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La S. Messa in rito antico e in rito nuovo (parte 1)
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L'autore di questo ciclo di articoli è Padre Francesco Pio M. Pompa, dei Frati Francescani dell’Immacolata di Frigento, una riforma francescana fondata da P. Stefano M. Manelli. Il Padre Pompa è morto improvvisamente il 24 gennaio 2008 a Cagliari, colto da un infarto all’età di 43 anni.  
 
Ringrazio il sito di Fede e Cultura per averlo raccolto e diffuso.  
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La S. Messa in rito antico e in rito nuovo (parte 1)

 
La Santa Messa è il vero e proprio Sacrificio della Croce compiuto dall’unico ed eterno Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. Aspetto sacrificale e cristologico sono più esaltati nella forma liturgica antica che in quella moderna, in cui, invece, è evidenziato, in modo particolare, l’aspetto conviviale della Celebrazione.  
 
“Nella Messa Tridentina si pone l’accento sulla verità centrale secondo la quale la Messa è un Sacrificio, Sacrifi­cio sacra­mentale1, Sacrificio che si realizza sotto i segni sensibili del pane e del vino consacrati, Sa­crificio riferito a quello della Croce (anticipato nell’Ultima Cena), quale atto supremo di culto divino, al fine di lodare e ringraziare Dio, dal quale riceviamo tutto2.  
 
Il Sacrificio, dopo il pecca­to, ha anche una finalità propi­ziatoria di riconciliazione con Dio3, mediante l’atto supremo di obbedienza di Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini4, obbedienza fino alla mor­te di Croce5, per sod­disfare per i nostri peccati, in quanto il peccato è disobbedienza6.  
 
Conseguentemente, il Sa­crificio eucaristico è anche un Sacrificio di impetrazione di tut­te le grazie necessarie per la no­stra salvezza7, di impetrazione per i vivi e i de­funti, per la Chiesa e per tutto il mondo, in particolare per chi viene celebrata la Messa, per chi la celebra, per chi vi partecipa.  
 
Il fine della Liturgia, comunque, non solo per la S. Messa, non è quello di costituire un’assemblea o di esaltare l’assemblea, di fare uno spettacolo, di organizzare una festa, di imbandire una semplice cena, di ingigantire l’aspetto conviviale, di esclusivizzare la dimensione del banchetto. La nuova Messa mette più che altro in luce la parte inte­grante della Celebrazione euca­ristica, ossia la Comunione, con il risultato che il Sacrificio vie­ne spesso sbiadito e la celebrazione è trasformata largamente in ciò che si può chiamare un pasto: «la Cena del Signore».  
 
Martin Lutero, in effetti, rinnegò apertamente e chiaramente la natura sacrifica­le della Santa Messa. Almeno, in un primo momento i prote­stanti, per non turbare i fedeli semplici, non eliminarono subi­to tutte quelle parti del Sacrifi­cio che esprimono la fede vera in contrasto con le loro nuove dottrine. Essi conservavano, per esempio, l’elevazione del­l’Ostia tra il Sanctus e il Bene­dictus. Per Lutero e i suoi seguaci il culto consisteva principal­mente nella predicazione desti­nata ad istruire e ad edificare, interrotta da preghiere e da inni. Ricevere la Comunione era solo una cosa secondaria.  
 
Cionono­stante Lutero sosteneva ancora la Presenza di Cristo nel pane al momento della Comunione, ma negava fortemente il Sacrificio della Messa. Egli accentuava l’aspetto conviviale, il banchetto. Noi sappiamo che il Sacrificio della Croce, e quindi quello, “per anti­cipazione”, dell’Ultima Cena, e quello sacramen­tale “per commemorazio­ne” (la Santa Messa), è compiuto dall’unico ed eter­no Sommo Sacerdote, Gesù Cristo8.  
 
Nella Messa Tridentina, ce­lebrata da un solo sacerdote, ri­salta chiaramente questo a­spetto cristologico della Santa Messa. Il sacerdote è media­tore tra Dio e gli uomini, ministro di Cristo: è lui che offre i doni (vittima), che consacra, che compie il Sacrificio; solo grazie alla sua azione il Sacerdozio, essen­zialmente distinto da quello dei fedeli”9, viene attuato ed esercitato, ed è reso efficace.  
 
Pertanto, il Canone (Romano) è una preghiera esclusivamente sacerdotale che vie­ne recitato, per la maggior parte, a bassa voce, eccetto il canto (o recita ad alta voce) del Prefa­zio e del Pater noster. Il Canone è il centro della Messa, intesa come un Sacrifi­cio. Secondo la testimonianza del Concilio di Trento, il Cano­ne stesso risale alla tradizione degli Apostoli ed era sostan­zialmente già completo ai tempi di Gregorio Magno (anno 600).  
 
La Chiesa Romana non aveva mai avuto altri Canoni. Il passo stesso del «mysterium fi­dei» nella formula della Consa­crazione è un’antica tradizione che Innocenzo III testimonia esplicitamente in una risposta data all’Arcivescovo di Lione. Anche san Tommaso d’Aquino dedica un articolo della sua Summa Teologica alla stessa giustificazione del «mysterium fidei». Ed il Concilio di Firenze confermò esplicitamente il «mysterium fidei» nella formu­la della Consacrazione. Nella nuova Messa il «mysterium fidei» è stato elimi­nato dalle parole della Consa­crazione e posto subito dopo di essa per suscitare l’acclamazione dei fedeli.  
 
Parimenti è stato ac­cordato il permesso di usare al­tri Canoni. Il secondo (il più corto, che non menziona il ca­rattere sacrificale della Messa) ha, di fatto, soppiantato del tut­to l’antico Canone Romano.  
 
Nella Messa antica, secon­do le disposizioni del Concilio di Trento, il Canone Romano veniva letto in silenzio, allo scopo di sottolineare la gran­dezza del Sacrificio divino e l’atteggiamento di silenzio, di raccoglimento e di compartecipazione dinanzi a quel Sacrificio.  
 
Co­sa che è stata abbandonata nel­la Messa moderna con la dizione del Canone ad alta voce. La Concelebrazione, limi­tata dal Concilio Vaticano II ad alcuni casi e che non può veni­re mai imposta ai singoli sacer­doti10, non aiuta, di per sé, a percepire l’unicità del sacerdote il quale non è mai soltanto un “presidente” (dell’assemblea). Essa fa risaltare, invece, l’unicità del Sacerdozio intorno al Ve­scovo, specialmente il Giove­dì Santo, ma non deve diventare una comoda abitudine che, peraltro, priva i fedeli del beneficio della Santa Messa distribuita in più luoghi e orari.  
 
Dall’esaltazione dell’aspetto conviviale o dell’aspetto sacrificale, scaturiscono le principali differenze tra Liturgia moderna e Liturgia antica: nella Messa tridentina, infatti, tutto converge verso il Sacrificio di Cristo, nella Messa post-conciliare tutto converge verso il Banchetto eucaristico.  
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Nella Messa tridentina il sa­cerdote cele­bra su un alta­re sacrificale che è rialzato, è in posizione sopraelevata, rispetto al pia­no dei fedeli, in quanto rappre­senta il monte Calvario, la collina del Golgota.11  
 
Secondo gli studi ben fon­dati di mons. Klaus Gamber, nelle antiche Basiliche romane e altrove, il criterio dell’antica posizione non era che l’altare dovesse essere rivolto verso l’assemblea dei fedeli, ma che piuttosto dovesse essere girato verso l’Oriente, simbolo del so­le nascente che rappresenta Cri­sto, Colui che si doveva adora­re.  
 
La posizione tutta nuova dell’al­tare (così come la posi­zione del sacerdote verso il popolo, vietate una vol­ta) divengono oggi segno, di una Messa concepita come riunione della co­munità.  
 
Il sacerdo­te, nella Messa tradizionale, non è rivolto “contro” i fedeli, con le spalle al po­polo, chiudendosi in un cerchio, come ha affermato il Santo Padre12 in «Introduzione allo spirito del­la liturgia»13, ma sta a ca­po del “popolo di Dio” quale guida, e insieme al popolo si rivolge a Dio, rivolge la faccia e la persona verso l’Oriente, verso l’altare, il quale non deve essere mai una tavola (per una specie di cena di tipo protestante).  
 
Il sacerdote, e soltanto il sacerdote, agi­sce in persona di Cristo offrendo il Sacrificio al­l’Eterno Padre. Non offre certamente il sacrificio al popolo, ma con il popolo e per il popolo. I fedeli sono più in basso in quanto rappresentano in un certo modo Maria Santissima e san Gio­vanni ai piedi della Cro­ce14.  
 
Possiamo notare come tutto si svolge in maniera verticale, dal basso verso l’alto, dall’uomo a Dio; tutto è orientato a Dio. Del resto, ciò corri­sponde a quello che costituisce l’orienta­mento naturale dell’uomo. Lo esige la condi­zione crea­turale dell’uomo. Dio ha creato l’uo­mo. E l’uomo tende a Dio.  
 
La duplicità degli altari, venutasi a creare a motivo della Riforma liturgica, deve col tempo scomparire15. Sull’altare deve essere collocato un Crocifisso, perché vi si rinnova il Sacrificio della Croce; vi si trova, in mezzo, il Tabernacolo, sede di Cristo, presente realmente sotto le Spe­cie eucaristiche e la cui Pre­senza, prodotta dalla transustanziazione avvenuta nella Consacrazione, è durevo­le; vi sono i candelieri con le candele per signi­ficare la Presenza di Cristo, «luce del mondo»16; nella pietra dell’Altare si conservano le reliquie dei San­ti, nostri intercessori presso Dio (Canone Romano), con i quali siamo uniti nella grande comu­nione dei Santi e della Liturgia Celeste17.  
 
Dobbiamo far notare come Lutero sostituì l’altare sacrifi­cale con il tavolo conviviale per sottolineare il carattere soltanto di semplice cena della sua messa. Nella Messa moderna, troppo spesso purtroppo, tutto tende a far risaltare la dimen­sione orizzontale (dal celebrante ai fedeli e dai fedeli al celebran­te), tutto converge verso la tavo­la, posta in posizione centrale.  
 
Il sacerdote è colui che “presiede l’assemblea”. La stessa struttura architettonica delle moderne chiese è concepita in modo tale da favorire l’orizzontalità.  
 
Mentre nella Messa moderna le parti del sacerdote celebrante e del popolo dei fedeli spesso si confondono, nella Messa tradi­zionale esse rimangono distin­te, in base al principio che la Messa è l’atto di Cristo (sacerdote principale), che lo compie mediante il ministero del sacerdote (sacerdote secondario).  
 
In questo modo, si distinguono molto più chiara­mente il sacerdozio ministeriale dal sacerdozio comune o batte­simale dei fedeli18.  
 
Nella Messa antica riman­gono distinti il Confiteor ai pie­di dell’altare, l’Agnus Dei, il Domine non sum dignus; la di­stinzione tra il sacerdote-me­diatore e i fedeli ricor­re anche nel Canone, almeno tre volte: l’adorazione del Santissimo Sacramento dopo la consacrazio­ne è doppia, distinta: il sacerdote si inginocchia appena subito dopo la consacrazione, poi eleva l’ostia consacrata, poi quando la ripone sul cor­porale si inginocchia di nuovo.  
 
È separato il canto o la recita del Pater no­ster, pronunciato dal solo sa­cerdote, anche se a nome di tut­ta la Chiesa; ritorna spesso la distinzione nella seconda per­sona plurale quando il sacerdo­te si rivolge ai fedeli - come nei frequenti Dominus vobiscum - segno ed espressione dell’unio­ne di Cri­sto con i fedeli, e insieme l’esortazione al raccogli­mento alla presenza di Cristo.  
 
Oggi alcuni sacerdoti si esprimono nella prima persona plurale, non consentito neppure dalla nuova Liturgia, quando dicono, ad esempio: “questo nostro sacrifi­cio”, “lavaci, purificaci”; “ci custodisca”; “ci be­nedica”; oppure trasformano in in­dicativo ciò che, in realtà, è imperativo, o meglio “implora­tivo”: “Dio ha misericordia di noi, ci perdona i nostri pecca­ti ecc.” invece che, come è giusto dire “Dio abbia mi­sericordia di noi, perdoni i no­stri peccati ecc.” (è una preghiera di interces­sione richiesta alla fine del Confiteor).  
 
La S. Messa richiede da parte del sacerdo­te e anche dei fedeli un’adeguata preparazione (non si passa dalla strada all’altare!) e quando è terminata la S. Messa, non si scappa subito fuori a chiacchierare, ma si rimane in adorazione e contemplazione dell’immenso dono ricevuto e a ringra­ziare per averlo ricevuto.  
 
Nella Messa tridentina prima della S. Messa, in sagrestia ci sono delle tabelle con una serie di preghiere, fatte di salmi e altre composte dai santi, che servono di preparazione e di ringraziamento al sacerdote celebrante, comprese le intenzioni di consacrare e di applicare il sacrificio eucaristico; la prepa­razione e il ringraziamento sono prescritti tuttora ai sacerdoti19 e servono di esempio anche ai fedeli. I ritar­di e le negligenze nell’arrivare a Messa e la dissipazione, il chiasso, la confusione subito dopo, alla fine, compromettono i suoi frutti spirituali.  
 
( continua )  
Padre Francesco Pio M. Pompa F.I.  
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Note

 
1 cfr. Sacrosantum Concilium, n.47  
2 Es 22,29; 33,5.21; Lv 23,10; Prv 3,9  
3 cfr. 2Cor 5,19  
4 cfr. 1Tm 2,5  
5 cfr. Fil 2,8  
6 cfr. Rm 5,19  
7 cfr. Rm 8,32  
8 Eb 7,24; 9,26  
9 Lumen Gentium 10b: EV 1,312  
10 Sacrosantum Concilium, 57; EV 1, 97­-106; can. 902 del Codice di Diritto Canonico  
11 Altare = “alta – res” = “realtà o cosa po­sta in alto” (altare = propriamente la parte superiore per i sacrifici, dove si immolano le vittime; cfr. Castiglioni-Mariotti, Vo­cabolario lingua latina, p. 75 e p. 1662)  
12 Benedetto XVI  
13 Benedetto XVI - «Introduzione allo spirito del­la liturgia» pag. 76  
14 cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1370  
15 cfr. Doc. sul­la Riforma liturgica del 25 gen­naio 1966: EV 2,610  
16 Gv 8,12; Lc 2,32; 1,78  
17 cfr. Ap 6,9  
18 Lumen Gentium 10b: EV 1,312  
19 cfr. C.I.C., can. 909  
 
2022-09-03
Autore : Padre Francesco Pio M. Pompa Fonte : Settimanale di P. Pio
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