepokala­nòw sono date per il preciso scopo della conquista del mondo all'Immacolata, nessuno che non sia disponibile per questo scopo, può mangiare il pane di Niepo­kalanów: «Chi non avesse la volontà di servire l'Immacolata, farà meglio ad abbandonare il suo recinto».  
 
Un seminarista, che non dimostrasse la speranza di formarsi da «milite dell'Immacolata», non può mangiare il pane acquistato con le offerte ricevute per la propa­ganda del culto all'Immacolata. Se non si forma ad amare l'Immacolata così ardentemente da non esitare davanti a nessuna cosa davanti a Lei, anche se dovesse sacrificare la propria vita chissà dove, lontano dalla patria, a causa della fame, del freddo, dell'arsura del sole del meridione, questo seminarista non può rimanere, non può studiare a Niepo­kalanów». E ancora, l'essenza della vita in Niepo­kalanów è l'obbedienza soprannaturale eroica «per­fetta all'Immacolata attraverso i Superiori. Chi non desi­dera essere perfetto su questo punto e non ha voglia di tendere ad esso con tutta l'anima non è adatto per Niepo­kalanów».  
 
Altra ovvia conclusione è che gli abitanti di Niepo­kalanów, dovendo possedere una formazione particolare, essa può aversi solo nella Niepo­kalanów stessa. Questa, perciò, necessita di propri seminari e luoghi di forma­zione: «Quello che soprattutto mi preoccupa è il fatto che alcuni Fratelli cominciano ad accostarsi a tale spirito (= mancanza di predilezione verso la povertà, ecc. ecc. da parte di qualche religioso presente nella Niepokalanów, senza spirito adeguato): epidemia interna. Si impone sempre più la necessità di una formazione dei Padri disposti a lavorare per la M.I. e la necessità di una scelta rigorosa, qualora si presentassero alcuni tra i Padri attuali». «La funzione di Niepo­kalanów è l'attuazione dello scopo della M.I., di conseguenza anche la prepara­zione dei lavoratori (Padri, Fratrelli) deve essere adeguata a tale fine», e perciò «I futuri lavoratori per la con­quista del mondo all'Immacolata si formino proprio a Niepo­kalanów e nello spirito di Niepo­kalanów, vale a dire nella consacrazione illimitata all'Immacolata». «Niepo­kalanów deve educare nel suo spirito e formare i futuri lavoratori nei "mestieri" più svariati, per mandarli poi, ben preparati sotto ogni aspetto, a conquistare il mondo per Lei, nelle Niepo­kalanów che si stanno fon­dando ora».  
 
3. La lotta alla massoneria  
 
«Centrali» della Milizia, volute quindi al preciso scopo di attuare lo scopo della M.I., le Niepo­kalanów si configurano, per loro stesse, come centrali di attacco e di contrapposizione a tutti i maneggi ed azioni della massoneria. In effetti, quanto abbiamo detto, generica­mente, a proposito della M.I., qui è concretizzato e vis­suto nell'ardore di una passione più intensa, più dirompente.  
 
Così il contrasto tra soprannaturale e naturalismo massonico, qui nelle «Città dell'Immacolata», si fa abis­sale, irriducibile. L'invito alla povertà, all'obbedienza alla legittima Autorità, allo spirito di iniziativa, qui diviene gioioso dovere, programma vissuto e attuato in mille proposte concrete e generose sperimentazioni. Il tutto, ancora una volta, in contrasto assoluto e radicale con la vita e l'atteggiamento dei massoni. Al libero pensiero e alla attuale autonomia si contrappone l'obbedienza totale all'Autorità; ai grossi capitali, condizionatori di re e di governi si contrappone una povertà, con una sconfi­nata fiducia nell'Immacolata: «La santa povertà è il capi­tale che permette a noi di misurarci con le più grandi potenze finanziarie dei protestanti, dei settari, degli atei, ecc., e del loro capo, la massoneria, perché la santa povertà è la cassa senza fondo della divina Prov­videnza».  
 
Alla più sfrenata autonomia della ragione e alla glori­ficazione del libero pensiero si contrappone qui l'obbe­dienza eroica che, in apparenza, sembra segnare quasi la fine e l'annientamento totale della libertà e, naturalmente, del pensiero che la fonda.  
 
Si tratta, evidentemente, delle armi più adeguate, più dirette: quelle che tagliano alla radice il male e il veleno, quelle che, soprattutto, sollecitano dal cielo la grazia che sconfigge l'inferno e i suoi alleati. Vedremo subito fino a che punto P. Kolbe ha imbroccato la via giusta, nella lotta contro la massoneria.  
 
Ma non è solo questione di santità di vita. Gli uomini delle «Città dell'Immacolata» sono anche diretta­mente e totalitariamente impegnati nell'azione contro la massoneria, azione organizzata che, qui, prende tutto il suo spessore. E, infatti: le «Città dell'Immacolata» devono essere fecondissime di iniziative, da prevenire e contrap­porsi a tutte le scellerate direttive e iniziative della masso­neria, sviluppando l'azione offensiva nello stesso campo politico e sociale, letterario e artistico, ecc.; e ricorrendo agli stessi mezzi, alle stesse armi. Ecco perché la «Città dell'Immacolata» è un cantiere di lavoro, di invenzioni, di iniziative. La stampa, i mass media vi occupano un posto preminente sia perché è proprio qui che opera, più particolarmente, la massoneria; e soprattutto perché è con tali mezzi che si arriva alla conquista e al dominio del mondo. È per questo anche che devono aversi «Città dell'Immacolata» in ogni parte del mondo. È così, infatti, che diviene più facile snidare e smascherare e combattere la «mafia criminale» massonica, che penetra ovunque e ovunque cerca di impadronirsi ed esercitare il suo potere.  
 
Inutile dire che l'immenso sforzo e ardore combat­tivo, spiegato in programma nella «Città dell'Immaco­lata», si alimenta di quell'amore all'Immacolata che è l'anima di tutta la M.I. e che qui raggiunge la punta più eccelsa; e tutto è voluto per la gloria di Dio e del­l'Immacolata e la salvezza delle anime. Mentre l'azione della massoneria si radica nel miraggio del potere o di altre effimere conquiste nel mondo e perciò è intessuta di intrighi, di imbrogli, di vessazioni, ingiustizie e com­promessi indegni.... Nelle «Città dell'Immacolata» l'amore purissimo all'Immacolata e per le anime non è e non può essere che irradiazione di luce e di grazia, di vita autentica e di gioia interiore.  
 
La massoneria ha avuto sentore di avere, contro di sé, un nemico «sui generis» ma deciso, come sempre è deciso e fattivo l'amore autentico?... Senza dubbio. Ne abbiamo prove nelle reazioni, avutesi un pò dovunque, alle iniziative prese dalle «Città dell'Immacolata»: reazioni rabbiose, meschine.  
 
«I nemici esterni, essendo i faziosi, i massoni, gli acattolici e gli anticlericali - scrive P. Ricciardi - per sventare le cui trame era sorta Niepo­kalanów, agirono con diabolica e perfida ostinazione, particolarmente quando Niepo­kalanów scese in campo con il "Maly Dziennik" ossia "Il Piccolo Giornale". Con il suo pro­gramma decisamente cattolico, con lo spirito antimasso­nico della M.I. era naturale che "Il Piccolo Giornale" eccitasse le ire degli avversari che ricorsero ad ogni forma di boicottaggio pur di arrestarne il successo e provocarne il fallimento». Quando si trattò di concedere il per­messo legale per il proseguimento delle trasmissioni della stazioncina radio a onde corte, installata a Niepo­kalanów il 7 dicembre 1938, si ebbe un rifiuto, perché si temeva - fu risposto - che «con le trasmissioni radio, Niepoka­lanòw destasse maggior chiasso ed entusiasmo che con il «Piccolo Giornale». Pagine ed episodi che, uniti a quelli innumerevoli di tutta la storia della Chiesa e delle anime, ci danno «un'idea» della grandiosità e terribi­lità dello scontro tra satana e la sua stirpe e la fatidica Donna con la Sua stirpe!  
OK

Maria Regina. Alba (TO) chiesa di Gesù Cristo Re

Cap. X - IL VALORE DI UNA RISPOSTA E DI UNA BATTAGLIA

 
Alla fine quasi di queste pagine, già troppo abbon­danti, non sarebbe impossibile sorprendere o cogliere sul volto degli immaginari nostri venticinque lettori, come un senso di ironico scetticismo e l'abbozzo di un tacito interrogativo: «tutto qui? ...». E, cioè, detto più chiara­mente e semplicemente: potrebbe far sorridere pensare o illudersi di poter sconfiggere dei nemici, quali la masso­neria, il marxismo, ecc. che nessuno, con mezzi ben più potenti e sofisticati, ha mai potuto sconfiggere del tutto. E possibile anche solo immaginare di impostare una lotta seria e impegnata con dei «mezzucci», quali la medaglia miracolosa, o la giaculatoria: «O Maria concepita ecc. ecc., pur presentandoli sotto il roboante appellativo di «armi», «cannoni», ecc. ecc.? Non si rischia di rinnovare un po', in tono minore, la «farsa» del tragicomico Don Chisciotte della Mancia e del suo fedele servitore?...  
 
Eppure, a parte il fatto che, nella suddetta figura si cela qualcosa di ben più grande di quanto appare a prima vista, è certo che così sarebbe, se le cose si vedessero e si ponessero sul puro piano umano. P. Kolbe ha ben avvertito la difficoltà di far comprendere il suo metodo e la sua strategia. Ecco come si esprimeva, per es., nel 1938: «Per comprendere più a fondo chi sia l'Immacolata, è assolutamente indispensabile riconoscere tutto il proprio nulla, decidersi a far un'umile preghiera per ottenere la grazia della conoscenza di Lei e far di tutto per esperi­mentare nella propria vita la sua bontà e la sua potenza. Vale la pena di tentare». E, scendendo ancora più, nei dettagli, scriveva ancora: «Lo scopo della M.I. è cosi difficile da conseguire che, se si facesse affidamento solo sull'energia, sull'attività e sullo sforzo provenienti dalla natura, si dovrebbe giustamente dubitare della possibilità di raggiungerlo. L'esperienza quotidiana, infatti, ci inse­gna che i nemici della Chiesa hanno mezzi naturali più abbondanti e sovente, secondo le parole di Cristo, sono più scaltri dei figli della luce (...). Inoltre, per ottenere la conversione e la santificazione è necessaria la grazia, mentre la natura corrotta è incline già per se stessa verso il peccato. Di conseguenza, si può contare soltanto su un aiuto dall'alto». Come si vede, P. Kolbe è ben lungi dall'essere un utopista, che vive tra le... nuvole!  
 
Per capire, allora, qualcosa della lotta intrapresa dal P. Kolbe, non si deve dimenticare che tutto si organizza e si svolge su un doppio binario, quello naturale e quello, soprattutto, soprannaturale: livello o binari mai volonta­riamente disgiunti e separati. E cioè: P. Kolbe parla di preghiera, di sofferenza, di grazia, ecc., di medaglie e giaculatorie, ma parla pure di organizzazione, di macchine modernissime, di mass media, di espansione e crescita a tutti i livelli, ecc. I due livelli, ripetiamo, non vanno mai separati, se non quando è Dio stesso a volerlo e permetterlo. È evidente che, per es., l'occupazione mili­tare della «Città dell'Immacolata», in Polonia, da parte delle truppe tedesche e la dispersione dei frati, ivi resi­denti, rese impossibile, o quasi, ogni azione materiale organizzata. Ma, aggiunge P. Kolbe, se la distruzione della «Città dell'Immacolata» dovesse segnare un aumento di amore. anche in un cuore solo, bisognerebbe parlare di vittoria e di espansione. La «Città dell'Immacolata» consta di strutture materiali e visibili, ma è soprattutto nei cuori.  
 
La valutazione, allora, dell'opera e del metodo di lotta di P. Kolbe va fatta appunto, tenendo conto di questo. Ciò supposto, ci si può domandare: sono validi, oggi, i mezzi e le strategie di lotta, suggeriti dal P. Kolbe? Anzi, è accettabile veramente quanto detto e fatto da lui?... La risposta, ci sembra, si debba articolare, a seconda che ci si rivolga a credenti in Dio e nella Chiesa cattolica, o a non credenti in tali realtà.  
 
È evidente che per coloro che non credono in Dio e nel soprannaturale, quanto detto e insegnato dal P. Kolbe rasenta il ridicolo. Un giudizio, tuttavia, o atteg­giamento che, onestamente, può e deve apparire per lo meno affrettato, di fronte ai risultati raggiunti, con i sud­detti metodi.  
 
Mezzi ridicoli?... Certo. Il fatto, però, è che P. Kolbe realmente è riuscito a conquistare il mondo, realmente ha portato ai piedi dell'Immacolata innumerevoli anime; realmente è riuscito a realizzare opere colossali. La buona logica non può, senza creare altri seri problemi, negare il nesso tra causa ed effetti conseguiti!  
 
Cosa dire, invece, a coloro che credono nei valori soprannaturali?... Si possono, certo, non accettare i pre­supposti dottrinali dai quali parte P. Kolbe. Prima però di rigettarli o di dichiararli fasulli, si dovrebbe, pur dare una spiegazione accettabile dei frutti conseguiti. Saranno i frutti a rivelare ai non credenti la piena validità di una impostazione di lotta; e saranno parimenti i frutti a per­suadere i credenti a... credere di più in tante affermazioni, apparse loro solo e troppo teoriche, mentre sono di una estrema concretezza e fecondità.  
 
Se tanti credenti e tanti teologi e predicatori e pastori, del nostro tempo, credes­sero un pochino di più nel soprannaturale, che pur predi­cano e insegnano; se sull'esempio di P. Kolbe, si avesse il coraggio di tirare tutte le conseguenze dai principi cre­duti e ammessi, si avrebbe nella Chiesa una rivoluzione meravigliosa. È la rivoluzione dei santi: di S. Francesco di Assisi, di S. Massimiliano Kolbe... È su queste pre­messe che tentiamo una valutazione critica dell'opera e del metodo di azione del P. Kolbe, nella sua lotta alla massoneria e a tutti i nemici della Chiesa.  
 
1. La verifica dei fatti.  
 
Sono i «fatti» che parlano. Al di là, cioè, di tutti gli argomenti o ironie, che possono farsi sulla validità o meno di un metodo di battaglia adottato, valgono le verifiche concrete. Nell'apostolato le cose si svolgono, un po', come nella scienza. Qui le ipotesi non assurgono al ruolo di teorie - pur con tutte le riserve da farsi - se non dopo sufficiente sperimentazione. Ho detto «un po'», perché, nel campo dell'azione libera dell'uomo, sono tanti i fattori, che possono sfuggire ad ogni controllo e verifica, per cui una rigorosa sperimentazione è quasi impossibile. E, tuttavia, è sufficiente e legittimo confron­tare il metodo di P. Kolbe alla luce dei fatti. Sono questi che rivelano la magnifica consistenza di un'idea e di una impostazione. E i fatti sono tanti: ne elenchiamo alcuni.  
 
a) Le «meraviglie» operate nelle due «Città dell'Im­macolata», in Polonia e in Giappone: incredibile crescita di uomini e di macchine, un lavoro immane portato avanti con sorprendente disinvoltura, anzi quasi sconcer­tante. Non c'è che da leggere le biografie dei più noti biografi del P. Kolbe per accertarsene. Le «meraviglie» operate, in così breve tempo e con mezzi così inadatti hanno sbalordito il mondo!...  
 
b) Le tante difficoltà superate: i Superiori che, giu­stamente, diffidano, e non intendono offrire alcun avallo, almeno all'inizio; la sorda opposizione da parte di parecchi confratelli, che, nell'opera di P.Kolbe, vi vedono la minaccia all'unità dell'Ordine e della Provincia; l'opera deleteria di alcuni religiosi, che non capivano l'ideale.  
 
Le enormi difficoltà esterne che si opponevano alla realizzazione dei «sogni» del P. Kolbe: ignoranza della lingua, la mancanza dei mezzi, i lunghi viaggi da affron­tare, il clima, spesso micidiale, nel quale devono vivere lui e i suoi compagni; i boicottaggi da parte soprattutto della massoneria, ecc.. Problemi di organizzazione, di economia, di apostolato, di diritto, ecc. Si pensi, per es., cosa doveva significare guidare una comunità di circa ottocento frati; i problemi organizzativi che comportava l'immensa mole di lavoro compiuto, ecc. Eppure tutto viene superato e vinto, come per incanto, pur se ciò esigeva uno spirito di sacrificio e di abnegazione a tutta prova. Ben consapevole di tutto ciò, P. Kolbe accen­nerà frequentemente alle difficoltà in atto e che si sareb­bero presentate. Così, per es., egli non cessa di esortare di far ricorso all'Immacolata soprattutto «nelle difficoltà esterne ed anche in quelle interiori, che sono ben più dure.  
 
Rendetevi conto del fatto che in missione non vi imbatterete soltanto, in difficoltà provenienti dall'am­biente, ma Iddio permetterà - alla sua maggior gloria e per manifestare ancora di più la bontà e la potenza dell'Immacolata - che voi passiate attraverso lo scorag­giamento, il dubbio, la nostalgia e così via»). Prean­nuncia, anzi, tempi duri: «A dir il vero, verranno anche le tempeste...»; «Sopraggiungeranno (...) difficoltà e contrarietà da superare (...). Ma da dove possono venire tali contrarietà? Bisogna essere preparati a riceverle da qualsiasi parte. Non parlo qui della fatica che sperimen­tiamo in ogni lavoro e neppure della lotta che ingagge­ranno con noi coloro per la cui salvezza eterna dovremmo combattere: a volte interpreteranno male le intenzioni e i propositi migliori (...) e lanciando le più false calunnie (...). Voglio parlare, invece, della persecu­zione alla quale ci possono sottoporre persone assennate, prudenti e perfino devote e sante (fors'anche iscritte nelle schiere della M.I.), e che magari si comportano in quel modo con la migliore delle intenzioni. In verità, ciò che fa soffrire maggiormente (...) è il vedere che qualcuno, per la maggior gloria di Dio e con il più grande fervore di cui è capace, ci taglia tutte le strade, rovina e cerca di distruggere ciò che costruiamo e perfino, in seguito, distoglie anche gli altri, insinuando il dubbio, seminando la sfiducia e l'indifferenza».  
 
b) Gli uomini prodotti. Gli uomini che si affidano al metodo educativo di P. Kolbe e ne sposano l'ideale di lotta, si trasformano, maturano. I «Fratelli Religiosi», in forte maggioranza, reclutati o presentatisi spontaneamente all'invito, immessi in un ritmo di lavoro e di vita singolare, danno prove non dubbie di una magnifica tra­sformazione interiore e sono pronti a tutto. Molti - dirà P. Kolbe, con tipica espressione - «sono oro puro». Si pensi, tra i tanti, a quel Fra Zeno, che diverrà, presto, in Giappone, quasi l'espressione più splendida di un cavaliere, in lotta per il suo ideale.  
 
d) La felicità comunicata a tutti coloro che sposano il suo ideale. Si tratta di felicità vera, che attinge le radici stesse dell'essere non di momentanee e dubbie commozioni. Felici nella povertà più squallida e nel freddo che fa intirizzire: felicità assolutamente scono­sciuta a massoni e ad altri eguali che, non raramente, pur disponendo di danaro e di tutti i mezzi e comodi, manifestano l'interiore loro travaglio e infelicità. Un contrasto che non può non impressionare, tanto più che costoro non cessano di esaltare la loro potenza e la loro assoluta libertà.  
 
e) La rabbia antimassonica... Ne abbiamo accen­nato già. P. Kolbe vi accenna più di qualche volta, non nascondendo quasi la sua soddisfazione: «Ormai - scrive una volta -, anche la rivista massonica Ameryka Echo comincia ad abbaiare contro ai noi: è un buon segno»  
 
f) Le conversioni ottenute: importanti e numerose. È vero, P. Kolbe non si preoccupa di convertire, ma solo di fare la volontà dell'Immacolata, sicuro di fare più e meglio: «E non preoccupiamoci di operare di più o più in fretta di quanto Ella desidera, poiché se agiremo secondo la Sua Volontà, faremo sicuramente il massimo e nel modo più rapido. Solo al giudizio di Dio verremo a conoscere quanti misteri di grazia si saranno avverati attorno a noi e quante persone si saranno salvate per mezzo nostro, senza che noi ce lo fossimo minimamente immaginato». Ma Dio gli diede la gioia di vederlo anche su questa terra, almeno in parte. Conversioni consolanti soprattutto in terra giapponese specialmente con il «Mugenzai no Seibo no Kishi» (= Il Cavaliere dell'Immacolata). P. Kolbe - si era nel 1937 - prima di presentare numerose lettere, dove si dicono le meravi­glie operate dall'Immacolata nelle anime dei giapponesi, in gran parte, pagani, così scriveva: Il Cavaliere iniziato nel 1930 «malgrado le difficoltà che continuamente si sovrapponevano le une alle altre, l'Immacolata gli ha per­messo di superare addirittura sei volte e in poco tempo la tiratura delle riviste cattoliche più diffuse in Giappone. Ciò è avvenuto per il fatto che il Kishi non si è rivolto, come in genere le altre pubblicazioni, ai cattolici, ma ai pagani, ai protestanti e agli altri non cattolici: da princi­pio costoro lo accoglievano con curiosità, poi con singo­lare simpatia, tant'è vero che ormai un buon numero di essi ha ricevuto perfino la grazia del santo bat­tesimo».  
 
g) I riconoscimenti venuti dagli stessi nemici. Sin­tomatico l'episodio di due ebrei che visitano la Niepoka­lanòw. Il più giovane di essi, narra P. Kolbe: «Dopo aver osservato attentamente la nostra vita, confessò: "Io sono comunista, però il comunismo autentico sta qui"».  
 
h) Riconoscimenti da tutto il mondo. Oggi sono numerosissimi gli enti, le associazioni, i clubs, ecc. che si sono messi sotto la protezione o che si ispirano agli ideali di P. Kolbe. Evidentemente il suo fascino è molto grande e il suo metodo di lavoro e di lotta si impone.  
 
i) Potremmo aggiungere, per concludere, il fattivo interesse suscitato, già in vita, in Polonia e nel mondo. Ce lo rivelano anche solo alcuni dati: nel solo anno 1937 sono arrivate a Niepo­kalanów, dalla Polonia e dal mondo, ben 750.000 capi di corrispondenza. Nello stesso anno sono affluiti più di 30.000 polacchi tra le file della M.I.; la Comunità Religiosa di Niepo­kalanów raggiungeva la cifra di circa 800 persone, provenienti da tutte le regioni polacche e anche dall'emigrazione polacca.  
 
2. In linea con la verità oggettiva.  
 
I copiosi frutti avuti provano la verità dei principi e delle premesse, da cui è partito P. Kolbe: e cioè, risponde a verità affermare che l'Immacolata è il segreto di ogni lotta vittoriosa; è verità che si può combattere vittoriosamente solo con l'abbondanza della grazia del cielo, più che con l'abbondanza dei mezzi naturali e umani; è vero che farsi strumento docile nelle mani del­l'Immacolata è come partecipare alla stessa onnipotenza, sapienza e bontà di Dio. Operare nel modo suggerito da P. Kolbe, è porsi, in poche parole, nel piano o pro­getto stesso di Dio.  
 
Da dire, soprattutto, che le premesse e i principi su cui P. Kolbe fonda la sua azione è sempli­cemente il Vangelo, con i suoi più essenziali valori. L'in­sistenza con cui invita alla consacrazione illimitata e incondizionata e a vivere nella povertà più radicale e nel­l'obbedienza eroica; non ha altra spiegazione che la sua fermissima adesione al Vangelo. E i valori inculcati non hanno altra radice che il Vangelo. E il Vangelo non è che ritorno all'umile riconoscimento del peccato e del bisogno di redenzione; è nobilitazione ed esaltazione della povertà di spirito che appella alla ricchezza e alla miseri­cordia di Dio; è obbedienza salvifica che ripara i guasti della disobbedienza di Adamo, dando via libera al prodi­gioso piano di amore; è invito alla purezza e alla trasparenza di spirito che permette di «vedere» Dio. P. Kolbe, insistendo sulla consacrazione all'Immacolata, sul­l'azione combattiva senza frontiere, ecc. ecc. ripristina, in pratica, il vero e concreto primato di Dio su tutto, quel primato così chiaramente predicato nel Vangelo ma che, rinnegato praticamente, oggi, in tante maniere, dà luogo a disastri senza fine.  
 
Il ritorno al Vangelo si impone con assoluta urgenza. È il Vangelo, infatti che ha vinto il mondo: è questa la nostra vittoria, la nostra fede. Il ritorno al vangelo è ritorno alla vita, alla vittoria della luce sulla tenebra, come avvenne, in maniera così eclatante, con Francesco d'Assisi. E P. Kolbe, rifacendosi al Vangelo, tornava pure, così, al francescanesimo più puro che, in chiave moder­nissima adatta ai tempi, rinnovava le meraviglie e successi degli albori, e moltiplicava le vittorie sull'inferno e sul male.  
 
E poiché è sulla «via» del Vangelo, P. Kolbe si muove, ovviamente, anche sulla «via» della verità, in genere, della natura umana. L'amore all'Immacolata, cioè, il culto della povertà e dell'obbedienza, ecc. non sono affatto estranei all'uomo, non lo degradano, ma rispon­dono misteriosamente alle sue più intime e profonde esi­genze. E, qui, non sarà male fermarsi brevissimamente sul punto, forse, più incompreso dai massoni o dai nemici della Chiesa: e cioè il farsi strumento nelle mani dell'Im­macolata nell'obbedienza totale.  
 
Si sa che, specialmente, i massoni - lo abbiamo visto - esaltano a spada tratta la libertà totale dell'uomo, la sua autonomia da ogni vin­colo e freno. Ma la libertà non può essere un feticismo assurdo, come in pratica pretendono i massoni. Secondo loro l'uomo non è veramente uomo, degno di questo nome, se non il giorno in cui avrà acquistata una coscienza chiara, forte, indipendente, autonoma, che non ha bisogno di maestri, che non obbedisce che a se stessa e capace di assumersi e di tenere, senza falli, le più gravi responsabilità. Ecco delle grosse parole con le quali si esalta il sentimento dell'orgoglio umano, come un sogno che trascina l'uomo, senza luce, senza guida e senza aiuto, nella via dell'illusione nella quale, in attesa del grande giorno della piena coscienza, sarà divorato dall'errore e dalle passioni (...) I santi che hanno portato all'apogeo la dignità umana, non avevano forse questa dignità? E gli umili della terra che non possono salire così in alto e si contentano di tracciare modestamente il loro solco nella linea assegnata loro dalla Provvidenza, compiendo con energia i loro doveri nell'umiltà, obbedienza e pazienza cristiana non sono degni del nome di uomini, essi che il Signore trarrà un giorno dalla loro umile con­dizione per porli in cielo fra i Principi del suo Popolo?».  
 
L'obbedienza all'autorità, su cui tanto batte P. Kolbe, è ritenuta incompatibile dai massoni, per i quali è pro­gramma abbattere ogni trono e ogni altare, instaurando il governo del popolo, equivalente, per lo più, ad anar­chia e confusione o spaventosa dittatura.  
 
Il papa S. Pio X, autore del lungo testo che abbiamo appena citato, diceva pure, a proposito della necessità del­l'autorità e della perfetta sua compatibilità con la libertà umana: «Non ha forse bisogno ogni società formata di creature indipendenti e dissimili per natura, di un'autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e che imponga la sua legge? E se nella società vi sono degli esseri perversi (e ve ne sono sempre) non dovrà forse l'autorità essere tanto più forte quanto più minacciante sarà l'egoismo dei cattivi? Inoltre, possiamo forse affer­mare, con un minimo di ragione, che vi è incompatibilità fra autorità e libertà, a meno che con ci si sbagli grande­mente sul concetto di libertà? Si può forse insegnare che l'obbedienza è contraria alla dignità umana e che sarebbe l'ideale sostituirla con «l'autorità acconsentita»? Forse che l'apostolo Paolo non guardava all'umana società e a tutte le sue tappe possibili, quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi ad ogni autorità? Forse che l'obbedienza agli uomini in quanto legittimi rappresentanti di Dio cioè, in ultima analisi, l'obbedienza a Dio umilia l'uomo e lo abbassa al di sotto di se stesso? Forse che lo stato reli­gioso, fondato sull'obbedienza è contrario all'ideale della natura umana? I santi, che sono stati gli uomini più obbe­dienti, furono forse degli schiavi e dei degenerati? Si può immaginare uno stato sociale nel quale Gesù Cristo, ritornato sulla terra, non darebbe più esempio di obbe­dienza, né si direbbe più: «Date a Cesare ciò che è di Cesare e date a Dio ciò che è di Dio?».  
 
È anche per questa profonda aderenza al Vangelo, alla verità naturale e soprannaturale teologica che P. Kolbe può parlare di assoluta certezza di vittoria nella battaglia contro i massoni e gli altri nemici della Chiesa. Egli arriva alla sfida, ma senza presunzione: «Nei Protocolli dei savi di Sion», vale a dire nel libro davvero fondamentale della massoneria, così essi scrivono di sé: «Chi o che cosa è in grado di far crollare una forza invisibile? La nostra forza è appunto di questo genere. La massoneria esterna serve per nascondere i suoi scopi, ma il piano d'azione di questa forza e perfino il luogo in cui essa si trova, saranno sempre sconosciuti alla gente». «Signori - risponde e commenta P. Kolbe - per vostra fortuna noi siamo in grado di far crollare addirittura una forza invisibile! Dico: «per vostra fortuna» poiché non avete l'idea di quanto sia dolce servire fedel­mente Dio e l'Immacolata.  
 
Io sostengo che noi siamo in grado di farvi crollare e vi faremo crollare. E perché, come?... continua P. Kolbe: «Noi siamo un esercito; il cui Condottiero, vi conosce ad uno ad uno, ha osservato e osserva ogni vostra azione, ascolta ogni vostra parola, anzi... nemmeno uno dei vostri pensieri sfugge alla sua attenzione. Dite voi stessi se in tali condizioni si può parlare di segreto nei piani, di clandestinità e di invisibi­lità. E il peggio (ma, per l'esattezza, il meglio per voi) è che siete messi così bene in scacco che potete fare soltanto quei movimenti che il nostro Condottiero vi permette in vista dei suoi scopi sapienti, e già da molto tempo sareste dovuti essere ridotti in polvere, se il nostro Condottiero avesse fatto solamente un cenno con la mano in segno di consenso, anzi soltanto a lui siete debitori del fatto che la terra vi stia ancora sopportando sulla sua superficie. Ecco quanto è misericordioso con voi. E sapete il perché? Perché il nostro Condottiero vi ama.  
 
Sapete come si chiama questo nostro Condottiero? E l'Immacolata, il rifugio dei peccatori, ma anche la debellatrice del serpente infernale».  
 
3. Una concezione dinamica della fede.  
 
Il segreto del successo di P. Kolbe e della sua vitto­riosa battaglia con i massoni e i nemici della Chiesa deve ritrovarsi, anche, nella sua particolare concezione della fede, che poi, d'altronde, è la sola autentica. E cioè egli è profondamente convinto, contro tutte le affermazioni dei nemici e anche di tanti tiepidi cristiani, che la fede investe tutto l'uomo, in tutte le sue manifestazioni e atti­vità. La fede non è solo teorica accettazione delle verità rivelate; non è neanche solo il vivere, nella propria perso­nale intimità, i fecondissimi rapporti con Dio e l'Immaco­lata: cosa, peraltro, quasi impossibile, giacché una idea profondamente incarnata e vissuta, come già facevamo notare, non può non spingere, prepotentemente, all'a­zione. Le idee «incarnate» o «ossessive» sono, tutte, idee­ e forze di sorprendente efficacia. P. Kolbe, volendo per la sua Milizia un ruolo di attacco e di conquista, vuole, in fondo, la cosa più logica, nel campo della fede e dell'a­more. È impossibile, cioè, credere fino in fondo alla potenza e all'amore dell'Immacolata, è impossibile amarLa sinceramente, senza voler efficacemente che regni anche su tutti i cuori. È impossibile credere e amare sincera­mente, senza volere che Ella trionfi dei suoi «nemici» e sia amata anche da essi, almeno finché possibile. È pre­cisamente questa dimensione di fede, troppo dimenticata da tanti, che, una volta riscoperta, plasma degli autentici «soldati», tutti presi dal fascino di una guerra santa, fatta soprattutto di amore.  
 
Inoltre, P. Kolbe sa bene che, nella guerra, l'attacco porta sempre, almeno inizialmente, dei vantaggi. Rinchiu­dersi in difesa dei domini e della morale, sotto i reiterati attacchi dei «nemici», se non è già una sconfitta, è per lo meno un grosso svantaggio. La difesa, presto o tardi, deve divenire per lo meno contrattacco, altrimenti finisce per cedere. E così, i successi di P. Kolbe appaiono anche risultato di una psicologica sicurezza, derivante, appunto, dal vivere fino in fondo, il proprio amore e la propria fede. «Il modo più efficace di convertire i Turchi - diceva anche Erasmo da Rotterdam - si avrà se essi vedranno risplendere in noi le parole e l'insegnamento di Cristo; se si accorgeranno che noi non desideriamo i loro imperi, i loro ori e i loro possessi, ma cerchiamo soltanto la loro salvezza e la gloria di Cristo. Questa è la teologia vera, genuina, efficace, che già una volta sottomise a Cristo la -superbia dei filosofi e gli scettri invitti dei principi. Se agiremo così e solo così, Cristo stesso sarà in noi». Un'idea che, in P. Kolbe, è dive­nuta una bandiera e un programma e un metodo di lotta.  
 
E ancora, concezione dinamica della fede, in quanto intesa anche come ininterrotto sforzo di superamento, di tendere alle vette e ai vertici dell'amore, rinnovando, così, una delle più affascinanti caratteristiche del Medioevo, calunniato da tanti, ma pur sempre epoca di autentico progresso e di vita e per la Chiesa e per l'umanità in genere. Nel Medioevo, afferma la Pernoud, profonda conoscitrice di tale epoca, «vi è uno spirito di dépasse­ment, di superamento di se stesso, che trasmette un mes­saggio e una lezione valida per ogni epoca». L'uomo deve sempre trascendere l'uomo, per assicurarne la gran­dezza e la gloria. L'uomo, appiattito all'orizzonte della terra e soddisfatto nei suoi bisogni di piccolo borghese, non merita quasi più di vivere. P. Kolbe ripropone, nella sua Milizia, ideale di lotta e di vittoria, anche l'uomo nella più genuina sua grandezza!  
Quanto detto sembra portare ad una conclusione limpida e incontrovertibile: la M.I. è una «via» infallibile di vittoria sui nemici, nonostante la pochezza apparente dei suoi mezzi, perchè poggia graniticamente sulla fede e sull'amore soprannaturale. Una concezione, ancora una volta, profondamente aderente alla realtà e alla verità, sicché P. Kolbe non ha esitato a presentarla, oltre tutto, come una vera e propria concezione di vita cristiana: «La Milizia dell'Immacolata (...) è una visione globale di vita cattolica sotto forma nuova, consistente nel legame con l'Immacolata, nostra Mediatrice universale presso Gesù».  
OK

 

CONCLUSIONE

 
Nonostante le vicissitudini di tempi ed eventi, che distanziano già parecchio dalla figura e dall'azione di P. Kolbe, il suo programma combattivo resta, ci pare, sostanzialmente valido, e suscettibile di ottimi sviluppi ed applicazioni. Un programma valido per tutti gli uomini e per tutte le situazioni, perché fondato su un realismo teologico e umano, che nulla può inficiare. L'Immacolata, anello principale che raccorda Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo, resta eterno. L'apostolato, ogni apostolato, lo si voglia o no, lo si sappia o no, si svolge «attraverso» l'Immacolata. Noi «dipendiamo (...) dall'Immacolata per il fatto che Dio vuole - come affer­mano i Padri - che noi riceviamo tutto dall'Immacolata. La nostra dipendenza da Maria è maggiore di quanto noi possiamo immaginare. Tutte le grazie, assolutamente tutte, noi le riceviamo da Dio attraverso l'Immacolata, che è la nostra Mediatrice universale presso Gesù».  
 
Programma sempre valido, perché i presupposti, le armi e i mezzi e le finalità di ogni apostolato legittimo sono sempre gli stessi. Chi opera e vince il male princi­palmente non è l'uomo con i suoi mezzi e risorse personali di natura, ma la grazia di Dio. Troppo grande e insidioso è il male perché l'uomo possa farvi fronte e vincerlo da solo! Più si punta, allora, sulla grazia; più si insiste sui mezzi che la ottengono e la alimentano e la moltiplicano, più l'apostolato diviene incisivo, fecondo, prodigioso. Più si guarderà all'Immacolata, come alla necessaria mediatrice di questa grazia, più facilmente e brevemente e integralmente si otterrà vittoria sui nemici. Si tratta di presupposti o di verità eterne che, malaugura­tamente, sotto spinte le più diverse e sconcertanti, l'uomo tende a dimenticare o a deprezzare, con troppa fretta e facilità.  
 
Il programma di lotta e la lotta stessa, portata eroica­mente avanti dal P. Kolbe, per anni, con tutto l'ardore e con tutti i mezzi, si rivela così, pure, un pressante invito a tutti i «soldati» di Cristo a riscoprire l'ebbrezza della donazione, e dell'abbandono alla grazia, al sopranna­turale, con l'Immacolata, nell'Immacolata e attraverso l'Immacolata. Un apparente rischio, per l'uomo e la natura, di scomparire, di passare in sott'ordine; chance, invece, privilegiata e certissima di superamento, di vitto­ria e di successo.  
 
I tempi che viviamo - tra i più dissacrati e laicizzati, ad opera soprattutto della massoneria e suoi adepti - sembrano i più adatti per una riscoperta che, decisiva per P. Kolbe, lo sarà non meno per tutta la Chiesa di Dio, sempre alle prese - e oggi più che mai -, con i nemici e il male. È di questo, in fondo, che parlava P. Kolbe quando, a proposito della sua Milizia, la voleva «trascendentale» più che universale. Tutto, infatti, dipende, dallo spirito che anima e lievita la Chiesa nella sua azione e nella sua vita!  
 
F I N E  
 
P. Antonio M. Di Monda O.F.M.Conv. - CASA MARIANA - FRIGENTO (AV) 1986  
 
 
 
2022-09-17
Autore : P. Antonio M. Di Monda O.F.M. Conv.
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