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L'ideologia transumanista
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Transumanesimo: la coda di paglia della volontà di potenza

 
 
Il transumanesimo, così come già esplicitato dal nome, è una dottrina contemporanea la quale pretende di poter oltrepassare la condizione umana proponendosi il raggiungimento di quest’obiettivo attraverso l’utilizzo di tecnologie applicate alla biologia. In questa fantasiosa dottrina s’immagina la possibilità di una transizione dall’umano al cyborg in cui «gli umani devono diventare cyborg se vogliono rimanere rilevanti in un futuro dominato dall’intelligenza artificiale», quantomeno così afferma con sicurezza il miliardario di origine sudafricana Elon Musk.  
 
Un altro filone di questa bislacca narrativa consiste nell’immaginare la possibilità di una trasmigrazione della personalità nel cloud elettronico-informatico, come nel film Transcendence, del 2014, in cui il protagonista, il dottor Will Caster, nel tentativo di creare un computer quantistico senziente, carica la propria coscienza in rete. Gli adepti del transumanesimo chiamano questa «trascendenza» non trascendente con il termine di «Singolarità», preso in prestito dalla cosmologia.  
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Dietro la facciata tecno-fantascientifica del transumanesimo sembra però celarsi l’ennesimo culto New Age della modernità in cui, la speranza della sopravvivenza dell’anima dopo la morte, viene sostituita da quella della perpetuazione della sola vita corporea senza alcun intervento divino se non quello di una nuova divinità, ossia un’incarnazione della volontà di potenza che viene da alcuni detta tecnologia o «scienza», ma che scientia non è.  
 
Sembra, infatti, che nella dottrina New Age del transumanesimo vi siano proprio quei tipici errori logici che confliggono, apertamente, con un concetto di scienza basata su criteri razionali e sperimentalmente validi.  
 
Innanzitutto viene ritenuto che la coscienza (o l’essenza della persona) risieda unicamente nel cervello e questa è già una scissione meccanicista ed arbitraria tra corpo e mente con cui si appiattisce la res cogitans come se questa fosse solo un aspetto o manifestazione della res extensa. Inoltre, fino a quando non sarà possibile dimostrare concretamente l’ipotesi secondo cui una mente possa effettivamente darsi fuori da un corpo, l’astrazione tecnologica di questa in una macchina rimarrà tuttalpiù un’ipotesi o un’asserzione priva di riscontro fattuale e, dunque, priva di scientificità, data la stretta relazione necessaria tra scienza ed evidenza.  
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Ora, anche ammettendo la possibilità di quest’ipotesi della trasmigrazione della mente ad una macchina, la congettura successiva di poter trasferire la personalità umana, la memoria ed altri caratteri che determinano la soggettività, dall’individuo ad un apparato cibernetico, confligge anche con i paradigmi fondamentali della meccanica quantistica, ossia di una delle punte più avanzate del pensiero scientifico.  
 
Per molti versi questo è lo stesso paradosso del teletrasporto nella serie televisiva di fantascienza Star Trek: scomporre una persona a livello atomico in un luogo e ricomporla in un altro significa, sostanzialmente, ammazzarla nel punto A e ricomporne il corpo nel punto B. Inoltre, poiché la meccanica quantistica stabilisce l’impossibilità fisica di poter conoscere con esattezza tutti gli stati di un sistema a livello subatomico, la ricomposizione di una persona da un punto A ad un punto B, oppure il trasferimento ad un apparato cibernetico, risulterebbe in un disastro per il malcapitato di turno che verrebbe ricomposto in uno stato non coincidente con quello precedente.  
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RIFIUTO DELLA FINITEZZA  
 
Un altro aspetto psicologico dell’ideologia transumanista del potenziamento cibernetico dell’essere umano manifesta una fondamentale immaturità incapace di accettare la vita nella sua caducità o, come direbbe Sigmund Freud, dall’irrealistica regressione dell’immaturità psichica la quale rifiuta di accettare la fondamentale finitezza dell’esistenza.  
 
Il terrore ed il rifiuto psicologico della morte provengono anche da una visione del mondo in cui troneggia un’ideologia del nulla (nichilismo) e dell’assenza di una finalità cosmica nell’esistenza. Gilles Lipovetsky, in un libro del 1983 intitolato L’ère du vide, annunciando un’epoca del vuoto, affermava che è proprio il vuoto a governarci, anche se è «un vuoto privo del tragico o dell’apocalittico».  
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In sostanza, secondo questi discorsi, l’epoca contemporanea sarebbe governata da un ipotetico nulla. Quanto farebbe però bene ai proponenti di queste tesi ripassare un po’ di filosofia e scoprire, si spera, vecchi principi secondo cui il nulla non ha alcun potere attivo o, come insegnava l’Aquinate con uno splendido passaggio logico del De aeternitate mundi, una cosa può iniziare ad agire solo dall’istante in cui essa esiste, «in quocumque instanti ponitur res esse, potest poni principium actionis eius».  
 
Ray Kurzweil (nella foto sotto), altro guru del transumanesimo il quale ci ha già offerto perle del non-pensiero contemporaneo come The Singularity is near (2005) o How to create a mind (2012), nonché fondatore della Singularity University finanziata dai censori di Google, ha offerto uno scorcio su quest’ideologia demenziale con cui si propone all’individuo la completa cessazione del proprio essere: «Una volta entrati nella Singolarità smetteremo di essere creature inermi e primitive, macchine di carne limitate nei pensieri e nell’azione dal corpo che costituisce il nostro attuale sostrato. La Singolarità ci permetterà di superare queste limitazioni dei nostri corpi e cervelli biologici. Acquisiremo potere sul nostro stesso destino. La nostra mortalità sarà nelle nostre mani». L’ultima frase in particolare testimonia, con una chiarezza inaudita, il delirio della volontà di potenza che pervade i discorsi di questo culto New Age del transumanesimo.  
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L’individuo contemporaneo contempla, stupefatto, la potenza della tecnica che egli prende in prestito per spianare montagne o costruire monumentum aere perennius e questo, se da una parte fomenta le tante illusioni della volontà di potenza, dall’altra inculca una radicale debolezza psicologica e materiale nel soggetto che si abbandona a questi sogni o incubi. Quando tutto ciò che rimane nella vita è il desiderio di qualcosa, l’appagamento fisico, il raggiungimento di un fine materiale, questo determina un essere umano che, contrariamente alla dichiarazione di Gesù di fronte alla tentazione del Maligno (Matteo 4,4), crede con tutto se stesso che si viva di solo pane.  
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L’ideologia transumanista, considerata “apice della modernità”, ha radici lontane

 
Un’ideologia come quella transumanista, la quale propone se stessa come apice della modernità e dei suoi tanti orpelli e gadget tecnologici ha, com’è spesso in questi casi, radici lontane. Senza volerci soffermare sul biblico eritis sicut deus con cui il serpente dell’Eden tenta la coppia primordiale con il sogno dell’onnipotenza (Genesi 3,5), si può dichiarare che le sue radici moderne si situano tra Seicento e Ottocento, da René Descartes al De La Mettrie con l’Homme–Machine (1748), passando per il Frankenstein di Mary Shelley (1818), fino ad arrivare a Charles Darwin (1859) ed all’Übermensch (homo superior) di Friedrich Nietzsche (1878), per limitarsi solo ad alcuni riferimenti possibili e senza voler considerare l’elemento eugenetico e quanto questo ha rappresentato nelle ferali ideologie tra Ottocento e Novecento. Quest’ultimo è, però, un aspetto di questo culto New Age da continuare a tenere sotto osservazione.  
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L’homo cyber del transumanesimo è tanto l’Homme–Machine del De La Mettrie quanto il prometeico mostro di Frankenstein, insomma la creazione di un’antropologia al tempo stesso fantascientifica e pseudofilosofica sorta da narrazioni e discorsi retrodatabili di almeno quattro secoli che viene però spacciata, attraverso la traduzione fantasmagorica del transumanesimo, come l’ultimo grido dell’innovazione tecnologica contemporanea. Può però darsi, come accennato, una tecnologia che prescinda dalla logica e dalla scienza?  
 
Si ha, qui, anche l’impressione che si voglia porre la tecnologia al posto dell’evoluzione, passando dall’umano ad una traduzione di questo in apparati tecnologici che, per loro costituzione, sono l’opposto dell’umano ed un mero sottoprodotto della mente umana. La macchina è, poi, sempre soggetta a miglioramento o potenziamento (enhancement) tecnico, ma l’errore è qui anche quello di interpretare un potenziamento quantitativo con uno qualitativo: un occhio bionico potrà forse aumentare la quantità di cose raggiungibili dalla vista, ma non la qualità dello sguardo.  
 
Questo è un tema anch’esso radicato nelle categorie della modernità tecnologico-capitalista la quale ritiene che tutto sia una questione di quantità di cui disporre e di posizionamento gerarchico nell’ordine dei poteri e quanto più si procede su questa strada, tanto più difficile diventa intendere queste differenze sostanziali. La qualità non è definibile quantitativamente poiché qualità e quantità sono due categorie diverse e, sovente, anche contrarie. Esser «primi», esser «più capaci», esser «i più bravi» non significa, poi, ancora essere.  
 
DALL’UMANO AL «POSTUMANO»  
 
Max More che, per oltre nove anni, è stato presidente ed amministratore delegato della società di crioconservazione dei cadaveri Alcor Life Extension Foundation, ha postulato cosa significhi «diventare postumani», ossia «oltrepassare le limitazioni che caratterizzano gli aspetti meno desiderabili della “condizione umana”. I postumani saranno liberi dalle malattie, dall’invecchiamento, dall’ineluttabilità della morte».  
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Oltre a trascurare, ancora una volta, l’inesorabile legge fisica dell’entropia la quale determina, tra l’altro, anche la decadenza della materia organica, si commette qui anche un grave errore logico che, ad orecchie sospettose, potrebbe anche apparire come una chiara mistificazione per motivi d’interesse. In una tra le prime interpretazioni del culto del transumanesimo, uno degli obiettivi con implicazioni commerciali è, per l’appunto, quello dell’ibernazione del cadavere accompagnata dalla promessa tecnologica secondo cui la medicina del futuro possa trovare una soluzione alla causa del decesso scongelando, a quel punto, il morto per risuscitarlo. C’è però, qui, una parte logica gravemente mancante perché da una parte si parla di «cause del decesso» e, dall’altra, di conservazione del corpo deceduto.  
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Quando si congela un cadavere e poi lo si scongela, anche se tra 400 o 4000 anni, questo sempre morto rimane. Oppure a qualcuno è mai capitato di congelare un pollo e poi, dopo averlo rimosso dal freezer, questo si è messo a saltellare per casa? Come si può ignorare un tale elemento fondamentale? Eppure questa enorme fallacia non impedisce ad un certo numero di persone di continuare a pagare delle salate quote mensili all’Alcor Life Extension Foundation la quale può solo garantire il congelamento del cadavere di questi poveretti, un po’ come acquistare una costosa tomba criogenica mentre la Alcor promette un’«estensione della vita» a partire da morti…  
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La volontà di potenza su un mondo che si vuole trasformare secondo capriccio

 
 
La modernità, nonostante i suoi grandi proclami, ha sostanzialmente riaperto la strada al delirio della volontà di potenza che si trasforma, poi, nella volontà di onnipotenza dei vari programmi con cui si vuol sostituire la soggettività umana al divino.  
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Ludwig Feuerbach, ne L’essenza del cristianesimo (1841), aveva già proclamato che «gli esseri umani dovrebbero credere a se stessi invece che in un riflesso del proprio essere», ossia l’uomo è l’essere supremo per l’uomo, un tema che, se vogliamo, potremmo far già risalire al presocratico Senofane ed alla sua critica dell’antropomorfismo religioso.  
 
Nel 1996, in Francia, Luc Ferry utilizzerà proprio il titolo di L’homme-Dieu, ou Le sens de la vie, nel quale l’autore, coerentemente con le teorie ottocentesche di Feuerbach, «mostra come il lungo processo di ritiro del divino dal nostro universo sociale e politico si riveli, alla fine, un processo di sacralizzazione dell’uomo stesso che porta a nuove forme di spiritualità».  
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In questo contesto intellettuale viene pubblicato, nel 2015, Homo Deus di Yuval Noah Harari, l’ennesimo manifesto di ubbie varie dell’epoca contemporanea, con le solite ripetizioni di antichi luoghi comuni, il cui titolo scarsamente originale è indicativo dell’antica patologia della volontà di potenza a lungo combattuta dalla teologia e dal pensiero filosofico ma diventa, nell’epoca della conoscenza, uno dei copioni alla moda per i tanti pappagalli del transumanesimo.  
 
In questo testo l’autore si trastulla con dichiarazioni quali: «Non siamo soddisfatti quando conduciamo un’esistenza pacifica e prospera. Piuttosto, diventiamo soddisfatti quando la realtà corrisponde alle nostre aspettative».  
 
Ossia, come per ogni malato di mente che si rispetti, la nostra «soddisfazione» psicologica coincide con il soggiogamento della realtà alla volontà! Oppure: «La reazione più comune della mente umana ai risultati raggiunti non è la soddisfazione, ma il desiderio di ottenere di più» e qui torna in mente la nota canzone di Jovanotti del 1994 «voglio di più… non mi basta mai…».  
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È ovvio come tali dichiarazioni solletichino particolarmente gli appetiti di coloro affetti dalla patologia del tiranno che, per l’appunto, non si accontenta mai e vuole sempre proiettare la propria volontà di potenza sul mondo trasformandolo secondo capriccio.  
 
Non è allora casuale che le strampalate teorie di Harari abbiano destato l’attenzione e l’interesse di ristretti circoli oligarchici contemporanei, elevandolo come relatore di spicco al Fondo Monetario Internazionale con la signora Christine Lagarde seduta accanto come moderatrice, oppure al World Economic Forum di Davos ed altri consessi affini.  
 
Del resto, anche in questo caso, continua a valere il vecchio motto secondo cui: i simili si accompagnano con i loro simili (similes cum similibus facillime congregantur).  
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Se, da una parte, ci sono gli sragionamenti vari del transumanesimo che, poi, altro non è se un’ideologia del trapasso della tecnica dall’oggetto tecnologico (cosa), all’umano, dall’altra vi stanno i ragionamenti che, da tempo, ammoniscono contro la presa di comando della meccanizzazione (Siegfried Giedion) o il mito della macchina (Lewis Mumford). Tra questi è Jacques Ellul, con il libro La società tecnologica, ad aver offerto l’analisi critica più pungente ai deliri tecnocratici dell’epoca contemporanea.  
 
Uno degli argomenti contrari proposti da Ellul è quello sulla rimozione della scelta individuale dai processi di automazione in cui la sola direzione imposta diviene quella «a favore delle tecniche che offrono la massima efficienza», una sorta di principio evolutivo tecnologico che strizza l’occhio ad altri assiomi politici come quello del neoliberismo in cui si dichiara che non vi è alternativa (there is no alternative) all’ideologia che questo propaga e rende dominante. Una ben curiosa sincronicità.  
 
Nel contesto dell’ideologia del potenziamento dell’efficienza, l’essere umano rapportato alla macchina viene considerato inefficiente e, in casi estremi, anche obsoleto. Se, però, ci fermiamo ad analizzare meglio questo concetto di «efficienza» ci rendiamo conto che è proprio l’umanità stessa, sotto la luce di quest’ideologia della modernità, ad apparire quantomeno problematica o esplicitamente «superflua». Pensiamo al caso di un vecchio dibattito sui «minutemen», quegli operatori dentro i silos militari con testate nucleari che, ricevuto l’ordine, hanno il compito di scatenare un olocausto nucleare lanciando manualmente i missili intercontinentali balistici.  
 
Il Pentagono si chiese quanti di questi militari ben addestrati avrebbero davvero eseguito l’ordine di lancio e, con il semplice giro di una chiavetta, sterminato milioni di altri esseri umani dall’altra parte del globo. Vennero allora condotte delle simulazioni e si scoprì che l’efficienza della morte era alta, ma non completa, perché alcuni di quei soldati, durante l’esercitazione che per loro rispondeva invece al vero, non se la sentirono, nonostante gli ordini, di avere qualche milione di morti sulla coscienza.  
 
L’umano è, dunque, «inefficiente» rispetto alla macchina che non ha, invece, alcun problema ad eseguire un comando il cui risultato è quello della distruzione del pianeta.  
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La macchina ha cicli di operatività che conducono all’obsolescenza ed è da qui che prende spunto il transumanesimo, dalla mentalità tecnologica applicata alla specie umana da cui si pretende l’ipotetica necessità di un superamento dell’umano nel transumano.  
 
Le speculazioni ed i vaneggiamenti dei transumanisti si inseriscono, evidentemente, su questa scia concettuale e, considerando l’essere umano tanto inefficiente quanto antiquato, proprio per questo sognano di caricarlo dentro un marchingegno tecnologico. Per persone ragionevoli questo «caricamento» dentro una macchina, quantunque possibile, apparirebbe già come una forma d’imprigionamento più raffinata e crudele.  
 
Un altro quesito che sorge, a questo punto, è chiedersi se sia soltanto la coscienza a rappresentare un problema all’efficienza che costoro hanno in mente o se non sia anche la stessa razionalità umana? Non è forse anche questo il motivo per cui la società tecnologica genera una razionalità strumentale contraria ad una ragione che ingloba la pietas e l’humanitas? Una razionalità che, nel libro L’Ultima dea d’Occidente, lo scrivente ha definito come prisca ratio.  
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Il soggetto efficiente, se vuol far bene il proprio lavoro deve ripetere, senza titubare, dei protocolli prestabiliti, senza porsi alcuna domanda o frapporre la propria umanità tra sé e l’obiettivo prestabilito: sia questo l’imbarco di passeggeri in un aereo o il lancio di un missile termonucleare!  
 
Non era, del resto, proprio questa la difesa di molti gerarchi nazisti i quali, rendendosi colpevoli di genocidio, dichiararono di aver invece semplicemente «eseguito degli ordini»? Quello che qui emerge è un livello di estraneazione psicologica che stravolge la psicologia individuale fino a condurre, in molti casi, alla ricerca di sostegni farmacologici, psicotropi o altre fughe da una realtà che non riconosce più l’individuo come tale.  
 
Vi è, infatti, un altro aspetto del transumanesimo che è, poi, quello etico ed è, forse, il più preoccupante. L’essere umano visto come cosa può anche venire disposto come tale.  
 
Qualunque visione del mondo che tratti l’essere umano come «disponibile», a «disposizione» di una tecnologia, di una teoresi qualsiasi o di un’ideologia politica, è sostanzialmente nemica dell’individuo in quanto tale e la storia sta proprio lì ad insegnarlo. Che dire, allora, di una teoresi la quale si pone quale presupposto il superamento effettivo dell’essere umano? Un superamento verso dove?  
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David Pearce, uno dei fondatori del movimento transumanista ha scritto: «Se vogliamo vivere in paradiso, dovremo progettarlo da soli. Se vogliamo la vita eterna, allora dovremo riscrivere il nostro codice genetico pieno di bug e diventare come un dio».  
 
Paul Claudel aveva però già ammonito che «Quando l’uomo cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando un inferno molto rispettabile». Un ammonimento, però, chiaramente inascoltato dai transumanisti e da quelli che ne ascoltano le chimere.  
 
Sergio Caldarella1  
 
1 Saggista ed epistemologo italo-americano autore di testi di filosofia, sociologia ed epistemologia pubblicati in Italia e all’estero  
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2022-07-16
Autore : Sergio Caldarella Fonte : informazionecattolica.it
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