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La santità nascosta di Franz Jägerstätter e il cinema trascendentale di Terrence Malick
Un regista geniale alla scoperta della santità  
 
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“Che cosa vuole Cristo da noi?”.  
 
Sembra che il regista Terrence Malick, nato a Ottawa (Illinois), il 30 novembre del 1943, abbia fatto questa domanda a Martin Scorsese dopo avere visto il suo film Silence (2016), dedicato alla persecuzione dei gesuiti in Giappone nel XVII secolo.  
 
Non ebbe dubbi sulla risposta Franz Jägerstätter (1907–1943), il contadino austriaco che rifiutò di arruolarsi nell’esercito nazista, dopo avere ascoltato dal pulpito il riassunto dell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) di Papa Pio XI (1922-1939) e avere letto la lettera pastorale del vescovo della diocesi di Linz, Johannes Maria Gföllner (1867-1941), che ribadì la netta condanna del neopaganesimo nazista: “È impossibile essere contemporaneamente buoni cattolici e veri nazionalsocialisti”.  
 
Questa divenne la frase decisiva per le successive scelte di Franz Jägerstätter che, in una delle sue lettere, scrisse: “Cristo vuole da noi anche una dichiarazione palese della nostra fede, proprio come Adolf Hitler la pretende dai suoi seguaci. I comandamenti di Dio ci insegnano che dobbiamo prestare obbedienza ai nostri superiori, anche se non sono cristiani, ma solo finché non ci ordinano qualcosa di sbagliato, poiché dobbiamo obbedire più a Dio che agli uomini” (Una storia d’amore, di fede e di coraggio. Franz e Franziska Jägerstätter di fronte al nazismo, ed. it. a cura di Giampiero Girardi e Lucia Togni, con una Premessa di Daniele Menozzi, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2013).  
 
Proclamato beato il 26 ottobre 2007 presso la cattedrale di Linz alla presenza della moglie Franziska Schwaninger (1913-2013) e delle tre figlie, Franz Jägerstätter ha affascinato Terrence Malick, che gli ha dedicato il suo ultimo film intitolato La vita nascosta – Hidden Life (2019).  
 
Il regista ripercorre la vicenda del beato Franz soffermandosi sulla quotidianità della realtà contadina di Sankt Radegund, il paese austriaco dove visse con la famiglia, stimato da tutti fino all’inizio della guerra. Il rifiuto dell’ideologia nazista isola Jägerstätter, che viene trattato come un traditore. Il parroco e il vescovo cercano di dissuaderlo, gli ricordano i doveri verso la famiglia e la patria.  
 
Il corposo carteggio con la moglie dai luoghi dell’addestramento, nel 1940, e durante la prigionia, nel 1943, permette di ricostruire la sua scelta di fede, umile e forte, senza arroganza verso chi ha intrapreso altri percorsi. La moglie, dopo qualche comprensibile titubanza iniziale, lo sosterrà sempre.  
 
Il film di Malick ruota proprio attorno alla fede del contadino, evitando di utilizzare la sua vicenda come propaganda per l’obiezione di coscienza, com’è successo in passato: Jägerstätter non fu mai pacifista né antimilitarista, era cosciente dei suoi obblighi, tanto da proporsi per l’ospedale militare, compito che gli fu negato dal regime. Fece tutto l’addestramento, ma si rifiutò di pronunciare il giuramento al Führer. Come ha scritto Mattia Ferraresi su Il Foglio: “È un film sul martirio, non sulla resistenza. Dove il primo emerge dalla certezza che il sacrificio per la verità, offerto a Dio, non è una privazione ma genera vita, porta frutto; la seconda è sempre esposta alla tentazione di misurare i risultati dell’azione, di valutarne l’effetto storico”.  
 
La bellezza di quest’opera però non sta solo nell’occasione di riscoprire una storia poco conosciuta di santità, ma nello stile di regia dell’artista americano.  
 
Suo padre, il geologo Emil A. Malick (1917-2013), era figlio d’immigrati mediorientali appartenenti alla Chiesa assira d’Oriente e certamente l’educazione religiosa ricevuta impregna tutto il cinema di Malick, non solo per le domande e le preghiere che spesso i personaggi rivolgono a un interlocutore trascendente, ma per la forma stessa che il regista dà a questi interrogativi.  
 
Nel corso del XX secolo alcuni studiosi hanno riflettuto sulle modalità di rappresentazione del sacro attraverso il cinema, arte così potentemente realistica da rischiare di banalizzare l’esperienza di Dio perché incapace di preservarne il mistero.  
Il critico cattolico André Bazin (1918-1958) e lo sceneggiatore, poi regista, di formazione protestante, Paul Schrader, hanno riflettuto ampiamente su questo tema, dando indicazioni stringenti su uno stile di regia che renda autentica l’espressione della manifestazione del soprannaturale al cinema, tanto che Schrader ha coniato la definizione di “stile trascendentale”, che ben s’attaglia anche alla visionarietà di Malick.  
 
Infatti la trama dei suoi film è sempre esile, a volte quasi assente; la cinecamera fluttua nello spazio avvolgendo i personaggi da più punti vista per coglierne le minime sensazioni, i gesti più intensi, inducendo nello spettatore uno sguardo contemplativo, dove il movimento continuo della macchina da presa e dei personaggi è apparente, ciò che cerca il regista non è l’azione drammatica, bensì la percezione di una presenza: anzitutto l’anima dei protagonisti e poi Qualcuno che la sta aspettando sulla soglia.  
 
Per cercare di rendere tutto ciò sullo schermo, Malick si serve di un’onnipresente voce fuori campo che indaga l’interiorità dei personaggi, tecnica in genere poco utilizzata per non rischiare una cattiva retorica, ma nelle mani sapienti dell’autore americano diventa quasi una colonna sonora che fa da contrappunto allo splendore delle immagini naturalistiche in cui sono sempre immersi gli attori.  
 
Nel caso del suo ultimo film, le parole sono quelle di Franz e della moglie, delle loro lettere e delle loro preghiere, ma in altre opere si alternano meditazioni filosofiche e domande esistenziali che trovano risposta nelle immagini che il regista squaderna con generosità (i suoi film sono sempre molto lunghi e impegnativi).  
 
Infatti, il terzo aspetto che caratterizza lo stile di Malick, oltre alla cinecamera galleggiante e alla voce intima preponderante, è la presenza della Natura, protagonista assoluta di tante scene o semplicemente contemplata estaticamente da personaggi assorti in sé stessi.  
 
Oltre a essere stato operaio in pozzi di petrolio, giornalista e ornitologo, Malick ha conseguito un baccalaureato in filosofia presso l’Harvard College nel 1965 – materia che ha inoltre insegnato presso il Massachusetts Institute of Technology – e ha tradotto in inglese nel 1969 l’opera di Martin Heidegger (1889-1976) Dell’essenza del fondamento. Per questo motivo sono state ampiamente sondate anche le fonti filosofiche del suo cinema, in particolare il panteismo del filosofo Ralph Waldo Emerson (1803-1882) e la wilderness dello scrittore e poeta Henry David Thoreau (1817-1862), come ha scritto il critico cinematografico Claudio Siniscalchi.  
 
Alla luce però di quest’ultimo film e del fatto che Malick abbia concluso le riprese del prossimo, dedicato alla vita di Gesù, si possono rintracciare nella sua filmografia indizi di un’appassionata ricerca di fede.  
 
In La sottile linea rossa (1998) il soldato Robert E. Lee Witt – interpretato da Jim Caviezel – alla fine muore sacrificandosi per salvare i propri compagni, convinto così di avere raggiunto la gloria, oggetto delle sue meditazioni metafisiche nel cuore della giungla di Guadalcanal.  
 
Nel suo capolavoro autobiografico The Tree of Life (2011), al termine di un affascinante viaggio nel tempo, alle origini del cosmo e all’interno di un nucleo familiare funestato dalla morte del figlio più giovane, la visione del regista è quella di un luogo ultraterreno in cui i familiari riabbracciano il figlio perduto, sulle note dell’Agnus Dei della Grande messe des morts, Op. 5, Requiem di Hector Louis Berlioz (1803-1869).  
 
Nel successivo To the Wonder (2012) uno dei protagonisti è un sacerdote in crisi – interpretato da Javier Bardem –, che nonostante la fatica, a un certo punto si abbandona a Cristo, in uno splendido accorato inno, composto in parte con parole di una preghiera a san Patrizio, mentre visita un’umanità derelitta. Infine, la sequela di Franz Jägerstätter.  
 
Tutte queste tracce evidenti fanno ben sperare che, nel prossimo film su Gesù, possa accadere a Malick ciò che il pittore della chiesa parrocchiale dice a Franz in una delle prime scene del film: “Un giorno forse avrò il coraggio di osare, oggi no. Un giorno dipingerò il vero Cristo”.  
 
La vita nascosta – Hidden Life (A Hidden Life)  
 
Regia di Terrence Malick  
Paese: Stati Uniti d’America, Germania  
Anno: 2019  
Sceneggiatura: Terrence Malick  
Produzione: Studio Babelsberg, Elizabeth Bay Productions  
Durata: 173 minuti  
Interpreti principali: August Diehl, Valerie Pachner  
 
Qui la fonte  
 
 
 
2020-08-22
Autore : Luca Finatti Fonte : Alleanza Cattolica
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