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Il concetto di "pace duratura e giusta" di Papa Benedetto XV
il Papa nei tempi della prima guerra mondiale
Il concetto di "pace duratura e giusta" di Papa Benedetto XV
“La pace sia con voi!” – sono queste le prime parole del Signore Gesù risorto rivolte ai discepoli. Ma come si può fare la pace quando si è assistito a così tante ingiustizie, crudeltà e torti? Quando i ricordi della guerra sono ancora vividi? Come possiamo realizzare concretamente una pace che sia “giusta” e “duratura”?
Questi problemi occupano attualmente i pensieri di tutti coloro che vorrebbero porre fine alla guerra appena oltre il nostro confine orientale o in Terra Santa. Sorge spontanea la domanda: può il Magistero della Chiesa essere d'aiuto in questa materia così delicata?
La guerra accompagna l'umanità fin dall'alba dei tempi. La pace “totale” nel mondo temporale è impossibile. Tuttavia, gli stati, o meglio i politici e i monarchi che li governano, dovrebbero cercare di organizzare le loro relazioni reciproche in modo tale da evitare conflitti.
Tuttavia, quando la guerra è irrevocabile, essa deve essere – almeno secondo l’insegnamento del Magistero – giusta, cioè condotta con lo scopo di ristabilire la pace, l’ordine e la giustizia. Come ha sottolineato Sant'Agostino, che fu testimone delle invasioni delle tribù barbariche nelle province dell'Impero romano e persino della presa di Roma stessa da parte dei Visigoti nel 410.
Quando il motivo del conflitto è l'orgoglio e l'avidità, peccati che sono la fonte di ogni iniquità, allora abbiamo a che fare con una rapina (guerra ingiusta).
Una guerra difensiva è giusta, ma in questo caso una particolare responsabilità morale ricade su chi detiene il potere, che si assume l'onere di decidere se dare inizio al combattimento, tenendo conto delle capacità dello Stato.
Nel XIII secolo, San Tommaso d'Aquino affermò che è lecito intraprendere una guerra dichiarata da un governante (divieto di guerre private) se ha una giusta causa e una giusta intenzione. Solo una guerra che doveva condurre al bene e alla massima prevenzione del male poteva essere considerata "morale".
San Raimondo di Peñafort, nella sua "Summa de casibus", seguendo Lorenzo di Spagna, definì cinque criteri di una guerra giusta, sottolineando che i guerrieri secolari devono essere guidati da buone intenzioni, non dall'odio o dall'avidità.
A questa eredità fecero riferimento Baldo degli Ubaldi e Guglielmo di Rennes, a cui fece riferimento anche il canonista Paweł Włodkowic nel famoso e innovativo Concilio di Costanza del XV secolo, criticando l'operato dei Cavalieri Teutonici.
Sempre nel XIII secolo, sotto l'influenza di papa Innocenzo IV, sostenitore delle Crociate in difesa della Terra Santa, la dottrina emergente del diritto dei popoli si espanse fino a includere la questione della liceità di attaccare i popoli pagani.
Innocenzo IV nella sua opera "Apparatus Decretallium" indicò chiaramente che "i cristiani non hanno il diritto di privare i pagani dell'autorità sul loro territorio, né possono essere privati dei loro beni con il pretesto di diffondere la fede cristiana".
Il Papa proibì le guerre di conquista, oggi diremmo guerre imperiali, anche se il sovrano giustificava ciò con la necessità di convertirsi al cattolicesimo. Il Santo Padre permise solo la difesa della Terra Santa, verso la quale si recarono numerosi pellegrinaggi.
Innocenzo fu spesso menzionato dall'eminente avvocato polacco, canonico del capitolo della cattedrale di Wawel e primo rettore dell'Università di Cracovia, restaurata nel 1400, Stanislao di Skarbimierz. Il Papa ha fatto riferimento alla legge naturale, riconoscendo il diritto al potere e ai beni, nonché la pacifica convivenza di tutti gli uomini creati a immagine e somiglianza di Dio. Queste opinioni, benché criticate nell'Europa medievale, tra gli altri da Enrico di Susa, lasciarono un segno profondo nella mente di molti.
Stanisław di Skarbimierz, uno dei fondatori della scuola internazionale polacca, cita il Libro dei Proverbi: "Non discutere ingiustamente con nessuno, a meno che non ti abbia fatto del male". Egli sottolinea che «poiché, secondo l'insegnamento di Salomone, non si dovrebbe combattere contro una singola persona senza una causa legittima (sine causa legitima), tanto meno contro un intero stato, regno, principato o comunità».
Il canonico ammonisce i governanti a verificare sempre se una guerra è giusta, perché solo una guerra del genere sarebbe giustificata. “Pertanto, nessun re o principe cominci a combattere contro un regno senza una ragione, perché avrà Dio e la legge contro di lui”, afferma.
Una guerra è giusta solo se è condotta da un laico e non da un chierico, se è "combattuta per recuperare beni o difendere la patria", se c'è "una causa legittima, cioè se è condotta per necessità di stabilire o ristabilire una pace turbata", se è "combattuta non per odio, per cupidigia o per vendetta, ma per zelo della legge di Dio, per motivi di carità, di giustizia e di obbedienza". È giusta se «è combattuta per autorità della Chiesa, soprattutto se la lotta è in difesa della fede o con il consenso di un superiore».
In caso di attacco esterno, la comunità ha il diritto perfettamente legittimo di difendersi. Stanisław sottolinea tuttavia che anche se un altro sovrano attacca un determinato paese senza motivo e poi offre un risarcimento per i danni arrecati "secondo le indicazioni di arbitri onesti", il combattimento non può continuare.
In risposta all'argomentazione secondo cui la guerra non dovrebbe essere mai scatenata, nemmeno se è una guerra giusta, l'autore suggerisce che in passato i conflitti armati ci sono sempre stati. La Bibbia riporta molti casi simili. Nel libro dell'Esodo è scritto: «Io [il Signore tuo Dio] sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
Leggiamo: "Qualcuno potrebbe anche dire che è scritto: Un figlio non è responsabile del peccato di suo padre. Risponderei che un figlio porta il peccato di suo padre, e un suddito porta l'ingiustizia del governante o del governatore, [ma solo] in relazione alla pena temporale, non a quella eterna, fisica, e non in relazione all'anima", scrive l'autore del "Sermone sulla guerra giusta".
Stanisław ci ricorda che «nessun peccato può restare impunito, perché la punizione viene inflitta o da Dio o dagli uomini».
Benedetto XV – “Guidò la Chiesa nella confusione della guerra”
Più vicino ai nostri tempi, papa Benedetto XV, il cui pontificato cadde durante gli anni della prima guerra mondiale (1914-1922), sviluppò il concetto di una pace duratura e giusta.
Benedetto XV – come nessun altro papa – cercò di definire i requisiti specifici di una pace giusta che avrebbe posto fine a una delle guerre più sanguinose della storia mondiale.
All'epoca circa due terzi dei cattolici vi erano coinvolti. Di loro 124 milioni combatterono dalla parte della Triplice Intesa, e 64 milioni dalla parte della Triplice Alleanza.
L'arcivescovo di Bologna Giacomo Della Chiesa, eletto papa il 3 settembre 1914, pochi mesi dopo essere stato creato cardinale, era considerato dai critici un modernista fortemente influenzato dal cardinale Mariano Rampolli, segretario di Stato sotto Leone XIII.
In letteratura viene spesso definito il "papa sconosciuto". Meno di un decennio fa, lo storico tedesco Michael Hesemann fece luce sull'enorme coinvolgimento di Benedetto XV e della sua diplomazia nel salvare gli armeni dal genocidio.
Il cardinale Joseph Ratzinger decise di porsi in continuità con lui assumendo il nome di Benedetto XVI.
Egli elogiò “il Venerabile Papa Benedetto XV, che guidò la Chiesa durante la confusione causata dalla prima guerra mondiale” per essere stato “un coraggioso e vero profeta di pace, che con grande coraggio ha fatto tutto il possibile: prima per evitare la tragedia della guerra, e poi per limitarne gli effetti disastrosi”.
I polacchi sono particolarmente grati a Benedetto XV per il suo attivo sostegno al nostro Paese durante l'invasione bolscevica del 1920. In precedenza, nell'ottobre 1918, Papa Benedetto XV aveva inviato un "Messaggio alla nazione polacca" con gli auguri per la "resurrezione della Polonia". Nell'estate del 2019 la Santa Sede stabilì relazioni diplomatiche ufficiali con la Seconda Repubblica Polacca.
Neutralità papale
Questo Papa, nella sua prima enciclica del 1° novembre 1914 – “Ad Beatissimi Apostolorum”, chiese la cessazione delle ostilità. Non prese posizione nel conflitto, osservando che
"Tutti gli uomini furono liberati dalla servitù del peccato da Gesù Cristo, che per loro offrì il prezzo del suo
sangue; né v’è alcuno che sia escluso dai vantaggi di questa redenzione. Onde il divino Pastore può ben dire che,
mentre una parte del genere umano la tiene già avventuratamente accolta nell’ovile della Chiesa, l’altra Egli ve la sospingerà dolcemente: «Ho altre pecore che non sono di quest’ovile; occorre che io le conduca, e ascolteranno la mia
voce»".
Allo stesso tempo, deplorava lo stato dell'Europa e del mondo intero, la "miseranda condizione della civile società", che "lo spettacolo che presenta l’Europa, e con essa tutto il mondo, spettacolo il più tetro forse ed il più luttuoso nella storia dei tempi". «Sembrano davvero giunti quei giorni, dei quali Gesù Cristo predisse: «Sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre… Infatti si solleverà popolo contro
popolo, e regno contro regno» (Mt 24,6-7). Il tremendo fantasma della guerra domina dappertutto, e non v’è quasi altro pensiero che occupi ora le menti."
Vedendo "Nazioni grandi e fiorentissime" combattere tra loro, usare "le più recenti arti della guerra", utilizzare "quegli orribili mezzi che il progresso dell’arte militare ha inventati" e distruggere infrastrutture, causando miseria e oppressione, il Papa implorò "Principi e Governanti affinché, considerando quante lagrime e quanto sangue sono stati
già versati, s’affrettassero a ridare ai loro popoli i vitali benefìci della pace".
Disse a coloro che avevano nelle loro mani il destino degli Stati che "altre vie certamente vi sono, vi sono altre maniere, onde i lesi diritti possano avere ragione".
Benedetto XV indicò anche le cause dei conflitti bellici e della confusione generale, notando che questo era avvenuto "da quando si è lasciato di osservare nell’ordinamento statale le norme e le pratiche della cristiana saggezza, le quali garantivano esse sole la stabilità e la quiete delle istituzioni".
La scristianizzazione progredì. "I disordini che scorgiamo sono questi: la mancanza di mutuo amore fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia dei rapporti fra le varie classi sociali, il bene materiale fatto unico obiettivo dell’attività dell’uomo, come se non vi fossero altri beni, e molto migliori, da raggiungere. Sono questi a Nostro parere, i quattro fattori della lotta, che mette così gravemente a soqquadro il mondo.", osservava nell'enciclica.
Per sradicarli, la società umana dovrebbe ritornare a una vita conforme ai principi cristiani e all'amore per il prossimo. E sebbene molto sia stato detto sulla fratellanza tra gli uomini; e non si è esitato a esaltare questa fratellanza, a prescindere dal Vangelo e a dispetto di Cristo e della Chiesa, come uno dei più grandi doni che l'umanità moderna abbia elargito; "La verità però è questa, che mai tanto si disconobbe l’umana fratellanza quanto ai giorni che corrono", concludeva.
Il Papa condannava l'odio basato sulla nazionalità e l'odio di classe, la mancanza di rispetto per l'autorità, uno "sfrenato spirito di indipendenza unito ad orgoglio" che porta al disprezzo dei diritti, ai disordini di massa e "l'audacia di criticare qualsiasi ordine". Rimproverò i governanti per essersi allontanati dalla "santa religione di Gesù Cristo", notando che "allorquando chi regge i popoli disprezza l’autorità divina, i popoli a loro volta scherniscono l’autorità umana".
Tuttavia, egli scriveva che «la cupidigia è la radice di tutti i mali» e che se questa non fosse sradicata «è vano sperar di conseguire l’oggetto dei nostri voti, vale a dire la tranquillità stabile e durevole negli umani rapporti».
Nel suo celebre discorso durante il concistoro del 22 gennaio 1915, Benedetto XV deplorò che la guerra non fosse ancora finita. Allo stesso tempo sottolineò l'importanza dell'imparzialità: la "neutralità papale".
Egli ricordò che «a nessuno è lecito, per qualsivoglia motivo, ledere la giustizia». In quanto Papa di Roma, «che da Dio è costituito supremo interprete e vindice della legge eterna» egli condannò «ogni ingiustizia, da qualunque parte possa essere stata commessa».
Aggiunse: «Ma coinvolgere l’autorità pontificia nelle contese stesse dei belligeranti, non sarebbe in verità né conveniente né utile. Chiunque giudichi
ponderatamente, non può certo non vedere che la Sede Apostolica in questa lotta immane, pure essendo nella più grande preoccupazione, ha da mantenersi perfettamente imparziale; poiché il Romano Pontefice, in quanto Vicario di Gesù Cristo che è morto per tutti e singoli gli uomini, deve abbracciare in uno stesso sentimento di carità tutti i combattenti; in quanto poi è Padre comune dei cattolici, ha da una parte e dall’altra dei belligeranti gran numero di figli, della cui salvezza dev’essere ugualmente e indistintamente sollecito».
«È quindi necessario ch’Egli riguardi in essi non gl’interessi speciali che li dividono, ma il comune vincolo della Fede che li affratella; se facesse
altrimenti, non solo non gioverebbe affatto alla causa della pace, ma, il che è peggio, creerebbe avversioni ed odî alla religione ed esporrebbe a gravi turbamenti la stessa tranquillità e concordia interna della Chiesa».
Il Papa quindi chiarì di non volere che i governi dei singoli Paesi cercassero in alcun modo di fare pressione su di lui affinché appoggiasse una delle due parti in conflitto, indipendentemente dal fatto che fosse stata attaccata per prima o meno.
Egli si limitò a rivolgere richieste supplichevoli a «coloro che varcarono i confini delle nazioni avversarie, per scongiurarli che le regioni invase non vengano devastate più di quanto sia strettamente richiesto dalle ragioni dell’occupazione militare, e che, ciò che più conta, non siano feriti, senza vera necessità, gli animi degli abitanti in ciò che han di più caro, come i sacri templi, i ministri di Dio, i diritti della religione e della Fede».
«Riguardo poi a quelli che vedono la loro patria occupata dal nemico, intendiamo benissimo quanto debba riuscir loro gravoso lo star soggetti allo straniero. Ma non vorremmo che la bramosìa di ricuperare la propria indipendenza, li spingesse
specialmente ad intralciare il mantenimento dell’ordine pubblico, e a peggiorare perciò di gran lunga la loro condizione».
Quindi cosa dovremmo fare in una situazione del genere? Secondo il Papa, «non perché tante e sì gravi angustie Ci turbano, dobbiamo per questo abbatterCi di animo; anzi, quanto più buio si presenta l’avvenire, con tanta maggiore fiducia
accostiamoci al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Ebr 4, 16)».
«È quindi necessario, come già prescrivemmo, rivolgere insistenti ed umili preci al Signore, che, com’è padrone ed arbitro sovrano degli eventi umani, così
può ai suoi infallibili disegni indirizzare Egli solo, per quelle vie che meglio Gli piacciano, i voleri degli uomini. Né si dica che senza un consenso e un permesso di Dio la pace abbia esulato dal mondo; Iddio permette che le genti umane, le quali avevano posto ogni pensiero nelle cose di questa terra, si puniscano, le une le altre, con mutue stragi, del disprezzo e della noncuranza con cui Lo hanno trattato».
Il Santo Padre incoraggiò tutti a pregare insieme affinché le persone possano ottenere la grazia di Dio.
Benedetto XV fece appello alla pace anche nell'esortazione apostolica "Allorché fummo chiamati" del 28 luglio 1915.
Nel discorso al Sacro Collegio del 6 dicembre dello stesso anno, "Nostis profecto", parlò di "una pace giusta, duratura e non profittevole ad una soltanto delle parti belligeranti".
Il Papa sottolineò che è necessario uno «scambio di idee: diretto o indiretto» e siano «esposte finalmente con chiarezza e debitamente vagliate le aspirazioni di ciascuno, eliminando le ingiuste ed impossibili e tenendo conto, con equi compensi ed accordi se occorra, di quelle giuste e possibili».
«Naturalmente, come in tutte le controversie umane che vogliano dirimersi per opera dei contendenti medesimi, è assolutamente necessario che da una parte e dall’altra dei belligeranti si ceda su qualche punto e si rinunzi a qualcuno degli sperati vantaggi; e ciascuno dovrebbe far di buon grado tali concessioni, anche se costassero qualche sacrificio, per non assumere, innanzi a Dio e agli uomini, l’enorme responsabilità della continuazione d’una carneficina di cui non vi ha esempio, e che, prolungata ancora, potrebbe ben essere per l’Europa il principio della decadenza da quel grado di prospera civiltà, al quale la religione cristiana l’aveva innalzata».
"Ai leader delle nazioni in guerra"
Tuttavia, è stato nell’esortazione “Dès le début” del 1° agosto 1917 – come nessun altro papa aveva mai fatto prima – che Benedetto XV formulò condizioni specifiche per raggiungere una pace giusta e duratura.
L’esortazione, in cui il Papa si rivolge direttamente ai “capi delle nazioni belligeranti”, ricorda che fin dall’inizio della guerra il Vaticano aveva cercato di mantenere la neutralità, ovvero «una perfetta imparzialità verso tutti i
belligeranti, quale si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli».
«Uno sforzo continuo di fare a tutti il maggior bene che da Noi si potesse, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di religione, come Ci dettano e la legge universale della carità e il supremo ufficio spirituale a Noi affidato da Cristo».
«Infine la cura assidua, richiesta del pari dalla Nostra missione pacificatrice, di nulla omettere, per quanto era in poter Nostro, che giovasse ad affrettare la fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro Capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una "pace giusta e duratura" ».
Benedetto XV insistette affinché la guerra terminasse il più presto possibile, affinché il "mondo civile" non fosse ridotto a un "campo di morte".
«In sì angoscioso stato di cose, dinanzi a così grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, né per soggerimento od interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune dei fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l’opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell’umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le
sorti delle Nazioni».
«Ma per non contenerCi sulle generali, come le circostanze ci suggerirono in passato, vogliamo ora discendere a proposte più concrete e pratiche ed invitare i Governi dei popoli belligeranti ad accordarsi sopra i seguenti punti, che sembrano dover essere i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando ai medesimi Governanti di precisarli e completarli».
In primo luogo, auspicò: «sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto».
Quindi indicava che fosse necessario concludere «un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell’ordine pubblico nei singoli Stati; e, in sostituzione delle armi, l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo le norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di
accettarne la decisione».
«L’accordo sul disarmo e l’arbitrato aiuterebbe a stabilire lo “stato di diritto”, a ripristinare il passaggio delle vie di comunicazione e “con esse la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso».
Quindi bisognava far fronte ai danni e alle spese di guerra. A questo proposito Benedetto XV scrisse che «quanto ai danni e spese di guerra, non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di una intera e reciproca condonazione, giustificata del resto dai beneficii immensi del disarmo; tanto più che non si comprenderebbe la continuazione di tanta carneficina unicamente per ragioni di ordine economico. Che se in qualche caso vi si oppongano ragioni particolari, queste si ponderino con giustizia ed equità».
Riteneva che la necessità di una "restituzione reciproca dei territori attualmente occupati" fosse fondamentale per concludere accordi di pace. I tedeschi dovevano quindi abbandonare il Belgio, a cui doveva essere garantita la piena indipendenza politica, militare ed economica da qualsiasi potenza, nonché i territori francesi. Anche le colonie tedesche dovevano essere restituite in egual misura.
«Per ciò che riguarda le questioni territoriali, come quelle ad esempio che si agitano fra l’Italia e l’Austria, fra la Germania e la Francia, giova sperare che, di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura con disarmo, le Parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, come abbiamo detto altre volte, delle
aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del grande consorzio umano».
Per raggiungere una pace giusta e duratura, «lo stesso spirito di equità e di giustizia dovrà dirigere l’esame di tutte le altre questioni territoriali e
politiche, nominatamente quelle relative all’assetto dell’Armenia, degli Stati Balcanici e dei paesi formanti parte dell’antico Regno di Polonia, al quale in particolare le sue nobili tradizioni storiche e le sofferenze sopportate, specialmente durante l’attuale guerra, debbono giustamente conciliare le
simpatie delle nazioni».
Questi erano le "precipue basi" sui quali avrebbe dovuto "posare il futuro assetto dei popoli". Il Papa auspicava che ciò impedisse il ripetersi di simili conflitti e preparasse il terreno per «la soluzione della questione economica, così importante per l’avvenire e pel benessere materiale di tutti gli stati belligeranti».
Il Santo Padre chiese che si ponesse fine al più presto a «questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage».
Le condizioni presentate per porre fine alla guerra dovevano costituire un punto di partenza per discussioni diplomatiche tra le parti in conflitto.
Il 19 settembre 1917 il cancelliere tedesco inviò una risposta deludente alla Segreteria di Stato vaticana. I tedeschi non avevano alcuna intenzione di ritirarsi – come insistevano gli inglesi – dal Belgio prima dell’inizio dei negoziati anglo-tedeschi che avrebbero avuto lo scopo di esaminare tutte le questioni in sospeso, mentre l’Austria non avrebbe accettato di cedere Trento.
Anche Francia, Russia e Italia risposero in modo poco chiaro alla nota papale. La Gran Bretagna assunse una posizione sfumata. Il 27 agosto il presidente statunitense Woodrow Wilson rispose che era impossibile negoziare con la Germania imperiale.
La proposta papale venne quindi respinta. Le potenze dell'Intesa ritenevano che fosse troppo favorevole per i paesi della Triplice Alleanza, mentre questi ultimi la ritenevano non sufficientemente equilibrata per loro. Inoltre, il paragone tra la guerra in corso e una "inutile strage" suscitò non poco scalpore nell'opinione pubblica.
Nonostante il fallimento diplomatico, l'azione e le proposte di Benedetto XV contribuirono a coinvolgere nuovamente il Magistero della Chiesa nelle questioni della guerra e della pace giusta.
La Santa Sede aiutò tutte le vittime della guerra. A livello diplomatico, si impegnò nella promozione della pace, mediando allo stesso tempo lo scambio di prigionieri di guerra e, attraverso una schiera di volontari – composta da sacerdoti, monaci e monache – raccolse dati sui caduti, sui feriti sui campi di battaglia e sui dispersi, per fornire informazioni alle loro famiglie.
Gli aiuti umanitari vennero forniti tramite legati papali e varie reti di volontari. I cappellani militari erano impegnati su entrambi i fronti del conflitto, prendendosi cura dei bisogni spirituali dei soldati e incoraggiandoli nei momenti più difficili.
Il papato non ebbe alcun ruolo ufficiale nella stesura dei trattati di pace dopo la fine della prima guerra mondiale – il precedente accordo segreto del Trattato di Londra lo aveva impedito – ma monsignor Bonaventura Ceretti della Segreteria di Stato era presente ai negoziati di Versailles. Il suo compito era quello di fornire garanzie per le proprietà e il culto ecclesiastico nelle ex colonie tedesche. Riconoscendo che le missioni non dipendono dalle nazioni da cui provengono i missionari, ma dalla Santa Sede, i partecipanti ai colloqui di pace confermavano il suo ruolo sovranazionale.
La Chiesa cattolica stabilì rapidamente relazioni con le amministrazioni appena istituite. Nel 1918 Benedetto XV ordinò al suo nunzio a Vienna di "stabilire relazioni amichevoli con le varie nazionalità dell'Austria-Ungheria che avevano fondato stati indipendenti". Il Papa sottolineò che la Chiesa è «una società perfetta, il cui unico scopo è la santificazione degli uomini di tutti i tempi e di tutti i paesi; come si adatta alle diverse forme di governo, così accetta senza alcuna difficoltà le legittime aspirazioni politico-territoriali dei popoli».
Quando Benedetto XV salì al soglio pontificio, solo 14 stati avevano rappresentanti ufficiali presso la Santa Sede. Quando lasciò questa terra, il Vaticano manteneva relazioni diplomatiche con 27 paesi. Riprese, tra gli altri, i rapporti con la prima “figlia della Chiesa”: la Francia. Il 16 maggio 1920 il Papa canonizzò Giovanna d'Arco.
Il concetto di una pace duratura e giusta formulato da Benedetto XV – come abbiamo potuto vedere – non era soddisfacente per tutte le parti in conflitto. Tutti hanno dovuto rinunciare a qualcosa, anche coloro che hanno combattuto una “guerra giusta” difensiva. Umanamente parlando, la “vittima” ha dovuto cedere ad alcune richieste dell’aggressore.
Tuttavia, il Papa guardava la cosa da un punto di vista diverso. Temendo che ogni giorno successivo di "massacro" avrebbe portato danni enormi all'umanità intera e alla Chiesa, chiese la conversione, il perdono dei rancori e il ripristino delle relazioni. Parlò dell'amore difficile e della pace, il cui cammino passa attraverso la sofferenza e – dal punto di vista umano – persino attraverso l'ingiustizia.
Benedetto XV chiedeva la pace che nasce da un profondo cambiamento del cuore, dall’amore perfetto che ci viene ricordato dalla croce, che risplende nella luce del mattino di Pasqua.